16 settembre 2008

La crisi finanziaria, il voto e il populismo americano

In questo bell'articolo Dionne ricorda che da circa un secolo le campagne elettorali si vincono utilizzando l'arma del populismo culturale; i democratici attaccano l'élite economica e i repubblicani i liberal delle università e di Hollywood. La scelta di Sarah Palin ha rafforzato la solita immagine repubblicana: il popolo vero dell'America contro i saputelli di Harvard che usano il governo per applicare le loro teorie astruse. Anzi, l'inesperienza è il vantaggio della Palin, perché è incorrotta, una ragazza pura che non conosce i trucchetti di Washington, esattamente come tanti milioni di americani. Dionne, insieme ad altri, sostiene che questa storia (in grado di spostare il tema del "change" dal campo di Obama a quello di McCain - i repubblicani evidentemente sono ancora i più bravi a inventare le sceneggiature per il pubblico elettorale) potrebbe finire con la crisi di Wall Street, così grande da riportare la realtà nel dibattito elettorale.

Ieri McCain (che adesso guida il gioco) è andato bene e male allo stesso tempo: bene perché è stato il più veloce ad attaccare le lobby corrotte di Wall Street (guardate assolutamente questo spot nel quale appare il palazzo della Lehman), male perché ha raccontato che "i fondamentali dell'economia vanno bene", e per gli elettori i fondamentali sono il loro portafogli, che è assai più vuoto di prima. Secondo Gaggi, sul Corriere di oggi, la velocità di McCain nell'attaccare Wall Street rafforza la sua immagine di repubblicano "diverso"; è l'occasione per presentarsi ancora una volta come Maverick, anche se i democratici dovrebbero trovarsi più a loro agio sui temi economici. Nei sondaggi McCain va ancora molto bene, ma sono precedenti al fallimento della Lehman (qui un altro link, a un articolo di Balz, sul ritorno dell'economia come tema principale della campagna elettorale).

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