30 aprile 2008

Glossario della crisi economica/3. SUBPRIME 2.0

Titoli salsiccia, cartola- rizzazioni, obbligazioni.. come il caos dei mutui, tecnica- mente, contagia il mercato finanziario di tutto il mondo. Terza puntata del "Glossario della crisi economica" spiegato ai comuni mortali (a cura di Matteo Dian). Si parla ancora di mutui, di subprime: il fattore scatenante di una crisi che dipende dall'assoluta deregolamentazione del sistema finanziario americano. E scoprirete che nella finanza non ci sono mele marce ma salsicce infette.

Troppi danni, poca politica: Obama scarica il reverendo Wright

Stavolta è troppo, deve aver pensato Barack Obama. Il reverendo Wright, come un bambino che si diverte a fare i dispetti, è tornato in pubblico per ribadire le sue verità nella forma comunitaria-radicale che funziona per infiammare una platea tua, non a convincere chi non è già con te. Un nuovo, bel danno per il senatore (n.b. il video che vedete viene da Fox news, che non ci pensa su due volte a mandarlo in diretta). Dopo un giorno in cui, tutti i media americani pubblicavano editoriali sulle nuove uscite di Jeremiah, Obama ha dovuto prendere uscire allo scoperto e scaricare in forma secca il reverendo. Ecco la cronaca del Washington post. E così una figura che ha affascinato il giovane e disorientato Obama e che questi ha difeso fino all'ultimo, fedele a se stesso e alla sua immagina, rischia di essere un guaio vero. Specie a ridosso del voto cruciale in Indiana (ecco una cronaca-reportage dal blog della Reuters che mostra come Wright sia un danno)

Il mondo di Barack e quello di Hillary


E' un mondo sempre più ostile per gli USA. Come osserva l'Economist, dopo l'attentato a Karzai è oramai chiaro che l'Afghanistan si sta trasformando in un nuovo Iraq: guerra asimettrica e attentati nelle città. Il comandante di battaglione Gian P. Gentile, che in Iraq ci ha combattuto due volte, spiega che il surge ha funzionato temporaneamente solo grazie ai soldi dati alle forze tribali e ad un accordo politico con Moqtada al Sadr che ora non c'è più. La situazione, prevede lui, si risolverà all'americana: con una guerra civile in cui una parte del paese prevarrà sull'altra.
In questo mondo ostile Hillary Clinton preparà già, chissà quanto consciamente, una nuova guerra. Quella che il Boston Globe definisce la "dottor Stranamore" della politica americana ha dichiarato di recente che gli USA sotto la sua presidenza "distruggerebbero" l'Iran se questo attaccasse Israele. Obama, che pure aveva in passato minacciato l'uso dell'atomica contro al-Qa'ida, ha esposto il suo approccio "anti-dottrinario" in politica estera in una intervista a Newsweek:la questione non è fare la guerra agli "islamo-fascisti"ma togliere le armi di distruzione di massa ai terroristi; gli Stati Uniti continueranno a promuovere "il bene" nel mondo ma rispettando le tradizioni e i ritmi dei paesi in cui operano; infine, in Medio Oriente la scelta non è solo tra dittatori ed islamici radicali.

29 aprile 2008

E mo' l'americano chi lo fa?


C'hanno tolto Ciccio Rutelli che pareva Albertone nazionale, c'hanno abbattuto Uolter Weltroni che pensava che Nancy Brilli era come Marilyn (la ypsilon d'altronde c'è in tutti e due i nomi).. E noi che facciamo? Ci hanno lasciato solo Zingaretti che è il fratello di Montalbano, mica di Harrison Ford.. mannaggia..

La migliore analisi della politica romana su piazza è quella di Diego Bianchi, in arte Zoro. Dura dieci minuti ma va visto, anche se è molto crudo. Nel suo video dal comizio di chiusura di Walter Veltroni a Roma, in piazza del Popolo, un'analisi senza appello della politica italiana (e romana). Walter si è scordato il suo popolo.. ecco il link (con il supporto realizzativo di Paolo Virzì).

La nuova frattura culturale

Sul New York Times David Brooks propone una lettura nuova e affascinante delle elezioni americane, che qualcosa dovrebbe dire anche agli stanchi e vecchi leader del centrosinistra nostrano: la demografia conta e decide il voto. Una volta, dice Brooks, gli americani guardavano gli stessi programmi tv, leggevano le stesse riviste e i loro bambini giocavano insieme. Poi il paese si è diviso, i gruppi sociali sono diventiti tribù. Oggi la grande divisione è tra chi ha studiato e chi no, tra chi vota Obama e chi vota Clinton.
Jay Cost
cerca di indagare ancora più a fondo e ricorda le vecchie analisi analisi qualitative che studiò all'università, quelle in cui il ricercatore si sedeva a tavolino e parlava con la gente. Col tempo sono state sostituite da quelle quantitative: il ricercatore è seduto davanti ad un pc e legge i sondaggi. Il risultato è che sappiamo chi vota per chi, ma non perchè. La politica risponde a questo con più spot e più campagna elettorale, ma evidentemente non basta per spostare voti. Infatti, Cost dimostra che i voti non si spostano e le tribù continuano a votare come avevano già deciso.

28 aprile 2008

Largo ai giovani, ma non basta

Il Washington Post cita uno studio dell'università di Harvard e un sondaggio della CBS e di MTV per dire che questa volta, forse, i giovani conteranno: in alcune primarie la loro partecipazione al voto è triplicata, in Tennesse è addirittura quadruplicata. A smuoverli, in gran parte verso Obama, è la sensazione di avere davanti una vita peggiore dei propri genitori, un fenomeno parecchio italiano.
Ma questa mobilitazione, secondo Politico, potrebbe non bastare al senatore dell'Illinois per essere ritenuto presidenziabile: i giovani elettori sono ancora un numero più basso degli anziani con basso titolo di studio, che votano in gran parte per Clinton. Ciò che Obama perde in questa categoria non riesce a recuperarlo tra chi ha tra i 18 ed i 29 anni.

1974/2008: la fine dell'era di Reagan. L'involuzione conservatrice dice qualcosa anche all'Italia

"The Age of Reagan: a History, 1974 - 2008", è il titolo di un volume in uscita negli Stati uniti nel prossimo mese. L'autore è un celebre storico di Princeton, Sean Wilentz. Non si tratta di un intellettuale neutrale: è molto vicino ai Clinton e ha attaccato più volta Barack Obama nel corso di questa campagna elettorale. Anche se non amiamo Hillary, la tesi però ci trova concordi: comunque vada, vinca persino McCain, la coalizione conservatrice è al capolinea. Lo sosteniamo da quando abbiamo aperto questo blog tre mesi fa. Non sappiamo se una nuova coalizione progressista prenderà effettivamente il suo posto, ma all'involuzione del pensiero conservatore è difficile rimediare.

Paradossalmente il primo a rendersene conto è stato, in Italia, Giulio Tremonti con il suo "La paura e la speranza". I figli di un'ideologia minore come quella della Terza via, composta da chi negli anni '90 credeva da sinistra di governare il mercato e la globalizzazione, non riesce nemmeno a vedere i problemi che il pragmatico Tremonti può almeno discutere. Oggi serve una riflessione libera: quella debole del centro-sinistra italiano è ancorata a dogmatismi effimeri, un liberismo buonista fuori tempo massimo che non gli permette di capire nemmeno in che paese vive. Se non riuscirà a capire che il pensiero della rivoluzione conservatrice è in crisi - dopo averlo rincorso e rimasticato per anni - non uscirà mai dal pantano. Qui trovate un lungo articolo apparso su The New Republic che anticipa le tesi di Wilentz sulla fine del reaganismo.

MCain e la religione: primo attacco a Wright e amicizie impresentabili


Per giorni aveva evitato di toccare la questione Wright. Poi ha cominciato ad usarla. John McCain, che perse le primarie e la nomination nel 2000 contro Bush grazie alle porcherie messe in giro dalla campagna del presidente in carica, sta imparando i trucchi “à la republicaine". Ecco un resoconto del New York Times. Lo stesso Wright ieri è uscito allo scoperto per difendersi. Come a volte accade a questo tipo di personaggi, la sua difesa-contrattacco non è delle più azzeccate: ha ragione, ma non è furbo, il suo è davvero un messaggio comunitario (ecco il video, guarda un po' su un sito che si chiama hip-hop.com). E a proposito di McCain, porcherie e religione, ecco un breve ritratto comparso su Liberazione dei pastori Parsley e Hagee, giovane e vecchio della destra religiosa che hanno ufficialmente appoggiato il senatore dell'Arizona. C'è chi teorizza agostininianamente che il 9/11 l'ha voluto Dio per far partire la crociata contro l'Islam e chi pensa che Katrina sia una punizione agli omosessuali.

Democratici: un milione di registrati al voto in più negli ultimi Stati delle primarie


Il partito repubblicano deve essere preoccupato. Non solo il suo presidente ha battuto il record negativo di approvazione da quando questo dato viene rilevato, ma il partito avversario sta battendo record su record in termini di registrazione al voto. Ecco una lunga analisi del Washington post. E il vero sforzo per la registrazione non è ancora partito.

25 aprile 2008

E adesso tutti in Indiana e South Carolina. E se già fosse tutto finito?

La notizia è breve ma interessante perché dice qualcosa dello stato reale della corsa democratica. Gabriel Guerra-Mondragon, ambasciatore in Cile ai tempi dell'amministrazione Clinton e importante raccoglitore fondi della campagna di Hillary, è passato a raggranellare fondi per Barack Obama. Le sue motivazioni non hanno a che vedere troppo con le scelte politiche o gli interessi, Guerra-Mondragon spiega di essere amico dei Clinton ma di essere “prima di tutto" membro del partito democratico. E secondo lui, l'ex first lady non ha possibilità di superare Obama. Meglio cominciare a lavorare per le presidenziali dunque. Il senatore dell'Illinois vende come certa la sua vittoria con la campagna di massa e in 50 Stati di registrazione al voto. Il messaggio non è solo un tentativo di dire “Mi sto già occupando del voto vero, quello di novembre", la volontà sembra essere quella di confermare di essere un fattore di cambiamento e partecipazione. La strada potrebbe non essere breve o infernale, per lui e per i democratici, il 6 maggio si vota in Indiana e North Carolina. Il terreno di scontro vero è il primo dei due Stati, nel secondo Obama ha un buon margine di vantaggio - che pure si è andato assottigliando. Tra l'altro l'ultimo sondaggio in North Carolina precede la vittoria di Clinton in Pennsylvania, che certo male non può averle fatto. Il territorio conteso sembra essere comunque l'Indiana, dove Clinton aveva almeno dieci punti di vantaggio fino a metà aprile. Poi Obama è passato in vantaggio, prima di 5 punti, poi di 3 e infine di un solo punto (gli ultimi due sondaggi registrano la vittoria di Clinton). L'analisi di Politico sul perché l'Indiana è un posto dove entrambi hanno buone possibilità di farcela.

23 aprile 2008

Due facce due razze

Christopher Beam su Slate prova a ragionare incrociando il voto in Pennsylvania con le risposte date ad alcune domande degli exit poll. I risultati sono interessanti: il 75% dei bianchi che avevano dichiarato che la razza era importante per scegliere il candidato ha poi votato, guarda caso, per la candidata bianca. In tutto è il 13% dell'elettorato: bianco, che valuta la questione razziale e che ha votato per la Clinton. Che guarda caso ha vinto con un margine del 10%. E' presto per dire che questa è una tendenza, ma bisognerà starci attenti. Nel frattempo, il Washington Post dimostra sempre dati alla mano che la prolungata battaglia per le primarie democratiche rischia di far perdere per strada molti elettori al partito dell'asinello: più di un quarto di chi ha votato Clinton voterebbe repubblicano se venisse nominato Obama mentre il 20% si asterebbe. Anche qui, non è detto che la tendenza si confermi, ma è bene tenerci un occhio.

Only in America


Quando si dice in queste primarie democratiche stanno votando tantissimi elettori come mai si era visto, è anche un po' perché si provano tecniche nuove di partecipazione, come quella nella foto.. Si insegue l'elettore anche dal barbiere! La foto è "rubata" da From the Field, dove trovate altri approfondimenti sulla Pennsylvania. Su Osservatorio Usa i discorsi dei due candidati dopo il voto: come detto la Clinton rafforza le sue ragioni ("solo io posso vincere nei grandi stati in bilico che garantiscono la vittoria a novembre"), ma ricordiamoci che in queste primarie gli indipendenti non potevano votare. Obama è in testa come numero di delegati e tra poco vincerà in scioltezza in North Carolina (che però è uno stato dove i repubblicani a novembre dovrebbero vincere facilmente). Poi l'Indiana, il 6 maggio, sarà di nuovo molto importante. Lì la Clinton è data leggermente in vantaggio.

Ancora lei

Hillary Clinton vince in Pennsylvania con un margine che lascia pochi dubbi: il 10%, poco più di 200.000 voti in una primaria che ha visto triplicare l'affluenza alle urne. Clinton riduce il suo distacco da Obama e rimane in corsa, ma non abbastanza per poter sperare di superarlo nel calcolo nazionale del voto popolare. QuI delegati non sono ancora stati tutti assegnati, un conto importante per capire come è andata la Pennsylvania è anche questo: quanto si è ridotto il gap tra i due? Ora, come dice il Washington Post, la vera battaglia è sui superdelegati: la Pennsylvania conferma l'argomento di Clinton che solo lei può vincere i grandi stati industriali, un refrain sul quale farà leva per convincere i maggiorenti del partito di essere la candidata giusta per la Casa Bianca. Teoria confermata dal guru di George Bush, Karl Rove, su Newsweek. Gli exit poll confermano che Obama ha rimontato leggermente in molte categorie, dagli anziani alle donne ma non abbastanza per superare Clinton. L'ex first Lady ha invece trionfato tra gli elettori cattolici, che in Pennsylvania erano molti di più che in Ohio.

22 aprile 2008

30 sec for Obama, creatività e partecipazione...qualcuno venga a darci qualche lezione

MovOn è un'organizzazione innovativa e originale. Nel 2004 avevano lanciato un concorso: Bush in 30 secondi, chiedendo di mandare spot di quella lunghezza che hano caricato sul loro sito e fatto votare. Lo spot vincente è andato in Tv grazie ai soldi raccolti on-line dalla stessa MoveOn. Quest'anno lo rifanno per un video pro-Obama (si sono schierati dopo aver fatto un referendum tra gli iscritti). I video arrivati sono 1100, per una settimana da oggi sarà possibile votarli e poi, i finalisti verranno giudicati da una giuria con dentro politici progresisti, star del cinema e della musica, guru della comunicazione. E' arrivato di tutto, dal professionale al meno che casereccio. Dalle idee originali, alla retorica più o meno presa dalla campagna dello stesso Obama. Con questa idea si mobilitano creativi e non, si mette la gente a fare una cosa divertente, si vota democraticamente, si raccoglieranno soldi e si da alle star un ruolo legato al loro lavoro. Radicamento sociale e partecipazione? Need some?

Pennsylvania 22 aprile 2008/2


Un secondo approfondimento in italiano. O meglio un articolo uscito oggi su Liberazione, un po' di ripetizioni rispetto al precedente e una forma letteraria (si fa per scherzare) diversa. Il tema è il solito: coalizioni e territori per tentare di strappare più voti e/o più delegati (che alla fine contano quelli).

Pennsylvania, dalle parti di Scranton, dove pioveranno voti per Hillary

Così racconta Politico, parlando della cittadina industriale casa di suo padre e delle zone intorno. La vecchia Pensylvania industriale dove il vantaggio di Clinton è di quasi 30 punti. Politico ci suggerisce anche cosa guardare quando i dati del Keystone State cominceranno ad affluire.

Il costo dei consulenti

Secondo il Washington Post, la campagna di Hillary Clinton ha già un grosso problema ancor prima di sapere i risultati delle primarie di domani: deve un sacco di soldi ai suoi consulenti politici. Solo Mark Penn ha un credito di 4,6 milioni di dollari nei confronti dell'ex-first lady. Comunque vada domani, la senatrice ha sempre più problemi finanziari: non solo racimola poco, ma quel poco che raccoglie lo deve spendere per pagare i debiti.

21 aprile 2008

Appoggi da tutte le parti: Financial Times e Michael Moore per Obama


La notizia è semplice: l'editoriale del quotidiano economico più prestigioso e il grassone un po' dimagrito di Flint decidono che il senatore deve essere il candidato. In un caso si dice che i due sono quasi identici sui grandi temi ma Obama è in testa ed molto più carismatico. Nel secondo, scrive Moore sul suo sito, caso c'è la delusione per Hillary, specie dopo l'ultimo dibattito, quando Clinton ha tirato in ballo il leader nero musulmano Farrakhan, che sarebbe legato a Jeremiah Wright. Un metodo giudicato inaccettabile, repubblicano. Non una scelta ma una non scelta, dunque.

Pennsylvania, 22 aprile 2008


Tutto, ma proprio tutto, quello che serve per capire le primarie della Pennsylvania di domani. Cosa c'è in gioco sotto ogni punto di vista. Leggete la nostra scheda in approfondimenti.

Rimonte e miracoli


Come spiega molto bene il sito della Bloomberg, ad Hillary Clinton non resta che sperare in un miracolo per avere la nomination. Dovrebbe infatti vincere in Pennsylvania con un margine di più di 25 punti e poi impossessarsi di West Virginia, Kentucky e Puerto Rico con distacchi superiori al 20%. L'affluenza alle urne dovrebbe più che raddoppiare per permetterle di ridurre il distacco di 800.000 voti che ha ora a livello nazionale nei confronti di Obama. Tutto questo considerando che ha raggranellato un quinto dei fondi del suo rivale nel mese di aprile. Insomma, anche qui la rimonta è "praticamente impossibile" come la definisce il Financial Times.

La millenial generation una chiave per le elezioni?

Lo hanno detto in tanti, sta- volta i giovani vote- ranno di più e pos- sono pesare. Lo si è visto qua e la nelle primarie democratiche, quando la macchina di Obama è riuscita a portarli al seggio in numeri importanti. A novembre peseranno di più e se si tiene conto che nel 2006 hanno votato per i dem 60 a 30, potrebbero essere un fattore cruciale. I libri e le analisi sui nati dopo il 1980 si sprecano: Youtube, blogs, Facebook e compagnia cantante. Con quest'elezione andremo oltre i baby-boomers e i depressoni della GenX? Speriamo bene, in Italia i giovani - badate, chi scrive è fuori categoria - restano tragicamente ai margini. E i risultati si vedono non solo in politica. Ecco il sito di Millennial makeover un libro che affronta il tema e la recensione del San Francisco chronicle.

20 aprile 2008

La Pennsylvania, i Reagan democrats e la piccola Hazleton. Un reportage che forse parla della politica italiana


Martedì prossimo si vota di nuovo. Dall'inizio delle primarie questa è stata la pausa più lunga. Il primo scontro è come è spesso accaduto fino ad oggi, per la conquista di territori ritenuti favorevoli dai due candidati: Philadelphia, più nera, laureata e giovane per Obama, le contee dove le grandi industrie non ci sono più per Hillary - che può vantare una famiglia paterna locale, di Scranton. Queste zone sono abitate prevalentemente da quel tipo di classe sociale che venne chiamata Reagan democrats: lavoratori e conservatori. Di quelli ha parlato Obama nella sua gaffe sull'amarezza di vivere in città senza lavoro. The Nation ci offre un reportage da Hazleton, già città mineraria di antica immigrazione irlandese, tedesca e italiana dove nelle elezioni politiche e amministrative i democratici vincono sempre due a uno, sindacalizzata nonostante le miniere abbiano chiuso dove il repubblicano Barletta ha vinto due volte di seguito la poltorna da sindaco. Come mai? Le sue ordinanze sull'immigrazione, così dure da divenire caso di dibattio nazionale ed essere copiate da altri amministratori locali. Se togliete la crisi del carbone e aggiungete la competizione internazionale forse Hazleton vi fa venire in mente qualcosa.

19 aprile 2008

Il potere del magnetofono: dopo Obama su religione e fucili, Hillary sulla pericolosità di MoveOn

La campagna non ha smentito. Del resto l'Huffington Post carica l'audio del discorso di Clinton durante una serata di fundraising. La senatrice attacca i liberal di MoveOn, per essere contro l'Afghanistan e un po' pericolosi. Cerca di convincere gli avventori che le servono i soldi per contrastare l'avvento dell'estrema sinistra alla Casa Bianca. MoveOn raccolglie fondi per Obama e ne raccoglie tanti e questo non va giù a Hillary. Eppure, l'organizzazione ha sostenuto il marito quando era nei guai.

18 aprile 2008

Sostegno pesante, il carnet di Obama si allunga

Chi guardi la Tv americana avrebbe avuto pochi dubbi. L'ex segretario al lavoro di Bill Clinton Robert Reich, oggi professore a Berkeley, fa spesso l'esperto di economia come ospite televisivo e i suoi interventi fanno pensare a una simpatia pro Obama. Ma, come del resto Bill Richardson, Reich ha fatto il ministro di Bill ed è un amico di famiglia dai tempi dell'università. E' pur vero che l'incarico di Reich con Bill è finito al termine del primo mandato, poi il pragmatico presidente ha fiutato l'aria è si è buttato a destra. Comunque sia, il professore, politico e commentatore Tv annuncia l'appoggio per il senatore dell'Illinois (sul suo blog ci spiega perché).

Altro caso, meno simbolico ma forse più pesante è quello dell'appoggio di Sam Nunn, ex senatore della Georgia, anzi di Macon (un posticino molto zio Tom), conservatore in materia etica che votò contro la prima guerra del Golfo ed è tra i fondatori del Democratic Leadership Council, corrente della terza via nata a metà anni 80 che preparò l'avvento del clintonismo. Oggi dirige il NTI, centro per il disarmo (non unilaterale, per carità) e da anni lavora per la riduzione della minaccia nucleare. L'Economist arriva addirittura a proporlo nel ticket come Obama: aiuterebbe parecchio a vincere nel sud e rafforzerebbe il candidato democratico sul versante della sicurezza nazionale.
Profilo simile quello di David Boren, anche lui ex senatore (Oklahoma), anche lui conservatore del Sud, anche lui contro la guerra del 1991. Josh Marshall su Talking points memo fa notare che i pezzi grossi degli Stati rurali e del Sud sono tutti con il senatore dell'Illinois.

I delegati di Florida e Michigan e il comitato di Dean


La campagna di Hillary per riammettere i delegati di Florida e Michigan alla convention nazionale democratica va avanti. Ma né lei, né Obama hanno i numeri per decidere nel credentials commitee, l'equivalente di una commissione garanzia nei congressi di partito (quando si facevano). E così il potere di scegliere una soluzione sarà nelle mani di un comitato di 25 persone nominato da Howard Dean. Su Politico una scheda per ciascuno dei 25, ci sono uomini e donne emanazione di Dean, molti superedelegati e qualche finanziatore pro Obama e meno pro Clinton. Qualche indeciso. La bilancia si sposta anche in questo caso dalla parte del senatore dell'Illinois: non solo ci sono più dei suoi, ma le regole del partito volute da Dean dicevano che i delegati degli Stati ribelli no n avrebero avuto diritto di voto. Se il caso della Florida è più controverso - Obama era sulla scheda - quello del Michigan non ammette slalom: dei tre contendenti (Edwards era ancora in ballo) solo Hillary era sulla scheda e dopo aver preso l'impegno di non correre. I 25 probabilmente troveranno un compromesso che salvi il raporto del partito con gli elettori dei due Stati , ma non così sfavorevole nei confronti del senatore.

17 aprile 2008

Ed ecco la reazione di Obama ai colpi di ieri

Oggi ben 5 post sul dibattito di Filadelfia e il "bittergate", ma si tratta di un momento cruciale per la strategia "muoia Sansone e tutti filistei" di Hillary Clinton. Qui la reazione di Obama nel suo ambiente naturale, la sua gente: attacca la Clinton e i giornalisti (qui è in North Carolina). Tutti la stessa cricca di Washington che nessuno sopporta più, disonesti e lontani dai problemi del popolo americano. Funzionerà?

I peggiori del dibattito di Filadelfia? I giornalisti

Secondo molti il livello tutto sommato basso del dibattito di ieri sera è dipeso dall'arroganza e dagli attacchi gratuiti contro Obama dei due giornalisti della Abc, George Stephanopoulos e Charles Gibson. Il picco più basso? Chiedere perché Obama non porta la bandiera americana sul risvolto della giacca. Un articolo contro l'Abc su tutti dal Guardian. Comunque vada, Obama si dovrà abituare.

L'errore di Obama/2

Il "bittergate" di Obama è lo tsunami di questa settimana; ieri i giornalisti dell'Abc, tra cui un ex-dell'entourage di Bill Clinton come George Stephanopoulos, hanno colpito duro Obama senza infierire più di tanto su la Clinton. Questa storia mette in difficoltà Obama più di quella del reverendo Wright: fino a ora si è presentato come l'uomo nuovo contro l'establishment, adesso rischia di diventare l'ennesimo liberal che non capisce il popolo. Sarebbe un colpo molto forte, che metterebbe a rischio l'aura di santità e novità di Obama. Il voto della Pennsylvania fornirà lumi.

Il capolavoro di Obama sarebbe stato quello di allontanare dal centro della scena il tema dei "valori", indebolendo la presa culturale di una coalizione conservatrice in crisi per colpa dell'economia e della guerra in Iraq. Gli autori americani che si sono occupati di questi temi (i "value voters", i "Reagan democrats" ecc. ecc.) sono molti: Texeira, Kuhn, Frank, Krugman, Schaller, Bartels (vedi qui sotto) e i democratici si trascinano dietro questa discussione da molto tempo. Negli ultimi due anni il dibattito si è riaperto grazie a "What's the Matter with Kansas?" di Thomas Frank. Il dilemma è il più grande di tutti: come, e con chi, i democratici possono vincere le elezioni? Quali gruppi sociali saranno determinanti e con quali parole d'ordine? Puntando su quali aree del paese? Rileggetevi qui la rassegna di Marco Polo. E ancora l'articolo di Timothy Noah che appare su Slate, anch'esso citato su Marco Polo. Nell'articolo di Noah trovate la guerra a colpi di paper (scaricabili) tra Rich e Bartels.

L'errore di Obama? Aver creduto allo stereotipo dell'America conservatrice

L'errore di Obama non è aver detto quello che ha detto (l'amarezza e la frustrazione caratteriz- zano le piccole città della Pennsylvania dove l'economia va male: inascoltati dalla politica, ci si rivolge a Dio e alle armi). L'errore è quello di aver dato per buona - in modo ineluttabile - la rappresentazione che i repubblicani offrono dell'America.

Dati alla mano, un interessante articolo di Larry Bartels (un professore di Princeton) spiega come la popolazione con redditi bassi non sia affatto più affezionata alle armi e alle battaglie anti-abortiste di chi guadagna più di 60 mila dollari l'anno, ha un alto grado di scolarizzazione e vive in una tranquilla suburbia. Anzi, è il contrario. I conservatori però hanno saputo dominare il discorso pubblico in America, e il modo in cui gli stessi americani si rappresentano (compreso Obama). Si tratta di pura ideologia, intesa alla vecchia maniera di Marx: falsa coscienza.

Il triangolo no/3. Il dibattito di Filadelfia danneggia i democratici

Obama ha detto quello che tutti noi pensiamo e che in pubblico pare non si possa dire: la religione (e le carabine, nel caso americano) in politica è usata come oppio dei popoli. Si agita il diritto alla libertà di possedere armi usando argomentazioni mitologiche relative alla Costituzione americana; si usano come strumenti elettorali temi "etici" (ricordatevi l'uso dei referendum contro il matrimonio omosessuale nel 2004). E' il cosiddetto microtargeting, l'attivazione selettiva di minoranze organizzate della società americana, non il sentimento di un popolo. Il quale farebbe bene (e lo sta facendo..) a preoccuparsi dell'economia. Obama è sulla difensiva ed è messo in croce per quello che ha detto (Qui il video che Hillary ha mandato in onda contro queste dichiarazioni). Anche ieri, nel dibattito di Filadelfia, è andata così, soprattutto nella prima parte. Chi ne trae giovamento?

McCain: ha capito che si può picchiare duro con il vecchio populismo alla Reagan, anche contro il nuovo messia Obama (qui una sua richiesta - in video - a Obama: chieda scusa per quello che ha detto). E Dick Morris, il celebre consigliere politico di Bill Clinton, consiglia McCain di insistere con un bell'approccio populistico. La breccia si è aperta: e basta ascoltare cosa dice Hillary "muoia Sansone e tutti i filistei" Clinton contro Obama, per trasformarlo in nuovo Kerry o un nuovo Dukakis.

16 aprile 2008

Al Boss piace Obama: Springsteen appoggia il senatore. Stanotte sfida Tv tra i candidati

Sarebbe stato meglio avere Jon Bon Jovi in New Jersey, ma per parlare all'America bianca e operaia (della Pennsyl- vania) non è male neppure “the Boss" Bruce Springsteen che ieri ha scritto una lettera ai suoi fans per convincerli ad andare a votare Obama perché “immagina l'America che ho cantato per 35 anni". Fino ad ora gli endorsements politici importanti per Obama non hanno funzionato troppo: non Kennedy, non Kerry. Ha funzionato la superstar della televisione Oprah Winfrey, chissà che il Boss non dia una mano in the streets of Philadelphia. Stanotte un altro dibattito, questo blog ha l'ardire di prevedere che sarà come quello di Myrtle beach, in South Carolina, quando i due si insultarono parecchio. Hillary parlerà della Florida, dei commenti di Obama sugli operai e Obama la paragonerà a McCain. Scommetiamo? Per chi ha satelliti o affini il dibattito viene trasmesso da ABC alle 8 eastern time, ovvero alle 2 di notte. Il sito del network dovrebbe darlo in diretta.

Suggerimenti americani

Dopo le elezioni del 2004, vinte nettamente da George Bush, molti americani di sinistra cominciarono a pensare che forse era il caso di emigrare in Canada. Un po' quello che pensano molti italiani oggi: forse è il caso di prendere un aereo di sola andata. I democratici americani che non hanno preso l'aereo non se ne sono pentiti perchè solo 2 (due) anni dopo l'affermazione di quella che sembrava una granitica maggioranza repubblicana, i democratici avevano conquistato di nuovo la maggioranza al Congresso. Dietro questo successo, che poi è la base da cui ripartono le speranze democratiche per le elezioni di novembre, c'era una strategia molto complessa che mirava ad un nuovo radicamento del partito anche nelle zone dove era tradizionalmente debole. E poi, già si vedevano le avvisaglie di quella rinascita del populismo americano che ha fatto più volte capolino in questa campagna per le primarie. Il tutto, tanto per tirarcela un po', era raccontato in un articolo che due degli autori di questo blog avevano scritto tanto tempo fa per la rivista Quale Stato. Sarà il caso di imparare anche questo dagli Stati Uniti? Ai posteri l'ardua sentenza.

Il superdelegato di Roma: per serrare le fila e combattere il relativismo culturale

Questo Papa ha una missione: ristabilire il primato dottrinario della chiesa cattolica e serrare le fila tra i fedeli (in America sulla carta ci sono 70 milioni di cattolici). Poi: chiudere i recinti dove le chiese evangeliche sottraggono fedeli (accade in America latina - ma anche negli Usa, dove si cambia confessione con disinvoltura), combattere il relativismo culturale (un tema che la destra americana comprende bene). Sarà una visita importante: nel suo viaggio - che dura 6 giorni 6 - c'è un condensato simbolico del significato di questo papato: lo vedremo soprattutto quando parlerà ai rappresentanti delle altre confessioni (domani) e quando andrà all'Onu (venerdì).

14 aprile 2008

No We Can't

Siamo in breve pausa post-elettorale (nel senso di quelle italiane). Tra poco torneremo per discutere delle roventi primarie della Pennsylvania del 22 aprile - mai come oggi sbirciare in casa d'altri sarà terapeutico - ma prima dobbiamo verificare che amici e parenti siano ancora tutti in vita, e quanti sono già diretti verso gli aeroporti internazionali.

La lunga transizione italiana è finita: al governo neanche un partito che abbia il più lontano legame con quello che una volta si chiamava "arco parlamentare". Veltroni: più che Obama sembra McGovern... o Michael Dukakis, o Al Gore.. scegliete voi.

La politica estera dopo Bush

L'Economist suggeriva alcune settimane fa, che la politica estera americana non cambierà granchè dopo la fine della presidenza Bush, perchè non se lo può permettere. Prima di tutto, chiudere Guantanamo, come spiega oggi il Los Angeles Times, non sarà una passeggiata: non si può promettere allo stesso tempo di rispettare i diritti umani e di essere un buon comandante in capo. Secondo, le minacce vere o presunte contro gli Stati Uniti crescono e già si comincia ad invocare una dura risposta militare. E' il caso del nucleare iraniano, che viene dipinto a tinte ancora più fosche delle famose armi di distruzione di massa irachene. Vedi per esempio l'articolo di Charles Krauthammer che propone di estendere ad Israele l'ombrello nucleare americano. Un'opzione che i neoconservatori ritengono troppo morbida: secondo il direttore di Commentary solo "l'azione" paga, non le dichiarazioni. Chissà cosa farà Obama, che una volta disse di voler usare l'atomica contro Bin Laden.

Glossario della crisi/2. SUBPRIME

Siamo ancora sul terreno dei fondamentali, i vocaboli chiave della crisi di questo 2008. Dopo il temine "Bail Out" oggi il glossario propone il termine "Subprime". Qui la scheda a cura di Matteo Dian (che non è quello ritratto nella foto).

11 aprile 2008

Dopo Nader ecco l'indipendente libertario di destra: meet Bob Barr


Lo spirito anti Washington è forte e ad incarnarlo sono la novità Obama a sinistra e Ron Paul e gli altri libertari a destra. E a proposito di libertari, Bob Barr (ecco il sito della campagna), deputato della Georgia fino al 2003 ha scelto di correre per la Casa Bianca come indipendente libertario. Dalla sua avrà la macchina e i donatori di Ron Paul. Si dice che farà più male a McCain di quanto il paladino dei consumatori Nader ne farà al candidato democratico. Ecco un sito che spiega cos'è il libertarianesimo

Anno record per le lobby e spese inutili alle stelle (Murtha ancora re del pork barrel spending)


Le lobby continuano a foraggiare Washington con fiumi di dollari, ottenendo in cambio favori e finanziamenti. La trasparenza e legalità del tutto non rende la cosa meno brutta: deputati e senatori gonfiano a dismisura il budget per favorire i bravi finanziatori e i loro territori (c'è un famoso ponte finanziato nel 2005 in Alaska che connette un villaggio di 50 abitanti con un paesino di 8mila, ecco la storia). Il Centre for responsive politics ha diffuso i dati sul lobbysmo, mentre Citizens against governement waste pubblica ogni anno - e mantiene un database - sul pork barrel spending (così si chiamano le spese inutili e clientelari). Il recordman di questa pratica è da anni il vecchio e navigato John Murtha, rappresentante in Pennsylvania, sostenitore di Hillary Clinton e fiero avversario della guerra. Come l'Italia, ma un poco meglio, gli Stati Uniti hanno un problema di deficit, le infrastrutture che fanno schifo e molti poveri. Come in Italia, i soldi si spendono altrove. E questo è una causa importante del successo di Barack Obama - che pure qualche voto un tantino porchettato non se lo è risparmiato.

sesso, bugie e consiglieri politici

There Will Be Blood. Il valzer dei consiglieri politici questa settimana ci ha consegnato un'uscita di scena rumorosa (quella di Mark Penn) e un ingresso che le dice lunga su quanto sangue scorrerà in questa campagna elettorale. A fare la sua apparizione è David Brock, un esperto di media (del quale parleremo meglio in seguito) ed ex-repubblicano pentito che negli anni '90 costruì la storia del Troopergate, uno scandalo a sfondo sessuale che avrebbe coinvolto Bill Clinton quando era governatore dell'Arkansas. Dopo una conversione databile a una decina di anni fa Brock ha cambiato bandiera, e ora si mette al servizio del partito democratico. Gestirà 40 milioni di dollari rivolti a demolire la figura di John McCain (ad aiutarlo nell'impresa il noto finanziere George Soros).

Dall'altra parte Karl Rove è sempre più vicino a McCain: pare sia sua l'idea di organizzare un tour nel paese allo scopo di promuovere l'immagine del patriota-veterano (come nel 2004, sicurezza prima di tutto: che Rove scommetta sul fatto che l'opinione pubblica è in realtà un animale che cambia con incredibile lentezza?). Intanto i repubblicani diffondono i loro sondaggi: McCain è ovviamente in testa.

Questione di soldi

Da dove vengono i soldi della campagna elettorale dell' "outsider" Barack Obama? Da migliaia di donazioni online, dice la vulgata. E' in parte vero, ma c'è un altro lato della verità: ci sono anche i 79 "bundlers", grandi donatori che si impegnano a creare reti di sostenitori da 2.300 dollari ciascuno. Secondo il Washington Post, ogni "rete" deve portare circa 200.000 dollari. Un sistema già adottato a suo tempo da Bush, che divideva i suoi donatori tra "Ranger" e "Pionieri". Con Obama però, per la prima volta, i "bundlers" formano una specie di consiglio politico consultivo, che viene informato delle mosse decisive, come il discorso di Philadelphia. Ma le innovazioni Obamiane non si fermano qui. Secondo il Los Angeles Times, il senatore dell'Illinois had detto basta ad una pratica consolidata di Philadelphia: pagare 10,20,50 dollari ai galoppini che portavano la gente a votare. Non più quindi la politica delle "macchine di partito" ma una schiera di volontari mobilitati grazie al "messaggio" convogliato attraverso internet e tv.

10 aprile 2008

Il ritorno di Powell lontano da McCain, simpatizza per Obama


Il prossimo presidente degli Stati Uniti sarà costretto a diminuire il numero delle truppe in Iraq, facendo i conti con la realtà di un esercito che non può più continuare a sostenere questo tipo di impegno bellico. È questa la convinzione di Colin Powell, ex segretario di Stato di George Bush ed ex capo di Stato Maggiore ai tempi del padre. In un'intervista all'Abc ha assunto una posizione in netto contrasto con quella del senatore veterano John McCain. "Chiunque diventerà presidente il prossimo primo gennaio, dovrà fare i conti con una forza militare che non potrà continuare a sostenere 140mila uomini dispiegati in Iraq e 20mila, o 25mila, in Afghanistan, più le altre missioni" ha detto Powell proprio nel giorno in cui George Bush ha annunciato di sospendere a tempo indeterminato il ritiro. L'uomo mandato ad agitare le provette radioattive all'Onu ha comunque sostenuto la tesi del ritiro graduale e non,come chiedono i democratici, di un ritiro rapido. Quanto alle preferenze di voto, Powell ha detto di non sapere per chi voterà e di aver apprezzato la gestione della vicenda del reverendo Wright da parte di Barack Obama. E' probabile che Powell tenga il suo endorsement per l'eventuale corsa finale. Se si schierasse contro McCain per i repubblicani sarebbe un guaio vero.

Bush e l'Iraq, un nuovo discorso (e un'intervista)

Il presidente Bush è tornato a parlare di Iraq per sostenere le tesi del generale Petraeus: stop al ritiro, mantenere 15 divisioni nel Paese e poi si vedrà. Nulla di nuovo e l'ennesimo tentativo di presentare la situazione come positiva. Come ha mostrato la rivolta sadrista (e una certa ripresa delle violenza) le cose vanno meno bene di quanto non si creda. C'è meno violenza sunnita, certo, perché dopo tre anni si è finalmente scelto di parlare con quelli a cui si è sparato addosso dal primo giorno. E poi c'è il reinserimento di una parte dei baathisti nell'esercito e nell'apparato dello Stato. Tutti elementi che hanno giovato molto più di “the surge". Frammenti del discorso di Bush sono su Cnn mentre le domande dei candidati presidente all'ambasciatore Crocker e al generale Petraeus si possono vedere su C-Span. Qui invece l'intervista del presidente al neocon Weekly standard di William Kristol.

9 aprile 2008

Caos democratico: Pelosi propone di rivedere il processo delle primarie (per il 2012)


L'impasse democratico e i vantaggi che il Grand Old Party rischia di ricavarne preoccupano le teste d'uovo del partito. Ed è già cominciata la discussione sulla prossima volta. Secondo la speaker della Camera bisogna ridurre in futuro il numero dei superdelegati per diminuire la loro influenza negli equilibri della convention democratica. "Credo che se diminuiamo il loro numero, ci assicuriamo che
tutti sappiamo sin dall'inizio che ruolo avranno, allora avremmo un processo più aperto" ha detto la democratica in un programma di Mtv registrato alla Georgetown university di Washington. "Forse dovremmo rivedere l'intero processo elettorale per le presidenziali, forse pensare a delle primarie regionali, trovare un modo più ordinato di svolgerle" ha aggiunto la Pelosi, riferendosi anche alla corsa degli stati ad anticipare il voto (che ha prodotto i guai di Florida e Michigan). A dire il vero l'intervento di Pelosi è anche un velato attacco alla campagna di Clinton e al ruolo che l'ex first lady spera di far svolgere ai superdelegati durante la convention. Dal canto suo, Hillary ha ripreso a battere sulla Florida, segno che i sondaggi degli ultimi giorni (meno vantaggio in Penn. e abisso di ritardo in N. Carolina) rischiano di far ridiventare nasty la campagna appena lasciata dal powerpointer Mark Penn.
Dopo il caos di quest'anno, il partito repubblicano ha già deciso (loro possono già pensare a queste cose): un comitato ha approvato un piano per far votare prima gli stati piccoli e poi quelli grandi per le primarie del 2012, con quelli grandi divisi in gruppi regionali che si alternerebbero nei calendari ogni quattro anni (se il Sud vota per primo una volta, la volta dopo vota il nord e il sud passa ultimo). I primi resterebbero Iowa, New Hampshire e South Carolina.

8 aprile 2008

Guerra, tortura e uso delle parole nel post 9/11


Oggi e domani il generale Petraeus e l'ambasciatore Crocker - comandante e diplomatico a capo della missione irachena - parleranno davanti alle commissioni del Congresso. E' un appuntamento semerstrale che serve a informare il Parlamento della situazione sul terreno di guerra. Ci saranno Clinton, Obama e McCain e l'audizione sarà occasione per fare campagna elettorale indiretta. Militare, diplomatico e politici ricorreranno a esercizi retorici per dimostrare che le cose vanno bene - o male. John McCain ha già cominciato spiegando che i piani di ritiro dei democratici sono pericolosi e senza senso. L'espunzione del vocabolario di guerra da commenti e discorsi dell'amministrazione Bush è uno degli esercizi retorici più brutti ai quali la popolazione mondiale ha assistito: il water boarding è tortura? Portare la democrazia vuol dire invadere un Paese e metterlo in ginocchio? Chi si ribella all'invasione è sempre e indistintamente un terrorista? “Euphemism and american violence" è un bel saggio di David Bromwich, professore di Inglese a Yale sulla lingua della guerra nel post 9/11.

7 aprile 2008

Ancora commercio. Mark Penn lascia Hillary


Nuovo terremoto nello staff di Hillary. Mark Penn, lo spin doctor più famoso della campagna, l'uomo che ha fatto vincere Blair, Clinton e Berlusconi molla. Tempo fa aveva dichiarato di non avere un ruolo importante nella campagna. In passato avevano mollato, in seguito a una serie di figuracce, insulti e dissidi, una serie di figure cruciali. Le dimissioni hanno a che vedere con il libero commercio: Penn era stato consulente del govenro colombiano per un trattato di scambio con gli Usa. Cambierà qualcosa nelle strategie? Politico sostiene di no e forse e troppo tardi per ripensare tutto.

Commercio sì, commercio no. Il Nafta e il voto dei sindacati industriali


Hillary Clinton ha sempre sostenuto che l'Accordo di libero scambio con Messico e Canada è cosa buona e giusta. Fino a quando non ha fatto campagna elettorale in Ohio, dove la gente - e tutta la pattuglia di superdelegati dello Stato in attesa di dare un endorsement proprio a partire da una promessa di revisione del trattato - è convinta che il Nafta sia stato una pessima cosa per l'America. In Pennsylvania il tema è tornato di moda: altro Stato industriale un po' mal messo, nuovo scontro. Obama ha tuonato contro i trattati, ma in passato non aveva mai detto granché. Ma che effetti ha avuto il Nafta? Oggi compaiono due commenti su due tra i più autorevoli quotidiani Usa, il Washington post contro, il New York Times, invece spiega che l'apertura delle frontiere è stata un vantaggio. E un vecchio post di America2008 con dei link di analisi sugli effetti del Nafta.

Glossario della crisi/1. BAIL OUT

Diciamo la verità: non so a voi, ma a noi ogni tanto un piccolo vocabolario della crisi economica sarebbe stato utile in certi momenti.. (chi scrive, protetto qui dall'anonimato, confessa che un mese e mezzo fa ha buttato via un articolo del Sole24Ore in preda a convulsioni causate da impotenza e frustazione: ero in grado di capire un solo un termine su due. L'articolo era stato segnalato come "fondamentale" per comprendere la crisi del sistema finanziario Usa. Mi perdonino gli altri autori del blog, ben più preparati).

A futura memoria inauguriamo questo "Glossario della crisi economica" per chi di finanza ed economia ci capisce poco, ma non ha il coraggio di dirlo. Si comincia con il "Bail Out" (a cura di Matteo Dian).

Obama? Clinton? Nel cassetto di thoseshirts.com hanno tutte e due..






4 aprile 2008

I've Been to the Mountaintop



Luther King 40 anni dopo. Qui, per esteso, il testo del discorso che tenne al Mason Temple di Memphis il giorno prima della sua morte. E qui un articolo dal sito dell'Economist che in modo sufficientemente freddo e scrupoloso fornisce i dati dell'ineguaglianza tra i neri e i bianchi oggi.

L'eredità del reverendo e la campagna elettorale


La polemica sui sermoni del reverendo Wright, la disputa sull'eredità di Martin Luther King e i discorsi di Barack Obama. Quello alla chiesa di Atlanta e “A more perfect union" per rispondere a quelle polemiche, del quale si è detto che è il più coraggioso sulla razza dai tempi del reverendo. Un articolo uscito ieri su Liberazione e il bel ritratto-racconto scritto da Massimo Cavallini, ex corrispondente dell'Unità negli States e oggi collaboratore di Liberazione. La foto è quella dell'arresto di King a 27 anni a Montgomery, nei giorni della rivolta contro la segregazione in Alabama - che terminò con la fine della segregazione in quella città. Non è chiaro, come sta scritto nella dida, chi e quando abbia scritto a penna “dead" con la data della morte. La foto è stata ritrovata di recente.

3 aprile 2008

L'ultimo discorso di Martin Luther King

Domani ricorrono i 40 anni della morte di Martin Luther King. Questo è il suo ultimo discorso, del 3 aprile 1968. Ancora video di quel giorno su "Comunicazione politica in video".

Saranno elezioni storiche? (e non c'entra nulla il genere e il colore della pelle)

Più di una volta abbiamo sottolineato che si potrebbe trattare di elezioni storiche, che trasformano la geografia elettorale e l'orizzonte delle idee che nutre la politica. Un primo passaggio è che si consolidi la tendenza alla partecipazione al voto di categorie fino a ora poco propense a frequentare i seggi: se quello che è accaduto nelle primarie (vedi qui) si consolidasse nelle elezioni di novembre, il quadro politico americano cambierebbe, anche negli stati in bilico come l'Ohio. Da "Politico" di ieri la sintesi del vice-direttore della campagna di Obama, Steve Hildebrand:

"Bringing new voters to the polls is going to be a very big part of how we win (...)" "Barack's appeal to independent voters is also going to be key."

Hildebrand said the campaign is likely to turn its attention and the energy of its massive volunteer army this fall on registering African-American voters, and voters under 35 years old, in key states.

"Can it change the math in Ohio? Very much so," he said. "If you look at the vote spread between Bush and Kerry in 2004 - we could potentially erase that."

Nel 1969 Kevin Phillips scrisse il volume "The Emerging Republican Majority", prevedendo l'inizio di una nuova egemonia elettorale conservatrice. E oggi? Obama scommette sull'esatto contrario, il consolidamento di una nuova coalizione democratica. Per farlo bisogna portare gente nuova a votare. E poi convincerla a restare, mantenere il controllo dell'elettorato democratico tradizionale, senza distruggere il partito nella lotta Obama/Clinton. Così si farebbe la storia.

1 aprile 2008

Il pacchetto Paulson, cambiare tutto perché non cambi nulla?


Da due giorni i media economici discutono delle proposte di regolamentazione dei mercati finanziari avanzate da Henry Paulson, segretario al Tesoro Usa. In estrema sintesi - e senza nessuna competenza degna di questo nome - un'amministrazione che ha lasciato passare Enron, la bolla immobiliare e i subprime, propone di dare alla Fed più poteri ispettivi, di mettere tutte le forme di banca sotto il controllo di Bernanke e di abolire una serie di agenzie che si pesano i piedi a vicenda. La comunità finanziaria è proccupata, probabilmente più per il segnale di intervento nel suo regno che non per gli effetti reali di un pacchetto che non vedrà mai la luce. La preoccupazione di Wall street è che il prossimo presidente possa usare Paulson come scusa per regolare davvero la finanza (“Lo voleva fare Bush, noi proseguiamo"). Businessweek ha parlato di Bernanke come di un rivoluzionario riluttante, dedicandogli una copertina Lenin-style (qui sopra), ma non si tratta di una stroncatura: è un po' l'idea pragmatica degli americani: “se si deve intervenire che lo si faccia". Ecco la lettura del pacchetto paulson tutto sommato positiva dell'Economist, la stroncatura di Paul Krugman, quella di Slate e il commento di The New Republic.