31 gennaio 2009

Auguri, ragazzo: i repubblicani scelgono un nero alla presidenza del partito

Nel sistema politico americano il presidente del comitato nazionale del partito era sempre stato una figura poco influente. Se guardate la lista di chi ha ricoperto la carica negli ultimi 35 anni troverete solo una persona che conoscete: George H. W. Bush, il papà di Dabliù. Col tempo però questa carica ha assunto più rilevanza e come sosteniamo nel nostro libro, il presidente del partito democratico Howard Dean ha una fetta di responsabilità nella vittoria di Barack Obama. Ieri i repubblicani hanno fatto una scelta simbolica: per la prima volta il presidente del loro partito sarà un uomo di colore, Michael Steele, ex-aspirante sacerdote ed ex-vice governatore del Maryland. Il Washington Post ci spiega chi è quest'uomo: fedele alla linea del partito ma non sull'aborto, aspira a riconquistare una parte del voto delle donne e delle minoranze. Non c'è che dire: auguri, perchè il compito non sarà facile e il suo sfidante era uno che fa parte di un club per soli bianchi, insomma il partito rimane quello che è. Eugene Robinson spiega perchè l'amministrazione Obama potrebbe metterlo seriamente in ginocchio per un lungo periodo.

30 gennaio 2009

Qualcuno fermi il compagno Obama


Andiamo con ordine: lettera all'Iran, parità uomo-donna nei salari, attacco ai "vergognosi" bonus dei banchieri di Wall street. Ma dove siamo? E quando finirà?
"Gli americani sanno che c'è bisogno di uscire dal baratro nel quale siamo, ma non se ci sono altri che stanno rendendo il baratro più profondo": se volete i soldi pubblici tagliatevi li stipendi. Obama ha invitato i reporters per mandare un messaggio durissimo contro i banchieri. Populismo? Certo, ma anche pressione su Wall street all'inizio del processo di revisione e creazione di regole per la finanza - di questo si comincia a parlare mentre è chiaro che serviranno altri soldi pubblici. Novità clamorose non se ne avranno prima del G20 di aprile a Londra. Comunque sia, ecco il video delle dichiarazioni su Wall street. Ed ecco l'articolo del New York Times sul Lilly Ledbetter Act, la legge che vieta le discriminazioni salariali di tutti e ciascuno. E per chi non se ne fosse accorto: ecco il Washington post sul Senato che ha approvato l'espansione della copertura sanitaria per i bambini (anche immigrati legali).
Il problema è che l'economia peggiora e che se il pacchetto non avrà almeno un po' di successo, i repubblicani cominceranno a strepitare di brutto. Per adesso prendono calci sui denti da molti commentatori, mentre Rush Limbaugh, il re del talk radio conservatore, viene preso di mira da uno spot radiofonico assieme al Grand Old Party, per la scelta di aver votato tutti No al pacchetto di stimolo economico (sul quale pure c'è un gran dibattito: serve, non serve, non è abbastanza). La verità è che la crisi è talmente dura che nessuno è in grado di dire come andrà a finire. Così almeno spiega il corrispondente da Davos del Times di Londra.
Sul voto senza repubblicani, il ritorno dello Stato in economia, la fine delle libertà economiche si è aperto un gran dibattito. Preoccupazioni e speranze, anatemi e gioia incontenibile. Ci sarà tempo per parlarne.

29 gennaio 2009

Dialogo con l'Iran?

Barack Obama lo aveva detto per tutta la campagna elettorale: appena eletto avrebbe iniziato un dialogo diretto con l'Iran. La destra lo aveva anche preso in giro con questo spot tutto da ridere. Oggi il ministro degli esteri iraniano Mottaki ha parlato chiaro: si può fare, ma parliamo anche di Afghanistan e Iraq. Cioè: non parliamo solo di nucleare, mettiamoci d'accordo sul nostro ruolo regionale. Questo è il nocciolo della questione: Teheran può rinunciare alla bomba solo in cambio del riconoscimento del suo ruolo nel "grande Medio Oriente". Se avete sottomano Limes ci troverete un articolo di due di noi su cosa pensano quelli che contano oggi a Washington su questo tema. La questione non è semplice comunque: ci sarà chi vorrà accettare la proposta di Mottaki e chi dirà che è necessario che prima Teheran fermi il suo programma nucleare. Ne vedremo delle belle, ma i termini della discussione per ora sono questi.
Su Prospect trovate un articolo interessante sulla situazione attuale in Iran, dove si "festeggiano" i 30 anni dalla rivoluzione. Di sicuro il calo del prezzo del petrolio rende i "duri" un po' meno forti e baldanzosi. Per chi volesse saperne di più su cosa pensano gli iraniani, consigliamo il sito Iran Diplomacy, non esattamente però la voce ufficiale di Teheran.

Niente voti del GOP al piano economico. I dubbi, gli attacchi e le analisi

Il primo voto sul piano Obama per l'economia segnala l'impossibilità, per il presidente, di ottenere un consenso bipartisan sull'economia: nessun republicano ha votato a favore. La richiesta è la solita: tagliare le tasse, come ribadisce sul Wall street journal Rush Limbaugh, in una veste semi ripulita rispetto ai toni da guerra dei mondi che usa nello show radiofonico che lo ha reso famoso. La National review ha definito il pacchetto: da social welfare europeo. I repubblicani sperano che tutto fiisca male per piombare sulle spoglie di Obama e della maggioranza democratica nel mid term del 2010. Un calcolo brutto e anche pericoloso (se l'economia ripartisse, non prenderebbero un voto). Ecco il commento di Salon sull'atteggiamento del GOP (il titolo è No, we cant). Questa la analisi di Politico: i repubblicani non faranno filibustering (ostruzionismo) in Senato. Il pacchetto passerebbe comunque e loro avrebbero la colpa di ritardarlo. Non conviene mentre Obama è appena arrivato e gode della fiducia degli elettori. Resta il problema del mancato sostegno bipartisan. Essendo maliziosi si potrebbe sostenere che Obama tiene un tono conciliante a prescindere dalla disponibilità al confronto per mettere in difficoltà gli avversari. Certo è che in questo momento vanno fatte scelte e non si possono approvare leggi di spesa che dicano tutto e il suo contrario. Restano i dubbi sull'efficacia a breve termine del piano (per spendere soldi ci vuole tempo, pensate alle strade da ricostruire: trasferimento di denaro allo Stato X, progetto, appalto, avvio dei lavori). Ecco l'analisi sull'efficacia dal NYT.
Per finire un interessante novità da parte della Fed, comprerà, se sarà necessario, buoni del Tesoro a lunga scadenza. Un modo per immettere soldi nell'economia trasferendoli al pubblico. Ovvero, un modo per sostenere le politiche di stimolo del presidente. Sono cose che non si fanno da un trentennio, la BCE non potrebbe per statuto. E' nata negli anni del monetarismo spinto. E si vede.

28 gennaio 2009

Il presidente è on-line

Non ci dilunghe- remo ancora una volta sul tema "Obama e le nuove tecnologie". Però vogliamo indicarvi due articoli interessanti. Uno è del New York Times, a firma Jim Rutenberg e Adam Nagourney e descrive la funzione della rete nel strategia di Obama: prima di tutto saltare la mediazione giornalistica, che pure non lo ha certo sfavorito. L'articolo descrive bene come gruppi quali Organizing for America cercheranno di influenzare e interagire con l'opinione pubblica e i gruppi organizzati per restare concentrati sugli obiettivi politici della presidenza Obama, a prescindere da ciò che diranno i media. Come al solito David Plouffe si trova nella cabina di regia, novello "responsabile organizzazione" del partito on-line del presidente.

L'altro articolo è di Antonella Napolitano da Apogeonline. Un commento "tecnico" del nuovo sito della Casa Bianca, sul quale i malati della rete (come l'autrice) hanno posto grande attenzione dopo le promesse elettorali di Barack Obama: il sito dovrebbe divenire un campione di trasparenza e interattività, ma siamo ancora lontani da questo risultato.

27 gennaio 2009

Ancora sull'intervista ad Al Arabiya

Cominciamo da una battuta trovata in rete: "About time we have an adult in the White House who doesn't gratuitously insult one quarter of the planet". E' uno dei commenti al blog di Ben Smith (politico.com) che pone la giusta enfasi su questa intervista: è un fatto importante, un'occasione seria per mandare un segnale di apertura all'area del mondo divenuta nemico pubblico numero 1 durante l'amministrazione Bush. Qui la trascrizione completa dell'intervista - sempre da Ben Smith. Ecco il passaggio sull'Iran:

Now, the Iranian people are a great people, and Persian civilization is a great civilization. Iran has acted in ways that's not conducive to peace and prosperity in the region: their threats against Israel; their pursuit of a nuclear weapon which could potentially set off an arms race in the region that would make everybody less safe; their support of terrorist organizations in the past -- none of these things have been helpful.
But I do think that it is important for us to be willing to talk to Iran, to express very clearly where our differences are, but where there are potential avenues for progress. And we will over the next several months be laying out our general framework and approach. And as I said during my inauguration speech, if countries like Iran are willing to unclench their fist, they will find an extended hand from us.

Obama parla ad Al Arabiya

Ancora non sta fermo un minuto. Questa intervista (di ieri) è importantissima per ricreare un clima di dialogo accettabile e rovesciare l'impianto simbolico costruito dall'amministrazione precedente. Tenete conto che è la prima intervista rilasciata dentro la Casa Bianca, ed è a un tv araba. Sui contenuti vaghezza, ma apertura verso l'Iran e apprezzamento sul piano saudita; e poi molta enfasi sulla sua conoscenza diretta della cultura musulmana e la necessità che l'America ascolti prima di parlare.

L'esempio irlandese per il Medio Oriente

Nel nostro libro, nel capitolo sulla politica estera, spieghiamo che c'è stato un cambiamento nell'elite americana: già dal 2006 è finita l'egemonia neocon e ha lasciato gradualmente più spazio ad un ritorno dei policy-expert realisti. George Mitchell, il nuovo inviato in Medio Oriente di Obama, sembra ispirarsi a quella corrente. Basti vedere questo suo articolo di qualche tempo fa, scritto con Richard Haass cioè uno dei realisti più importanti di Washington, in cui spiegava in cosa consisteva "l'esempio irlandese" per il Medio Oriente: lì nessuno aveva chiesto alle due parti di rinunciare ai propri sogni, nessuno aveva chiesto all'IRA di rinunciare alla riunificazione dell'Irlanda o agli unionisti di dichiararsi pronti ad uscire dall'Unione (la Gran Bretagna, non il centrosinistra italiano). Quello che gli si era chiesto era di rinunciare a perseguirli con le armi e di puntare sulla democrazia. D'altronde, nessuno dopo la resistenza chiese al PCI di rinunciare al comunismo o all'idea che l'Urss fosse il paese guida: piuttosto gli fu chiesto di partecipare alla scrittura di una costituzione democratica. Che la "soluzione irlandese" fosse tenuta a mente dalla nuova elite di Washington noi lo avevamo scritto qualche tempo fa in questo post. Lo diceva anche un editoriale del quotidiano libanese Daily Star che faceva notare che il fatto che Hamas e Hizbullah usino gli strumenti sbagliati non vuol dire che non ci sia un problema politico che va affrontato. Infine, vi consigliamo di tenere d'occhio il blog di Daniel Levy, intellettuale anglo-israeliano ora in forza ad un importante think tank progressista americano. Nel suo post spiega anche cosa potrebbero fare gli europei nel negoziato. Ma putroppo, per ora, la nostra politica è su un tono diverso: si tratta troppo spesso di far dimenticare di essere stati comunisti e filo-palestinesi, non di discutere i problemi. Quando D'Alema lo ha fatto, la reazione non si è fatta attendere.

Bomba o non bomba?

Mark Thompson di Time si chiede come andrà a finire la questione del rinnovamento dell'arsenale nucleare. Il Segretario della Difesa Robert Gates ha proposto su Foreign Affairs (da ministro in pectore della nuova amministrazione) il rinnovo dell'arsenale nucleare, composto in buona parte da materiale bellico degli anni '70 e '80. Gates lo chiama "Reliable Replacement Warhead" (RRW) ed è la tipica proposta da uomo del cosiddetto "complesso militare industriale" vecchia maniera.

Obama ha subito detto, al contrario, che la nuova amministrazione "will stop the development of new nuclear weapons". Obama in Congresso si è sempre opposto al RRW: lui e Gates non ne hanno ancora discusso, per ora si intravedono i termini del dissenso. Insomma, un buon test per capire la forza di Obama di fronte a certi "poteri forti", tradizionali e consolidati. Compromesso? Scontro? Accordo, e di che natura? E poi c'è il file Iran: trattare con Teheran mentre si rinnova l'arsenale nucleare non sarebbe una strategia molto intelligente.

26 gennaio 2009

La svolta ambientalista

Prende forma la politica ambientale della nuova amministrazione. Nessuna rivoluzione, ma qualche passo avanti. «Anno dopo anno, decennio dopo decennio - ha detto il presidente - abbiamo scelto il rinvio rispetto ad un'azione decisa. Un'ideologia rigida ha avuto la meglio sulla scienza solida, interessi particolari hanno messo in ombra il senso comune e la retorica non ha condotto al duro lavoro che era necessario per ottenere risultati, i nostri leader alzavano la voce ogni volta che i prezzi della benzina aumentavano, salvo abbassarla quando i prezzi scendevano». Obama ha firmato due executive orders che consentono di porre limiti alle emissioni delle auto da parte degli Stati e presentato la parte ambientale del suo piano. Edifici da ristrutturare e raddoppio della produzione di energia rinnovabile in tre anni. Non male. Il problema sarà far passare il pacchetto in fretta (come si spiega poco più sotto).

L'Amerique

L'Amerique di Bernard Harcourt, professore di Diritto all'Università di Chicago e vecchio collega di Barack Obama. Uno di casa insomma, che scrive un bel blog come può fare un europeo che guarda questi strani americani con occhio disincantato ma partecipe. In questo post il suo carteggio con Salvatore Palidda dell'Università di Genova, a partire da un altro post recentissimo di Harcourt sulla chiusura di Guantanamo. Ovviamente il blog è in francese, e il carteggio prende piede da un concetto del quale si è dibattuto a lungo durante gli anni dell'amministrazione Bush: quello di "stato di eccezione".

Al GOP non piace lo stimolo, vorrebbero i tagli alle tasse (quelli sì che hanno funzionato)

L'abbronzatissimo leader della minoranza alla Camera Boehner promette che il suo partito non voterà il piano di stimolo. McCain chiede tagli alle tasse, lo stesso argomento che lo ha aiutato a perdere le elezioni. Il GOP è nel suo business as usual, con la consapevolezza che la crisi è così grave che far ripartire l'economia sarà molto difficile. Se il piano Obama non funzionasse, tra due anni, nel midterm, ci sarà di che approfittarne. Una strategia di lungo respiro e grande visione. Paul Krugman, che nello spettro politico sta proprio dall'altra parte, chiama quella repubblicana cattiva fede. EJ Dionne è d'accordo con noi - o viceversa, per carità - i repubblicani sperano nel disastro, è il titolo del suo articolo. Intanto qualche passo del nuovo presidente: prime bozze di idee sulle regole per la finanza e ordine sull'efficienza energetica per le auto (tutti gli Stati si dovranno adeguare ai criteri degli Stati più virtuosi. E Biden parla di nuovo aiuto alle banche (che il Nyt dice, potrebbero venire nazionalizzate)

24 gennaio 2009

Una delle meglio

"The new season of Lost kicked off tonight. If you haven't seen it, Lost is about a group of desperate people out of touch with the world. It's based on the true story of the Republican Party." Craig Ferguson

23 gennaio 2009

Ancora sulla politica estera

Firme e nomi pesanti in questi giorni scelgono di occuparsi di politica estera. L'economia è un tema spinoso e sono partite le contrattazioni con il Congresso sul piano di stimolo. Non saranno facili, ma comunque sia, in molti voglioni dire la loro sulle guerre e crisi varie. John Kerry chiede di parlare con il Pakistan (o comunque di occuparsene meglio). E a proposito di Pakistan, il Times of India, parla di una buona partenza. Il principe saudita Faisal prende posizione sul conflitto israelo-palestinese e il processo di pace sul Financial Times. Il New Statesman parla del possinile rapporto di Obama con l'Iran. Le vicende si intrecciano tutte, a Washington in molti sraparlano e cercano di dire la loro per influenzare i primi passi della nuova amministrazione, farsi vedere, essere parte di. I due temi sono, e questo era scontato, Gaza e il conflitto afghano-pakistano. Qui, l'inviato speciale sarà Richard Holbrooke, non esattamente una colomba. Ecco un commento da Foreign policy. Dalla stessa rivista, una lunga intervista al generale Petraeus, sulla guerra afghana.

L'inviato in Medioriente è Mitchell. Meglio del previsto

Il Christian Science Monitor analizza le ipotesi di cambiamento della politica mediorientale di Obama. Ecco una vecchia scheda da Time, scritta da Samantha Powers, ex aiuto di Obama cacciata per i commenti su Clinton e un commento del New York Times. Mentre Politico, a cui piace di più il giornalismo del dietro le quinte (fatto meglio ma a volte simile a quello italiano) si chiede: chi comanda la politica estera? Newsweek indaga sugli effetti dei primi passi della nuova amministrazione in Medioriente. Sempre dal sito del settimanale un'analisi sui rapporti con l'Islam.

22 gennaio 2009

Guantanamo, qualche commento sul day one e stasera a Bologna

Ricordate la campagna elettorale? Ready to lead from day one, erano Clinton prima e McCain poi. Ha vinto l'altro e qualche decisione l'ha presa. Già dal day one. Sospensione dei processi ai combattenti stranieri (la formula giuridica inventata dai legali dell'amminisrazione Bush) e ordine di chiusura di Guantanamo (ecco un commento dal Guardian). E poi, come spiega il NYT, congelamento dei salari dei collaboratori, liiti alle lobbies e più trasparenza da parte del governo. Siamo troppo entusiasti? Può darsi, ma è un buon inizio. Ci piace pensare, come sostiene Victor Navasky uno dei padri della sinistra liberal anni 60 ed ex direttore di The Nation, che Obama governerà dal centro dopo averne ridefinito le coordinate politiche. Un dato confermato da una vecchia ricerca del Pew research centre e un'analisi - non particolarmente originale - che facciamo nel nostro libro. Ah, il libro, lo presentiamo stasera alle 21.30 a Bologna al Modo Infoshop.

21 gennaio 2009

Barack gets to Washington


Ecco il testo, ecco il video del discorso inaugurale e i commenti, da Politico, di una serie di autorevoli professori. Washington post, pubblica un editoriale molto speranzoso, mentre la direttrice di The Nation Vanden Heuvel, sembra contenta e torna a chiedere quello che in fondo anche il presidente ha chiesto: la mobilitazione delle coscienze e delle braccia. Ecco la news analysis del Nyt sul discorso e l'editoriale della stessa bibbia del giornalismo. La frase finale del commento sul discorso del New Yorker non è male: "La cosa rassicurante è che noi americani abbiamo sempre il presidente che ci meritiamo". Sulla qualità del discorso scegliamo Slate, che parla di prosa invece di poesia. Una voce fuori dal coro (ma no troppo)? Fred Barnes dal supercon Weekly standard.
E noi che pensiamo? Obama ha nascosto un po' le cose nel discorso. Non ha fatto elenchi di cose da fare ed è rimasto sul vago. Eppure ha chiuso in maniera chiara con l'era di Reagan (il problema è o Stato, disse il presidente all'inaugurazione del 1981) e lo ha fatto in maniera furba, post ideologica. L'agenda resta la stessa della campagna elettorale e il modo di implementarla e accopagnare l'America nella direzione che sembra aver preso, non forzarla e non spingerla attraverso prese di posizione ideologiche che tornerebbero a spaccare il Paese. Presto qualche divisione la vedremo, ma il richiamo all'unità del Paese sta dentro la tradizione Usa ed è una mossa intelligente. Ah, per chi vuole stasera alle 19 siamo al Flexibar (via Clementina 9, Roma) e domani a Bologna.

Prima cosa: Guantanamo (e forse anche Roe vs Wade)

Il nuovo presidente Usa ha chiesto una sospensione dei processi di Guantanamo. Arrivare alla chiusura e alla ricollocazione - o liberazione - dei prigionieri non sarà cosa facile dal punto di vista giuridico. E allora, con una pausa, l'amministrazione, potrà trovare una via d'uscita legalmente appropriata. Il discorso di ieri è stato definito vago, leggetelo bene, c'è scritto parecchio.

20 gennaio 2009

Oggi è il giorno

Alzi la mano chi avrebbe pensato solo qualche anno fa di vedere un presidente afroamericano giurare davanti al Campidoglio. Oggi Barack Obama diventa presidente a Washington. Noi, più modestamente, presentiamo il nostro libro a Roma: l'appuntamento è alle 16 a Palazzo Valentini (la Provincia di Roma) in via Quattro Novembre, molto vicino a piazza Venezia. Alle 18 vedremo tutti insieme il discorso di insediamento. Per chi non potesse farcela, un altro appuntamento romano è domani sera alle 19 al Flexi, in via Clementina 9. Altre presentazioni sono previste in altre città (a Bologna per esempio) e ovviamente chi volesse organizzarne una non ha che da scriverci, saremo felici di discutere ovunque.

19 gennaio 2009

Retorica a pacchi e lacrime. Hope comes to Washington


Ecco le immagini del discorso di Obama a Washington. Un sacco di gente, un bel discorso come sempre, Dr. King e Abramo Lincoln e la musica. Tanto americano, ma stavolta non ci siamo e ci dispiace. Sulla pagina di Politico a cui vi linkiamo, anche highlights del concerto, Biden e altre cosette (Axelrod in Tv, ad esempio). Sul Washington Post un video montato molto bene, in generale sul sito del quotidiano politico della capitale, il coverage è molto buono.
A proposito di discorsi e oratoria, ecco un articolo coi fiocchi del Financial Times Weekend sulla retorica obamiana e sulla sua capacità di costruire il discorso. Obama, dice FT, fonda una parte non indifferente della sua azione politica sulla costruzione del discorso. Our road will be long and our climb will be stiff....e diccelo a noi.

18 gennaio 2009

Obama lancia Organizing for America

Cosa sarà? Si tratta di uno strumento di organizzazione per mantenere attivi i militanti della campagna elettorale del 2008. Ha a che fare con Obama, ma anche con il partito democratico, non è solo il partito del presidente.

17 gennaio 2009

Obama e la sinistra

The Progressive, come dice anche il titolo, è un mensile molto molto a sinistra: si è sempre opposto alle guerre ed è stato uno dei primi mezzi di informazione a parlare della crisi ambientale. Rappresenta quindi un piccolo esempio di sinistra radicale americana. Lì come qui ci si chiede se Obama sarà un presidente "di sinistra" oppure se sarà un altro democratico centrista come Clinton e Carter. A noi il dibattito interessa fino ad un certo punto: Obama non sarà mai nè un modello nè un nemico ma semplicemente il capo della superpotenza mondiale, quello che stabilisce le regole del gioco dentro cui tutti stiamo. Ma l'articolo di John Nicols su questo mensile vale la pena di essere letto per due motivi: perchè racconta dei pezzi della biografia "liberal" di Obama che sono stati volutamente occultati in campagna elettorale; perchè suggerisce una strada alla sinistra radicale per influire sul governo che supera le strettoie del dibattito su "governo e movimenti" che ha animato la sinistra radicale nostrana. Nicols sintetizza la sua proposta così: fate pressione sul Paese, non sul presidente. Costruite il treno su cui tutti devono salire, non cercate di salire su quello costruito dagli altri. Fate proposte su cui tutti si debbano misurare, non limitatevi a criticare quelle degli altri. La riforma della Sanità sembra essere al primo posto in questa agenda mentre di politica estera si parla poco, solo per ricordare la campagna elettorale.

16 gennaio 2009

Ci si rivede a Crawford, mr W.


Ecco gli highlights testo dell'ultimo discorso di Bush dalla Casa Bianca. Katrina? E chi l'ha vista. Però abbiamo fatto la lotta all'Aids, creto il dipartimento di Homeland security e dopo l'11 settembre non ci sono stati altri attentati terroristici.
Fellow citizens: For eight years, it has been my honor to serve as your president. The first decade of this new century has been a period of consequence _ a time set apart. Tonight, with a thankful heart, I have asked for a final opportunity to share some thoughts on the journey that we have traveled together, and the future of our nation. Five days from now, the world will witness the vitality of American democracy. In a tradition dating back to our founding, the presidency will pass to a successor chosen by you, the American people.... Tonight I am filled with gratitude _ to Vice President Cheney and members of my administration; This evening, my thoughts return to the first night I addressed you from this house _ September the 11th, 2001. That morning, terrorists took nearly 3,000 lives in the worst attack on America since Pearl Harbor. I remember standing in the rubble of the World Trade Center three days later, surrounded by rescuers who had been working around the clock. I remember talking to brave souls who charged through smoke-filled corridors at the Pentagon, and to husbands and wives whose loved ones became heroes aboard Flight 93. I remember Arlene Howard, who gave me her fallen son's police shield as a reminder of all that was lost. And I still carry his badge.
As the years passed, most Americans were able to return to life much as it had been before 9/11. But I never did. Every morning, I received a briefing on the threats to our nation. I vowed to do everything in my power to keep us safe. Over the past seven years, a new Department of Homeland Security has been created. The military, the intelligence community and the FBI have been transformed. Our nation is equipped with new tools to monitor the terrorists' movements, freeze their finances and break up their plots. And with strong allies at our side, we have taken the fight to the terrorists and those who support them. Afghanistan has gone from a nation where the Taliban harbored al-Qaida and stoned women in the streets to a young democracy that is fighting terror and encouraging girls to go to school.
Iraq has gone from a brutal dictatorship and a sworn enemy of America to an Arab democracy at the heart of the Middle East and a friend of the United States.
There is legitimate debate about many of these decisions. But there can be little debate about the results. America has gone more than seven years without another terrorist attack on our soil. This is a tribute to those who toil night and day to keep us safe _ law enforcement officers, intelligence analysts, homeland security and diplomatic personnel, and the men and women of the United States Armed Forces.
Our nation is blessed to have citizens who volunteer to defend us in this time of danger. I have cherished meeting these selfless patriots and their families. And America owes you a debt of gratitude. And to all our men and women in uniform listening tonight: There has been no higher honor than serving as your commander in chief. The battles waged by our troops are part of a broader struggle between two dramatically different systems. Under one, a small band of fanatics demands total obedience to an oppressive ideology, condemns women to subservience and marks unbelievers for murder. The other system is based on the conviction that freedom is the universal gift of Almighty God, and that liberty and justice light the path to peace. This is the belief that gave birth to our nation. And in the long run, advancing this belief is the only practical way to protect our citizens. When people live in freedom, they do not willingly choose leaders who pursue campaigns of terror. When people have hope in the future, they will not cede their lives to violence and extremism. So around the world, America is promoting human liberty, human rights and human dignity. We're standing with dissidents and young democracies, providing AIDS medicine to dying patients _ to bring dying patients back to life, and sparing mothers and babies from malaria. And this great republic born alone in liberty is leading the world toward a new age when freedom belongs to all nations.
For eight years, we've also strived to expand opportunity and hope here at home. Across our country, students are rising to meet higher standards in public schools. A new Medicare prescription drug benefit is bringing peace of mind to seniors and the disabled. Every taxpayer pays lower income taxes. The addicted and suffering are finding new hope through faith-based programs. Vulnerable human life is better protected. Funding for our veterans has nearly doubled. America's air and water and lands are measurably cleaner. And the federal bench includes wise new members like Justice Sam Alito and Chief Justice John Roberts.
When challenges to our prosperity emerged, we rose to meet them. Facing the prospect of a financial collapse, we took decisive measures to safeguard our economy. These are very tough times for hardworking families, but the toll would be far worse if we had not acted. All Americans are in this together. And together, with determination and hard work, we will restore our economy to the path of growth. We will show the world once again the resilience of America's free enterprise system.
Like all who have held this office before me, I have experienced setbacks. There are things I would do differently if given the chance. Yet I've always acted with the best interests of our country in mind. I have followed my conscience and done what I thought was right. You may not agree with some of the tough decisions I have made. But I hope you can agree that I was willing to make the tough decisions.
The decades ahead will bring more hard choices for our country, and there are some guiding principles that should shape our course.
While our nation is safer than it was seven years ago, the gravest threat to our people remains another terrorist attack. Our enemies are patient, and determined to strike again. America did nothing to seek or deserve this conflict. But we have been given solemn responsibilities, and we must meet them. We must resist complacency. We must keep our resolve. And we must never let down our guard.
At the same time, we must continue to engage the world with confidence and clear purpose. In the face of threats from abroad, it can be tempting to seek comfort by turning inward. But we must reject isolationism and its companion, protectionism. Retreating behind our borders would only invite danger. In the 21st century, security and prosperity at home depend on the expansion of liberty abroad. If America does not lead the cause of freedom, that cause will not be led.
As we address these challenges _ and others we cannot foresee tonight _ America must maintain our moral clarity.
I've often spoken to you about good and evil, and this has made some uncomfortable. But good and evil are present in this world, and between the two of them there can be no compromise. Murdering the innocent to advance an ideology is wrong every time, everywhere. Freeing people from oppression and despair is eternally right. This nation must continue to speak out for justice and truth. We must always be willing to act in their defense _ and to advance the cause of peace.
President Thomas Jefferson once wrote, "I like the dreams of the future better than the history of the past." As I leave the house he occupied two centuries ago, I share that optimism. America is a young country, full of vitality, constantly growing and renewing itself. And even in the toughest times, we lift our eyes to the broad horizon ahead....There have been good days and tough days. But every day I have been inspired by the greatness of our country, and uplifted by the goodness of our people. I have been blessed to represent this nation we love. And I will always be honored to carry a title that means more to me than any other _ citizen of the United States of America. And so, my fellow Americans, for the final time: Good night. May God bless this house and our next president. And may God bless you and our wonderful country. Thank you.

- 5 L'intervista al presidente

Ecco una lunga intervista col presidente eletto a pochi giorni dall'insediamento. Domani parte la carovana da Philadelphia

Presentiamo il libro, il 20 gennaio a Roma



Roma, 20 gennaio - ore 16.00

Sala della Pace della Provincia di Roma, Via IV Novembre 119/a

Presentazione del libro:

"Come cambia l'America. Politica e società ai tempi di Obama"

di Mattia Diletti, Martino Mazzonis e Mattia Toaldo

edito dalle Edizioni dell'Asino

Saluti di: Nicola Zingaretti, Presidente della Provincia di Roma

Intervengono: Cecilia D'Elia, Assessore alla Cultura della Provincia di Roma; Massimiliano Smeriglio, Assessore al Lavoro della Provincia di Roma; Guido Moltedo, quotidiano Europa; Marco Contini, Repubblica; coordina: Giulio Marcon, Edizioni dell'Asino


Alle 18 visione del discorso inaugurale di Barack Obama


Ecco il testo dell'invito e il link alla notizia sul sito della provincia di Roma; qui l'evento su facebook e qui la scheda a cura del nostro editore

15 gennaio 2009

Che fare con i fedeli?

Una bella analisi e racconto di LA Times sulla riorganizzazione della campagna Obama, uno dei temi che ci stanno a cuore, una delle chiavi della vittoria e forse del successo della futura amministrazione. Cosa fare con le centinaia di migliaia (o milioni) di volontari e donatori entusiasti? Serviranno a diffondere messaggi o, qualcuno ha quest'idea, diventerà una rete di community organizers? Comunque vada, scrive LA Times, qualche democratico locale non sarà contento di avere un gruppo del presidente nel suo distretto.

Ricordati di pagare la colf

Qualche guaio per Geithner, il futuro Segretario al Tesoro, che ha pagato in ritardo i contributi per la donna delle pulizie a altre cosette. Il NYT scherza: all'audizione di conferma - ogni Segretario viene sottoposto al giudizio del Senato e spesso le audizioni sono un calvario, chiedete all'ex attorney general Gonzales - Geithner non è stato troppo torchiato sulla faccenda perché "troppo grande per fallire". Ovvero, nessuno si prende la briga di attaccare troppo uno che tutti dicono essere preparato e far crollare le borse per tre giorni di seguito per una cosa che non ha a che vedere con la politica. L'altro guaio, secondo Politico è relativo allo strabordante modo di fare di Larry Summers, consigliere economico della Casa Bianca. In questi giorni si è visto molto (e molto più di Geithner). Gli Obamas dicono che è perché il Segretario non è ancora stato confermato, Politico si chiede se non sia questione di carattere e se questo non lasci intravedere rischi di convnvenza difficile. Forse sono quisquilie in attesa delle celebrazioni (Obama fa vendere copie ai giornali in crisi?)

12 gennaio 2009

La soluzione irlandese per Gaza

Nella girandola di nomi per la nuova amministrazione Obama il New York Times aveva fatto un'ipotesi diversa da quella che abbiamo avvallato noi nel post qui sotto:invece di nominare un solo inviato speciale per tutta la regione, il nuovo presidente darebbe al neoliberal Dennis Ross la responsabilità dell'Iran (guardate di che gruppo bipartisan fa parte) mentre del conflitto arabo-israeliano se ne occuperebbe il realista e presidente del Council on Foreign Relations Richard Haas, già membro della prima amministrazione Bush. Su Newsweek, Haas delinea una possibile soluzione al conflitto di Gaza: ci sarà un cessate il fuoco che però lascerà i problemi sul terreno, gli Usa dovranno quindi subito avanzare una loro proposta definitiva per il processo di pace che guardi agli accordi che hanno terminato il conflitto in Irlanda del Nord. In sostanza Haas da vero realista dice che bisogna dare incentivi anche a gente di Hamas ad abbandonare il fucile per scegliere la politica. Il presidente del CFR va poi nei dettagli e descrive i contenuti della proposta americana: una Palestina nei confini del 1967 ma con la preservazione dei blocchi di colonie più grandi;compensazioni territoriali per queste annessioni israeliane; una qualche forma di sovranità su Gerusalemme Est e sui luoghi santi che permetta ai palestinesi di stabilire lì la capitale; il diritto al ritorno dei profughi solo nel nuovo Stato palestinese; il dispiegamento di una forza di polizia composta da paesi "arabi ed islamici" per controllare il territorio. Tutto molto bello, se non fosse che al momento non esiste una leadership palestinese laica con cui trattare e il prossimo vincitore delle elezioni israeliane potrebbe essere Benjamin Netanyahu. Su quest'uomo è utile fin da ora fare un piccolo excursus anche per evitare le banalità sul fatto che i palestinesi non riconoscono l'esistenza di Israele. Per limitarsi a Bibi Netanyahu il sentimento è reciproco: nel suo libro "A Place Among Nations" dei primi anni '90 il futuro leader del Likud diceva che l'unica via per garantire la sicurezza di Israele era tenersi la Cisgiordania e non permettere la nascita di uno Stato palestinese. Da allora lui e il suo partito non hanno mai granchè rinnegato quella teoria.

10 gennaio 2009

L'uomo di Obama per il Medio Oriente, forse

Più di una voce nei giorni scorsi ha rivelato la scelta di Barack Obama come super-inviato per il Medio Oriente: Dennis Ross, già negoziatore-chiave negli anni di Bush senior e Clinton e uno degli artefici della politica americana nella regione negli ultimi anni '90. Ha'aretz ci da i nomi anche di altri consiglieri speciali che la Clinton avrebbe scelto, tra di essi Philip Gordon ai rapporti con l'Europa. Un osso duro, ma di una durezza diversa rispetto a quella a cui ci aveva abituati Bush. The Cable ci spiega come Ross sarebbe la scelta più centrista rispetto al falco Martin Indyk e ai progressisti Aaron Miller e Daniel Kurtzer. Ross tra le altre cose è anche il direttore del Washington Institute for the Middle East, che sul Medio Oriente scrive cose molto chiare (e molto vecchie): procedere ad accordi temporanei (già fallito); isolare Hamas e sostenere Abu Mazen (già fallito); puntare ad una strategia regionale (un po' meno fallito). Di certo Ross fa parte del gruppo dei neoliberal, di cui ci sentirete parlare un po' nel libro e nell'articolo che uscirà prossimamente per Limes. Intanto basti dire che sono un gruppo che probabilmente ispira anche il vicepresidente Biden e che ha posizioni di compromesso tra i falchi dell'amministrazione Clinton, i neocon e i realisti della presidenza di Bush senior. Staremo a vedere, intanto Ross ha cancellato le sue lezioni all'università di Georgetown.

8 gennaio 2009

Lo accendiamo?

Anche noi, come certi esponenti politici italiani, cambiamo spesso idea. D'altronde, come disse uno di questi leader politici alla sua 487esima giravolta, solo i cretini non cambiano idea. Quella che vedete qui sopra è la copertina definitiva del nostro libro, in uscita nelle migliori librerie a fine gennaio ma disponibile nelle nostre presentazioni già dal 20 gennaio. I romani, per esempio, si scrivano sull'agenda che hanno da fare il 20 gennaio (grande evento mondano, prossimamente i dettagli, intanto preparate il vestito buono) e pure il 21 al nostro amato Flexi. I bolognesi invece hanno appuntamento con noi il 22 alla libreria Modoinfoshop. Volete presentare il nostro libro nella vostra città o nel vostro esclusivissimo salotto? Scriveteci, solo referenziati, no agenzie, no perditempo.

7 gennaio 2009

Gaza: Obama, finalmente, parla. E un paper di grande interesse

Il presidente eletto si è finalmente espresso: non parlare non vuol dire non essere preoccupati, al momento dell'assunzione dei poteri, lavorerò. Una novità che indica che, forse, magari, ce ne saranno al momento dell'insediamento. Intanto vi suggeriamo la lettura di questo position paper dell'Israel policy forum un think tank il cui nome dice tutto e che esprime posizioni interessanti (cessate-il-fuoco, dialogo con tutti w altro ancora). Più interessante è che i firmatari sono tutti ex ambasciatori in territori caldissimi (compresi Israele e Pakistan) e che una di questi è dentro al transition team. C'è, forse, da sperare un pochettino.

J Street per il cessate il fuoco a Gaza


J Street è la lobby filo isrealiana e pro-pace: è nata per controbilanciare il potere dell'Aipac. Qui la sua presentazione e qui la sua petizione per un immediato cessate il fuoco. Noi li abbiamo incontrati a luglio e ci sono sembrati aria fresca.

6 gennaio 2009

Il nuovo senatore degli Stati Uniti d'America, Al Franken

E adesso trovatemi l'Al Franken italiano, se siete bravi

zero zero chi?

Le reazioni della rete alla nomina di Leon Panetta - ex capo dello staff della Casa Bianca di Bill Clinton, il ruolo ora ricoperto da Rahm Emanuel - sono più o meno queste: perché? E' il mondo dell'intelligence a parlare. La scelta sembra essere una sorta di commissariamento politico della Cia. Su Foreign Policy la discussione è "meglio un insider" o un politico? Panetta tranquillizza i liberal, già angosciati da altre nomine di Obama nel campo della politica estera, grazie alle sue posizioni in tema di diritti umani e tortura (vedi qui il commento di David Corn su Mother Jones). E poi Panetta, 16 anni fa, cercò di ridurre il budget della Cia e di avere maggiore trasparenza sulle spese effettuate dall'agenzia. Ecco comunque le parole di Panetta il mese scorso:

According to the latest polls, two-thirds of the American public believes that torturing suspected terrorists to gain important information is justified in some circumstances. How did we transform from champions of human dignity and individual rights into a nation of armchair torturers? One word: fear.
Fear is blinding, hateful, and vengeful. It makes the end justify the means. And why not? If torture can stop the next terrorist attack, the next suicide bomber, then what's wrong with a little waterboarding or electric shock?
The simple answer is the rule of law....
Those who support torture may believe that we can abuse captives in certain select circumstances and still be true to our values. But that is a false compromise. We either believe in the dignity of the individual, the rule of law, and the prohibition of cruel and unusual punishment, or we don't. There is no middle ground.
We cannot and we must not use torture under any circumstances..

Sul blog del New York Times The Caucus un'ulteriore rassegna sulla questione (sulla faccenda del capo della Cia che è un calabrese, invece, facciamo gli spiritosi perché uno di noi è di quelle parti).

Siderno

un link alla proloco di Siderno (Rc), paese d'origine di Leon Panetta, nuovo capo della Cia. Il sito è in ristrutturazione, ma fidiamo nei potenti mezzi dell'intelligence americana: presto sarà tutto a posto.

5 gennaio 2009

L'ultima copertina

Notizie politiche di qualche rilievo


1. I democratici in Senato potrebbero essere 59. Così almeno sembra di capire dalle notizie di oggi. Al Franken, l'ex comico di Saturday night life e oggi opinionista molto liberal, dovrebbe aver vinto il seggio in Minnesota. Il riconteggio delle schede è stato completato e Franken dovrebbe averla spuntata per qualche scheda (il 4 novembre era il suo avversario ad avere il vantaggio, ma immediatamente erano state denunciate irregolarità). Brutto colpo per Norm Coleman, senatore uscente e possibile stella nascente del Grand Old party e per tutto il suo partito. La convention si è tenuta nel suo Stato e non aver vinto nulla, nel nordico Minnesota, è un pessimo risultato. Ecco l'AP da Huffington post.
Di Bill Richardson sono già pieni i giornali: il segretario al commercio designato rimane con un pugno di mosche. Si è dovuto dimettere a causa di una indagine relativa a un affaire capitato ad Albuquerque. C'è un'indagine su di lui, lui e Obama giurano che non c'è nulla ma che per consentire al dipartimento di funzionare l'ex governatore e sostenitore della (quasi) prima ora di Obama sceglie di farsi da parte. Politico spiega che il team Obama ha messo spalle al muro la gente di Richardson e non ha avuto nulla in cambio. L'amministrazione perde un pezzo che sarebbe stato interessante e utile in America latina.
Tim Kaine, governatore della Virginia, è stato messo alla testa del Dnc, l'organo organizzativo democratico portato alla statura di organismo dirigente da parte del predecessore di Kaine, Howard Dean. La scelta di Kaine, sostenitore di Obama e governatore del Sud, indica la volontà di perseguire la strategia dell'espansione della forza del partito in zone non tradizionali per i democratici.

4 gennaio 2009

Perché il GOP è alla frutta

Una spiegazione lucida e sintetica è quella di Paul Krugman (originale no? Se non ci fossimo noi a chi viene in mente di guardare la rubrica del nobel dell'economia sul primo giornale americano). Il tema non è attuale per l'Europa che guarda al Medio oriente con angoscia, ma tant'è. Secondo Krugman è la strategia del Sud, contraria ai diritti civili negli anni 60, che ha messo i repubblicani nei guai in cui si trovano. Redistribuzione attraverso le tasse voleva dire, a Sud, aiutare "quelli la" (i neri) e quindi si era contrari. Quella scelta era una continuazione della fiera opposizione al movimento per i diritti civili che ha consentito ai repubblicani di papparsi il Sud che fino ad allora era schierato con i democratici. Krugman trae anche una consclusione sulla possibilità che si apre per Obama: questo non è il 1993 e la retorica contro il big governement non sarà efficace come lo fu con Clinton. Le teorie economiche della destra si sono sgretolate. Anyway, ecco l'articolo.

3 gennaio 2009

Ancora su Gaza

Meir Javedanfar sul blog di RealClearWorld ci spiega quali sono gli interessi di Teheran nella guerra di Gaza: proteggere il proprio ruolo regionale e, per Ahmadinejad, far dimenticare il piano di austerità economica prima delle elezioni presidenziali. Due delle menti migliori di oltreoceano, Daniel Levy e Amjad Atallah della New America Foundation, spiegano cosa può fare l'America in questa crisi: non solo negoziare una tregua ma mettere in piedi un meccanismo serio di verifica, favorire un governo di unità nazionale palestinese e soprattutto lasciare che europei ed arabi parlino con Hamas. La politica dell'amministrazione Bush (perchè Obama sappiamo che sta facendo lo struzzo) è criticata dai realisti conservatori del National Interest che fanno notare che va bene sostenere Israele ma il sostegno non può essere incondizionato. Il rischio, secondo loro, è che a forza di legittimare il diritto di reazione al terrorismo diventi poi impossibile frenare la reazione indiana contro il Pakistan. Infine un articolo del teologo mussulmano atipico Tariq Ramadan sul Guardian invita i mussulmani a "farsi maggioranza" e a stringere alleanze transreligiose: Gaza non ha a che fare con l'Islam ma con la "prepotenza israeliana". Un tentativo di uscire dal guscio e rilanciare la palla in un brutto momento. Difficile che venga ascoltato.

L'Economist e Gaza

Oggi grazie all'Economist arriva una ventata di saggezza. L'editoriale della rivista del primo numero del 2009 analizza la guerra in corso, mettendo in evidenza come l'attacco israeliano non abbia logica:

In general, a war must pass three tests to be justified. A country must first have exhausted all other means of defending itself. The attack should be proportionate to the objective. And it must stand a reasonable chance of achieving its goal. On all three of these tests Israel is on shakier ground than it cares to admit.

In sostanza: Israele continua a scegliere la guerra senza perseguire vie politiche per la soluzione dei problemi; bombarda e uccide senza criterio quelli che saranno sempre e comunque i suoi vicini, oggi, domani e tra venti anni; sta per cominciare un attacco di terra nel quale è probabile si azzeri la sua superiorità militare e che può diventare un nuovo Libano, con gli stessi problemi del 2006.

A Obama, invece, il premio "struzzo 2009": così solerte a intervenire - a ragione - sull'economia, così assente e attento alle prerogative istituzionali di Bush in materia di politica estera. Ancora l'Economist ci ricorda che prima o poi dovrà prendere posizione, anche se su questo conflitto è lecito aspettarsi il solito approccio degli ultimi dieci anni.

1 gennaio 2009

2009

Auguri: è finito il 2008, anno bisestile. Dopo l'America, arriva un'altra pioggia di elezioni mica da ridere. Febbraio: Israele. Aprile: Indonesia. Giugno: Iran e Unione Europea. Settembre: Germania. Dicembre: Bolivia e Cile. E poi l'Afghanistan, l'India, l'Iraq, il Giappone, la Palestina, il Sud Africa. Anche il Parlamento delle Fiji.