29 aprile 2009

100 giorni e 60 senatori

Oggi sono 100 giorni che Barack Obama è alla presidenza. Un inizio impegnativo sia per i problemi che ha dovuto affrontare sia per le iniziative messe in campo: il pacchetto di stimolo dell'economia, l'estensione dell'assicurazione sanitaria ai bambini poveri, l'equiparazione salariale tra donne e uomini, l'inizio della discussione sul servizio sanitario universale solo per citare alcune misure e trascurando del tutto la politica estera che merita un discorso a parte. Ecco la sintesi -analisi del Washington Post, che in un altro articolo spiega come sia stata proprio la battaglia sullo stimolo fiscale a determinare la strategia del presidente: ha capito che non poteva contare sul consenso bipartisan dei repubblicani e che era il momento di fare come aveva fatto nella campagna e cioè puntare direttamente a costruire consenso nel Paese. Poi, certo, all'epoca aiutò parecchio il voto di un senatore repubblicano della Pennsylvania: un tale Arlen Specter (nella foto) che votò a favore facendo infuriare il suo partito. Da ieri questo uomo è proprio passato tra le fila dei democratici, rendendone a prova di ostruzionismo la maggioranza in senato. Una sveglia per i repubblicani, che secondo Dan Balz dovrebbero ora rendersi conto che stanno diventando un partito puramente conservatore e solo del sud del Paese. La stessa preoccupazione che mostra il Wall Street Journal, vicino proprio ai repubblicani, che spiega come nelle elezioni del senato del 2010 potrebbe andare anche peggio: molti dei seggi in palio sono in stati dove i democratici sono andati molto bene nel 2008. Si calcola un'avanzata di un paio di seggi, anche nel caso la situazione economica non migliori.

26 aprile 2009

Nella giusta direzione?

Secondo un sondaggio del Washington Post il presidente Obama ha un alto indice di gradimento: soffre un po' sulla decisione di rendere noti i memo sulle torture, sull'immigrazione e sugli aiuti al settore dell'auto. Ecco il commento del giornale sui dati. I repubblicani, nel frattempo, sognano un ritorno di fiamma degli elettori per loro nelle elezioni di mezzo termine del 2010. Possibile, se il presidente fallirà in quella politica economica alla quale loro si sono opposti. Ma, come nota il sondaggista Stuart Rothenberg, perchè si invertano le maggioranze al Congresso serve un'onda di insoddisfazione o un grande desiderio di cambiamento. Per ora non se ne vedono le condizioni. Anzi, per la prima volta dall'aprile 2003 (la guerra in Iraq volgeva al termine) la maggioranza assoluta degli americani dichiara che il suo paese sta andando nella giusta direzione. Chissà se tra più di un anno avrà cambiato idea.

19 aprile 2009

Sull'Iran il Mit va oltre Obama

Avevamo scritto mesi fa - anche su Limes - di come la politica americana verso l'Iran avesse già cominciato a cambiare prima dell'arrivo di Barack Obama alla Casa Bianca. Piccoli movimenti di allontanamento dalla linea dell'isolamento e della contrapposizione ideologica seguita al discorso sull'asse del male del gennaio 2002: uno per tutti la partecipazione del sottosegretario agli esteri ai colloqui di Ginevra della scorsa estate. Iniziò il Princeton Project on National Security a dire che bisognava pensare diversamente e continuò l'Iraq Study Group di Hamilton e Baker. Oggi il presidente mostra di volere una politica diversa, basata sul riconoscimento della repubblica islamica e un confronto su tutti i dossier (Afghanistan e Iraq in primis) piuttosto che solo sul nucleare. Ma c'è chi va oltre e propone un approccio più coraggioso. E' il caso del Center for International Studies del prestigioso MIT, certo non un piccolo circolo culturale liberal. In un rapporto uscito nei giorni scorsi si propone di normalizzare le relazioni diplomatiche (interrotte nel 1979) ed abolire le sanzioni unilaterali. L'obiettivo è di rompere la politica del "carota e bastone" sostenuta anche da molti democratici finora e che ha isolato i dissidenti interni e rafforzato i conservatori. L'approccio qui proposto è l'inverso: prima la normalizzazione e la distensione e poi i cambiamenti nelle politiche. Nulla di molto diverso dallo spirito della diplomazia triangolare degli anni '70. Nessuno finora era arrivato a tanto, neanche nei think tank progressisti di Washington. Ecco il commento del Boston Globe e una scheda sintetica del rapporto.

18 aprile 2009

Si cambia anche con l'America Latina

Almeno così sembra di capire. Già al G20 il duetto con Lula c'era stato. Adesso, al Vertice delle Americhe, oltre alla stretta di mano che vedete qua sotto - destinata a creare un finimondo repubblicano - c'è anche l'apertura nei confronti di Cuba. Del resto, e a prescindere da come la si pensi sulla vicenda castrista, se un Paese ha rapporti con Pechino e l'Arabia Saudita, riesce davvero difficile capire perché non dovrebbe averli con la Havana. Obama ha parlato di fresh start, nuovo inizio, nei rapporti con la isla. E proprio ieri Raul Castro aveva finalmente cambiato tono, dicendo di essere disposto a parlare di tutto con Washington. Il fresh start potrebbe aiutare il potere cubano e regalare un successo a Obama. Funzionerà una politica estera fatta di mani tese? All'Iran, alla Cina, a Cuba? Tutti fronti aperti che potrebbero bruciare le dita del presidente o farlo crescere immensamente. Qui la cronaca del Nyt e qui una lunga analisi del Washington Post sui fallimenti della politica cubana degli States (una frase usata ieri da Hillary Clinton). E per finire, sulla pagina degli approfondimenti del Truman project, trovate in testa un rapportino sui rapporti americano cubani.

Oh my god!

14 aprile 2009

Fine dell'ossessione cubana

Come sempre ricordiamo Obama è il presidente del dopo guerra fredda, l'unico ad aver passato la maggior parte della sua vita da adulto senza Muro di Berlino (anzi, nel libro lo definiamo il Presidente del "dopo dopoguerra", qualcosa di ancora diverso). La sua strategia pubblica sembra essere quella di non lasciare tregua alla stampa e all'opinione pubblica, sempre all'offensiva. E ora tocca a Cuba dove, come saprete, l'amministrazione intende rendere più facile recarsi per chi parte dagli Usa e inviare oggetti ai propri parenti.

Da tempo si dice che le nuove generazioni di cubano-americani (quelle nate negli Usa) sono meno ossessionate dall'anticastrismo dei loro genitori, ma adesso persino la Cuban American National Foundation è d'accordo con le misure proposte da Obama. Sono i più anticastristi di tutti, ma a quanto pare è finito il tabù: l'idea probabilmente è quella, con il tempo, di correre a ricomprarsi Cuba prima che lo facciano gli europei, i canadesi, i cinesi e i messicani, che hanno già un bel vantaggio (insomma, il 2008 ci dice che in Florida non si vincono più le elezioni con l'anticastrismo, e che l'anticomunismo è un'ossessione ormai solo italiana).

Su Stratfor un'articolata interpretazione storica e geopolitica dell'evoluzione dei rapporti tra cubani e americani.

7 aprile 2009

Gates taglia i sistemi d'arma. Guai con i lobbisti del Congresso

Robert Gates, Segretario alla Difesa degli ultimi mesi di Bush e, oggi, di Obama è un acceso sostenitore di una strategia militare diversa da quella che ha informato la guerra in Iraq. E quindi ripensa la spesa militare. Via l’F22 Raptor fighter, via i Future combat systems, e il Multiple kill vehicle, la nave Class destroyer e l’elicottero presidenziale. Colpiti e affondate la Lockheed, la Boeing, Northrop Grunman e General Dynamics.
E poi tagli all’uso indiscriminato di contractors e subcontractors, cresciuti fino al 39 per cento dal 2001 ad oggi. Gates prevede un ritorno al livello pre 11 settembre. Tagli per 39mila persone in cinque anni, una parte dei quali (20mila) verranno assunti direttamente dal Pentagono. Tra i tagli previsti c’è anche il nuovo elicottero presidenziale nel quale è impegnata anche AgustaWestland società di Finmeccanica.
I tagli di Gates si sono abbattuti anche su altri programmi, come lo scudo antimissile.
Le lobby affilano i denti e diversi congressisti autorevoli molto amici dell'industria aerospaziale hanno protestato - ad esempio il senatore Liebermann e il deputato Murtha, avversario della guerra in Iraq e campione assoluto del Pork barrel spending. Lo scontro sarà duro e qualcosa l'amministrazione si rimangerà. Gates ha dichiarato: «Tutti cominceranno a parlare di pericoli per il Paese causati dai tagli. Sono gli stessi che ci richiamano al rigore fiscale. E' questione di scelte». Oltre ai congressisti stipendiaiti dalle lobby protestano anche quei deputati e senatori che vengono da Stati particolarmente beneficiati in termin occupazionali da queste imprese. I tagli, ha spiegato Gates, sono anche investimenti in sistemi d’arma necessari a fare la guerra in Afghanistan. Niente pacifismo, ma tagli agli sprechi fatti per sovvenzionare l’apparato militare industriale.

4 aprile 2009

Laggiù in Iowa

Mentre Barack Obama è in giro per l'Europa il suo Paese continua a cambiare. L'Iowa, che fu cruciale nella sua ascesa politica quando gli consegnò la maggioranza dei voti nelle primarie di poco più di un anno fa, ha legalizzato i matrimoni tra omosessuali. Ha deciso la corte suprema dello stato dicendo che il parlamento locale ha escluso da un diritto fondamentale una classe di cittadini senza una giustificazione costituzionalmente fondata. Dopo il Connecticut e il Massachussets l'Iowa è il terzo stato a legalizzare le nozze gay, presto potrebbe essere seguito dal Vermont. Un successo di cui il movimento gay aveva bisogno dopo la sconfitta nel referendum in California dove, anche grazie al voto delle minoranze, erano stati bocciati i matrimoni omosessuali. L'Iowa poi sarà il primo Stato a votare nelle primarie repubblicane per il 2012: ecco un'analisi su come questa questione potrebbe influenzare la gara.

G20, le conferenze stampa, l'Italia (e i suoi media)

Il G20 è passato, aspetteremo settembre per capire se si faranno o meno passi in avanti su molti dei temi su cui si sono fatte timide scelte - un esempio che non implica scelte politiche: i soldi per l'Fmi, tranne gli Sdr di cui parliamo un paio di post sotto, vanno decisi dai Parlamenti. Quanto ci metterano a votare?
Nella foga dell'altra sera c'è un particolare non inutile che va raccontato. Quello delle due ore di cnferenza stampa dei leader. Per Obama c'era la fila. Coloro tra i giornalisti che non lavorano sull'America erano ansiosi di vedere la star. Sarko pure ha fatto il pieno. Interesting enough, il presidente francese ha fornito molti particolari sulle trattative. Lo ha fatto, forse, per vendere la sua vittoria, ma per chi fa questo mestiere, uno che ti racconta delle cose è più utile di chi sta abbottonato.
Mentre tutti si sperticavano a spiegare alla loro stampa quali passi in avanti si sono fatti al G20 e l'importanza di aver deciso qualcosa in tanti - il vero successo del vertice è proprio questa novità - Silvio Berlusconi raccontava che l'Italia è stata cruciale per inserire la clausola sociale. Andatela a cercare nelle cronache di qualsiasi giornale del mondo. Non la troverete. Non perché non ci sia, ma perché è inutile: si dice che la preoccupazione dei venti è per le famiglie che lavorano e che la ripresa deve essere anche pe loro. Fondamentale no?
La preoccupazione della stampa italiana? Prima domanda: Tutti scherzano sulla sua foto con il pollice in su, ci parli della diplomazia della pacca sulla spalla. E poi lo sconforto per aver capito che a La Maddalena non succederà nulla. Preoccupatevi, il Paese perde punti ogni giorno. Al G20, se non per le gaffes, è stato come non esserci (o quasi)

2 aprile 2009

G20, Obama, il comunicato finale e qualche perplessità

Obama non è il vincitore di questo vertice, il vincitore è Sarko. Eppure, nella conferenza stampa il presudente Usa ha saputo spiegare bene alcune cose, fare annunci e portare a casa un successo coi media (ma questa è un'abitudine). Obama ha spiegato che stavolta si è discusso animatamente e si è cercato un accordo, come aveva detto avrebbe cercato di fare coi repubblicani a casa. Questa è la vera grande novità di questo G20, con la conferenza stampa che comincia in ritardo perché si mette a punto un comunicato dove ci sono dei contenuti. Lotta ai paradisi fiscali, regole per gli hedge funds e per gli stipendi dei manager, più soldi all'Fmi. Certo, una velina che circola da queste parti dice che l'elenco dei paradisi cattivi, in questo momento comprende solo tre Paesi (Uruguay, Filippine, Costarica, non i più importanti, anzi). Vedremo come si procederà: il G20 si riconvoca, probabilmente per settembre a New York per verificare i pasi in avanti fatti. Domani rassegne stampa e riflessioni finali. Qui il testo finale del G20, è la pagina dello speciale Bbc, come sempre c'e un sacco di commenti, analisi e dati.

G20, Cosa sono i soldi in più all'Fmi

Sembra di capire che la grossa novità della giornata sarà una ricapitalizzazione degli Sdr (la cifra circola, ma me la sono persa). L'aumento degli Sdr, gli special drawing rights ha un significato interessante: fa tornare il Fondo monetario alle origini. Gli Sdr infatti sono una quota dei fondi che ciascun Paese membro ha diritto a ritirare, come fosse un bancomat. Ciascun Paese ha una quota X che può prelevare per un periodo breve - una crisi, appunto - se trova qualcun altro che nelle proprie casse nazionali ha fondi a volontà ed è disposto a versare la quota che il primo intende ritirare. Una forma di solidarietà finanziaria multilaterale. Quando il Fmi fu pensato, a Bretton Woods, in tempi di crisi diversi a questi ma altrettanto difficili, doveva servire come banchiere dotato di diversi strumenti di intervento utili a soccorrere economie in crisi. Nel tempo, strumenti finanziari diversi sono stati reati per rispondere a diversi tipi di crisi (monetarie, fluttuazione dei prezzi delle materie prime, momentanei eccessi di deficit). L'Sdr è appunto uno di questi strumenti creato nel 1967. La situazione è tale che anche grandi Paesi che non ricorrono al Fmi dai tempi della ricostruzione post guerra mondiale, rischiano di essere costretti a farlo. E che pochi Paesi, la Cina prima e sopra di parecchio a tutti, potrebbero decidere di mettere a disposizione i loro forzieri per garantire prelievi Sdr a chi ne avesse bisogno. L'aumento, più che consistente della quota Sdr, insomma, significa un immissione di soldi freschi nel sistema internazionale senza bisogno che le Banche centrali si trovino costrette a stampare soldi. Questa è una misura keynesiana. Non è ancora chiaro se, come e perché, paesi con un surplus di moneta nei forzieri si siano detti disponibili a dare soldi così.
Gli altri aumenti di capitale per il Fondo monetario sono più facili da spiegare. C'è un fondo per i Paesi a medio reddito - molti est europei, la Turchia, il Sud Africa, ecc. - che si trovano in cattive acque e potrebbero essere costretti a ricorrere all'aiuto del Fmi. I soldi sono parecchi, ma, e questo è un problema, i Paesi in difficoltà sono molti di più. Il secondo problema è che essendo così tanti i Paesi in difficoltà, non ce ne sono disposti a contribuire all'Fmi con cifre più sostanziose. La terza parte dei soldi sono per i poveri, c'è un aumento, non cambia molto. I contributi al commercio interneazionale (fondi che garantiscono gli investimenti, ecc.) aumentano anche quelli. Noente di nuovo, succede quando gli scambi calano e viceversa.

G20, qualche novità francese?

Gli sherpa francesi sono scesi in sala stampa in forze: sembra che ci siano novità. Potrebbe essere un gioco per mostrare di non avere perso, oppure i 20 stanno discutendo per davvero. Si stanno facendo passi in avanti su ciascuno dei punti cruciali che abbiamo posto ieri. Sulla lista dei paradisi fiscali si litiga, su hedge funds e altro ci sarebbero passi in avanti. È una questione "molto complicata", hanno detto i francesi . Francia e Germania, in questo sono sostenute dal Brasile e da altri paesi, vogliono la lista. La discussione, hanno sottolineato ancora le stesse fonti, si concentra su questioni come i criteri in base ai quali deve essere compilata e chi debba procedere alla redazione.

G20, l'unico accordo sembra sull'Fmi

Il ministro delle Finanze (un sottosegretario) britannico Timms ha appena tenuto una conferenza stampa. Ha insistito molto sull'aumento dei fondi al Fondo monetario e sull'accesso per tutti a questi soldi. Segno che nel comunicato non ci sarà molto altro di sostanzioso. Si sottolineerà l'importanza della trasparenza per i paradisi fiscali e della fine del segreto bancario, ma non ci saranno elenchi di Paesi che non rispettano gli standard. "Stiamo discutendo sul timing di questo elenco e sulle eventuali sanzioni". Non stavolta. Berlusconi si frega le mani, un G8 inutile si potrebbe trasformare in un passaggio importante. Le cose rimandate oggi, potrebbero arrivare sul tavolo alla Maddalena.

Parte il vertice G20, aspettatevi poche sorprese

Un viaggio estenuante, due autobus, tre controlli e il tutto per cosa? Per arrivare in una specie di gigantesco hangar sul cui lato campeggiano le 20 bandiere dei grandi, percorso da serpenti di tavoli pieni di persone incollate allo schermo del computer. I grandi? Sono non lontano da qua, li vediamo nei grandi schermi muti (o quasi). Di quando in quando entra qualche sherpa delle delegazioni a parlare con i suoi giornalisti (non gli italiani, non hanno nulla da dire, credo).
Quanto al vertice, salvo colpi di scena, non ci sarà molto nel comunicato finale. Molti soldi all'Fmi, qualcosa sulla sua riforma, poco su riforme e stimolo, poco sui paradisi fiscali.
A dopo

1 aprile 2009

Il regalo a sua maestà

Obama ha regalato a Elisabetta un I pod con le foto della sua ultima visita negli States. Addio vecchi dipinti inutili, welcome pubblicità al made in Usa

G20, proteste (quasi) calme, sarko-merkel danno l'ultimatum (in diretta su questo blog)

Dopo aver passato un paio d'ore chiusi dalla polizia nella piazza antistante alla Bank of England, eccoci a scrivere. La polizia britannica è democratica e non ti fa passare nemmeno se hai la tessera stampa. Le manifestazioni sono state moderatamente tranquille (fino alle 17, quando scriviamo).
Ieri sul Financial Times parlavano il premier indiano Singh quello giapponese Aso. Il giorno prima Merkel. Quando si dice un quotidiano pesante.
Merkel e Sarko tengono una conferenza stampa. "Una sola voce, dice sarko in diretta su questo blog, a Washington abbiamo parlato di principi, a Londra vogliamo risultati. La crisi è economica ma nasce dalla finanza e per questo vogliamo regole: non ci sarà fiducia senza nuove regole. Questo è l'obbiettivo, non ce n'è un altro". Sui paradisi fiscali: nessuno può dire che i paradisi fiscali sono normali, non dobbiamo attaccarli domani, ma vogliamo la tracciabilità dei soldi, da dove viene, che passaggi fa e dove finisce. E' molto chiaro.
"Gli hedge funds devono essere registrati e controllati, ma nessuna istituzione finanziaria può essere fuori controllo".
Sempre sarko, che fa la parte del leone, "il comunicato finale lo mettiamo insieme domani, altrimenti perché ci dovremmo riunire domani?". Su Obama: io ho fiducia in lui, ma se vuole change, facciamolo, colpiamo i paradisi fiscali. Merkel su trattative tra regole in cambio di stimolo: non c'è horse trading, non siamo al mercato, abbiamo posizioni chiare e una cosa non esclude l'altra. Ma non scambiando una cosa per l'altra.
E qui finisce la conferenza stampa, tutti vanno a cena da Sua Maestà. Il messaggio è chiaro: il capitalismo centro-europeo, regolato e interventista, chiede il conto a quello anglosassone. A cui, a dire il vero, si è molto avvicinato negli ultimi decenni.
Obama ha visto Brown, Medvedev e Hu. Il tentativo è quello di trovare una via d'uscita da un mezzo fallimento del vertice. Regolatori (Berlino e parigi) contro stimolatori (Usa e Uk), con Cina che fa l'arbitro e gli altri schierati in maniera sparsa sui vari temi (il Giappone è pro stimolo, Aso lo dice su FT). Il problema è che, come scrive Wolfe sul FT di ieri, è il mercato globale ad essere sbilanciato. Chi ha speso troppo, spende per rilanciare l'economia attraverso i consumi, chi avrebbe un mercato interno da stimolare, spera nel rilancio dei consumi di chi ha speso troppo (e scommette sul non ritorno del protezionismo). Così chi dorme su un surplus enorme (Cina, ma anche Germania) desidera continuare ad accumulare, mentre chi è dentro a una voragine di debito ne produce di nuovo. Il problema è il sistema, ma il sistema non si riforma in dodici ore. Sono tempi duri ma interessanti. L'assente più grande, l'attore minore per eccellenza di questo vertice, resta l'Italia di Berlusconi. Il Paese perde peso a prescindere da Silvio, ma lui non fa niente per impedirlo (e ci fa perdere anche il poco prestigio che abbiamo).