28 febbraio 2009

Riecco Obama il populista

Obama gioca d'anticipo. Invece di aspettare che il Congresso faccia a pezzi il suo budget, parla direttamente agli americani per dire: badate, cercheranno di cambiare tutto perché non vogliono il cambiamento. Riecco la faccia populista del presidente - ricordiamolo, il populismo in America è di sinistra. UN segnale interessante sulla decisione con la quale Obama ha scelto di tirare diritto per la sua strada. Ecco il link al sito della Casa Bianca dove si può leggere il testo e guardare il video del messaggio del sabato.

Bombe, ritiri e Frattini

Due notizie del giorno: Barack Obama annuncia il piano per ritirare il grosso delle truppe dall'Iraq entro il 31 agosto del 2010 (ecco il testo del suo discorso); l'Italia potrebbe fare da apripista nel dialogo con l'Iran. Il ritiro dall'Iraq viene discusso da Michael O'Hanlon e Kenneth Pollack, due falchetti della Brookings che non hanno mai mandato giù lo slogan obamiano del "ritiro in 16 mesi" (ora sono diventati 18): secondo loro la prospettiva del ritiro non farà che aumentare la gara tra le fazioni irachene per il controllo del Paese, aumentando la violenza. E' un argomento vecchio: l'occupante se ne va e prevede il diluvio dopo il suo addio. C'è un fondo di verita in quello che dicono questi signori: sicuramente per esempio le milizie di Sadr e quelle degli altri gruppi sciiti competeranno per il controllo dell'Iraq. Ma è anche vera un'altra cosa: come insegna il Vietnam un'occupazione prolungata permette a chi sta al potere di rimandare la soluzione dei problemi politici di fondo, affidandosi al potere della baionette americane. In più, come dicono alcuni esperti sentiti dalla Reuters, la fine dell'occupazione potrebbe eliminare la base di consenso di molte milizie irachene. Passiamo all'Iran. Come ci spiega molto bene La Stampa, Hillary Clinton e Franco Frattini hanno concordato un piano d'azione: il nostro ministro degli esteri si recherà a Teheran entro marzo e poi a Trieste in giugno si farà una conferenza del G8 in cui gli iraniani saranno invitati a discutere della stabilizzazione dell'Afghanistan. Ovviamente il vertice sarà una scusa per discutere anche altro e cioè la questione nucleare. Questa, come registrarono quest'estate due degli autori di questo blog, era già un'idea che circolava a Washington: usare gli italiani come apripista e discutere con gli iraniani ufficialmente solo di Afghanistan ma in realtà di tutti i dossier. A proposito di nucleare, un bel articolo su Asia Times spiega perchè l'Iran è almeno 5 anni lontano dal farsi un vero deterrente nucleare e anche quando ce lo avrà non è detto che lo possa usare. E poi a giugno ci saranno le presidenziali anche lì: un candidato vuole la bomba e l'altro pure. Auguri.

27 febbraio 2009

Krugman vs Krauthammer sui piani economici di Obama e la sanità pubblica


Le vedove di Bush e Reagan piangono, noi ridiamo sperando che la battaglia - appena cominciata - abbia esito positivo.

The "budget looks very very good", dice Paul Krugman. la fine di Bush e la fine del trentennio reaganiano (come diciamo anche noi da mesi). Obama dice che può dimezzare il deficit in quattro anni, e Krugman è d'accordo, ma per noi è il punto più debole del ragionamento: le spese militari in Iraq e Afghanistan devono scendere (sarà così) e la crisi deve finire in tempi ragionevoli. "Two big ifs". Per Krugman il problema irrisolto è quello del debito, una croce che l'America non può togliersi di dosso.

Obama proposes a European US, dice il neoconservatore in disarmo Charles Krauthammer (rileggetevi cosa pensava dell'Europa nel 2003 e vi farete quattro risate). Per il columnist del Washington Post si tratta di un manifesto socialdemocratico come mai si era ascoltato negli Stati Uniti. In tema di sanità, secondo Krauthammer si prepara un passaggio molto lungo a un sistema pubblico, ma inevitabile se Obama manterrà il suo piano di rendere nel corso degli anni sempre meno attraente quello privato. Sull'università Krauthammer intravede l'idea di rendere "pubblico" il sistema universitario attraverso un'enorme estensione di programmi di borse di studio. Rispetto all'economia verde, per Krauthammer si tratta della visione di Obama, quello che la luna era per Kennedy.

Ecco la conclusione di Krauthammer:

Just as the Depression created the political and psychological conditions for Franklin Roosevelt's transformation of America from laissez-faireism to the beginnings of the welfare state, the current crisis gives Obama the political space to move the still (relatively) modest American welfare state toward European-style social democracy.

Speriamo Krauthammer abbia ragione (e non sarebbe contento). Ora tocca a noi difendere le nostre conquiste sociali alle quali l'America di oggi aspira, a cominciare dal diritto di sciopero. Avere Obama di là aiuta, senza dubbio.

L'idiozia del giorno

Forse lo hanno già scritto tutti, da queste parti ce ne siamo accorti adesso. Lo sapete dove è nato e dove aveva la casa Fraklin Delano Roosevelt? Hyde Park, Ny. Dove ha la casa Barack Obama? In un quartiere di Chicago con lo stesso nome della cittadina.

Le tasse, il budget e i poteri del presidente di guerra

Lo avete letto tutti. I titoli sono un'esagerazione, ma il messaggio politico è quello: tasse ai ricchi - ovvero fine dei benefici voluti da George W. - tasse a chi inquina e più tasse alla corporate America in cambio di più copertura sanitaria ed energie rinnovabili. E poi la lotta agli sprechi e alle spese inutili che i membri del Congresso infilano in qualsiasi legge approvino (pork barrel spending si chiama nel gergo politico americano). Robin Hood? Probabilmente no, ma è interessante che anche il primo budget di Obama sia tanto ambizioso.

Noi ci siamo fatti un'idea sul perché. Obama è come un presidente di guerra, la situazione è così catastrofica che gli consente margini di manovra impensabili fino a sei mesi fa. E così, invece di muoversi al centro, si muove nella direzione che ritiene più utile per il Paese. Il crollo del sistema creditizio e la crisi dei subprime sono un po' come l'11 settembre per Bush, e in questo caso attribuiscono dei poteri speciali a un presidente che ha vinto molto bene le elezioni e si è circondato di gente autorevole e potente. La lettura più tattica, vera anche quella, è che proponendo al Congresso una legge molto ambiziosa, riuscirà a portare a casa una legge decente.

E' una tattica diversa da quella che aveva (e ha) il centrosinistra nostrano, che media tra sé e sé prima di contrattare, per arrivare così in Parlamento con una legge che fa schifo (e poi non la approva). Obama preme sul Congresso sapendo anche di essere lui, almeno fino a questo momento, quello popolare. I democratici gli andranno dietro, ma fino a che punto? Per stare più tranquilli, i liberal di MoveOn, i bloggers e i sindacati hanno deciso di organizzare una campagna per portare progressisti a Washington nelle elezioni di midterm del 2010. E le lobby dei settori che verranno colpiti dalle riforme di Obama si preparano invece a combattere, spendere soldi contro le riforme.

26 febbraio 2009

Perché Obama dovrebbe (e potrebbe) avere più coraggio sulla nazionalizzazione dell banche

Da Repubblica ottimo articolo di "Mr. Doom", Nouriel Roubini (al quale Tremonti una volta disse "tornatene in Turchia"), sul perché è necessaria la cosiddetta soluzione svedese (della quale Roubini aveva parlato giorni fa, qui il nostro post), ovvero la piena nazionalizzazione delle banche in crisi. Ecco un estratto:

La nazionalizzazione risolverebbe oltre tutto anche il problema delle banche che rivestono un'importanza sistemica, "too big to fail" - cioè troppo grosse per poter fallire - e che quindi il governo deve necessariamente soccorrere, a un costo molto elevato per i contribuenti. Oggi di fatto il problema si è ulteriormente aggravato, poiché le soluzioni finora adottate hanno indotto le banche più deboli a rilevarne altre ancora più malridotte.

Le fusioni tra "banche zombie" ricordano un po' il comportamento degli ubriachi che cercano di aiutarsi l'un l'altro a rimanere in piedi: lo dimostrano le operazioni con cui JPMorgan, Wells Fargo e Bank of Americ hanno rilevato rispettivamente Bear Stearns e Wa Mu, Wachovia, Countrywide e Merril Lynch. Con la nazionalizzazione il governo toglierebbe di mezzo queste mostruosità finanziarie, per creare banche più piccole ma solide da rivendere a investitori privati.

E' questa la soluzione che all'inizio degli anni '90 ha permesso alla Svezia di risolvere la sua crisi bancaria. Al contrario, l'attuale politica degli Usa e della Gran Bretagna rischia di generare, come è avvenuto in Giappone, una serie di "banche zombie", che in mancanza di un vero risanamento perpetuerebbero il congelamento del credito. Il Giappone ha pagato la sua incapacità di risanare il proprio sistema bancario con un decennio di crisi molto vicina alla depressione. In mancanza di interventi adeguati, gli Stati Uniti, la Gran Bretagna e molti altri Paesi corrono un rischio analogo: quello di una recessione o di una vera e propria deflazione che potrebbe protrarsi per vari anni.

Quel comunista di Obama

L'articolo del New York Times spiega le proposte dell'amministrazione nel dettaglio. La prima? Tassare le imprese e gli individui più ricchi per finanziare il sistema sanitario. I bolscevichi alle porte di Washington. Il resto lo trovate nell'articolo.

25 febbraio 2009

Al via il processo di regolamentazione dei mercati finanziari (che roba!)

Obama parlerà stanotte, ma AP racconta che questa notte, parlando ad un incontro con il Segretario al Tesoro Geithner e i leader del Congresso, ha annunciato il processo parlamentare di discussione di una legge sulle regole. "I mercati finanziari forti hanno bisogno di regole chiare. Non per colpire le istituzioni finanziarie, ma per proteggere consumatori e investitori". L'idea è quella di far passare una legge prima del G20 di aprile. Tra coloro che lavoreranno al progetto c'è Barney Frank, che ha scritto con McCain una legge sulla trasparenza e contro gli sprechi ed è l'unico ad aver votato contro il Patriot act. Un liberal, insomma, ma autorevole. Le cose cambiano, in meglio. Forse.

Obama ieri: governo e intervento pubblico/2

Bam's Bold Game: An enormous Bet on Big Government (Dick Morris sul New York Post):


WITH a speech to match the most eloquent os State of the Union Addresses, with strains of FDR and JFK and a touch of Winston Churchill thrown in, President Obama has clearly staked his presidency on the outcome of the economic crisis.

Whether or not you agree with his prescription for recovery (I don't), it's clear that he's not hedging his bets. If it works, his place in history is assured. If it fails, so is his early retirement.

The speech made it apparent that the Obama administration's response to this crisis will either go down in history as a success that Americans will admire for decades, or become a case study in economic failure that students and scholars will study and pick apart for generations.

Obama ieri: governo e intervento pubblico


"Conservative words for a liberal agenda", da Politico.com:

In his programs and promises, President Barack Obama Tuesday night offered the nation by far the most expansive agenda for the national government in decades.

In his words and mood, however, Obama presented this breathtakingly ambitious vision in a way intended to convey caution, moderation, sobriety.

The 52-minute address outlined more commitments by the public sector, more intervention into the private economy, and more spending than anything Washington has undertaken at least since the Great Society and more likely the New Deal.

The substance reflected Obama’s bet that the country—alarmed by the economic crisis, repelled by the failures of the president who preceded him—is ready to move in a decisively more liberal direction.

The rhetoric, by contrast, reflected his apparent belief that most Americans remain instinctually conservative, leaving him and his agenda acutely vulnerable to backlash.

L'indiano d'America fa un buco nell'acqua

Il partito repubblicano affida la risposta al discorso di Obama a Bobby Jindal, il giovane Governatore della Louisiana di origine indiana (che parte richiamando le comuni origini di immigrazione da paesi lontani e diversi sua e del Presidente). Il tono è ideologico e di attacco - viene riesumata la categoria "liberal media" - e mostra che il GOP non vuole fare concessioni e intende tenere la posizione, aspettando che il cadavere dell'Amministrazione, uccisa dalla crisi economica, scorra lungo il fiume. Una buona strategia per le elezioni di Mid-term del 2010? O forse è solo rigidità culturale?
Interessante che i commentatori conservatori di FoxNews (tra i quali Charles Krauthammer) giudichino l'intervento di Jindal disastroso.

Obama al Congresso


"We have lived through an era where too often, short-term gains were prized over long-term prosperity; where we failed to look beyond the next payment, the next quarter, or the next election. A surplus became an excuse to transfer wealth to the wealthy instead of an opportunity to invest in our future."
Qui il discorso di Obama al Congresso, qui il video e qui la cronaca del Washington Post, qui il commento - fin troppo entusiasta, ma molto approfondito - di David Corn, che definisce il discorso di "sinistra - centro".

24 febbraio 2009

L'offensiva di Obama, oggi al Congresso

Oggi Obama si riprende la scena. Il primo mese della sua presidenza è stato aperto il porta- foglio: per le banche (tan- tissimi tan- tissimi sol- di), per rilan- ciare l'economia con il famoso stimulus (tantissimi soldi), per il settore automobilistico (tanti soldi), per chi non ce la fa con il mutuo (tanti soldi). Tutti dicono che ne dovrà tirare fuori molti altri, che ha rinunciato ad alcune importanti misure di carattere sociale ma che era tempo di fare (secondo l'Economist il saldo è positivo proprio per via della rapidità d'azione, ma Obama ha già perso l'innocenza).

L'altro ieri i giornali (qui il New York Times) hanno annunciato cosa farà Obama oggi al Congresso, che si riunirà in seduta congiunta per ascoltarlo: il presidente terrà un discorso programmatico, quasi uno "State of the Union", per rimettere al centro del dibattito politico i temi di campagna elettorale. Si parlerà pochissimo di politica estera, molto di crisi (ovviamente), di politiche per l'istruzione, energia e sanità. Cerchiamo di ricordarci tutti di cosa si è parlato in America negli ultimi otto anni, dai codici arancioni per la sicurezza alla "società dei proprietari" (base di partenza, il possesso della casa acquistata con quei bei mutui che facevano negli Usa). Obama, ancora una volta, dovrà dosare la verità (spiegare al paese quanto è grave la situazione) con la speranza: quella che alla fine del calvario le sue politiche funzioneranno (ecco un bell'editoriale di Dionne sull'importantissimo discorso di oggi).

Il nostro giudizio? La "road map" di Obama è un percorso molto lungo, il treno può sempre deragliare. Però ci sono molti argomenti giusti, proposte che potrebbero rendere l'America il paese civile che oggi non è.

23 febbraio 2009

Nazionalizzare le banche? Americano come la apple pie

Se vi foste addormentati sei mesi fa, oggi vi risvegliereste scoprendo che: a) c'è un presidente di colore; b) vogliono nazionalizzare le banche negli Usa (anzi, lo hanno già fatto). Pensereste di essere ancora addormentati, che state guardando un film di fantascienza: in questo link un fenomenale dibattito condotto da George Stephanopoulos con Paul Krugman, Nouriel Roubini, George Will e Suzy Welch. Ecco il conservatore George Will (dopo aver spiegato, seriamente, che gli Usa non si stanno dirigendo verso il socialismo):

"With credit now treated essentially as a public utility, the difference between what we have and what nationalization would be is marginal. One number: the market capitalization of Bank of America is $19 billion. Since October they have received $45 billion in public funds. So what's the difference?"


Insomma, la parte più divertente è quando cercano di trovare un termine che non sia "nazionalizzare", ma poi Krugman dice la cosa più esilarante: "nazionalizzare le banche è americano come la apple pie" (qui l'articolo dell'Huffington Post che commenta la discussione).

Disoccupati: Usa, mondo, Italia

Nel 2008 gli Usa hanno perso quasi tre milioni di posti di lavoro. Secondo l'Onu nel 2009 si perderanno almeno 50 milioni di posti di lavoro su scala mondiale; in Italia, secondo Mario Draghi, sono tre milioni di lavoratori precari quelli in assoluto più a rischio.

22 febbraio 2009

La fine del modello del capitalismo anglosassone

E' questa la sintesi politica dell'incontro tenuto oggi a Berlino dai paesi Ue che parteciperanno al G20 di Londra di aprile. Passa su tutta la linea il punto di vista franco-tedesco, sconfitti completamente gli inglesi. La regolazione dei mercati finanziari sbarca in Europa - anche contro gli hedge funds, i potenti fondi di investimento che operano sui mercati mondiali - e mostrano che è finita un'epoca:

It is clear that the Anglo-Saxon model of supervision and regulation of the financial system has failed. It relied on several factors: self-regulation that, in effect, meant no regulation; market discipline that does not exist when there is euphoria and irrational exuberance; and internal risk-management models that fail because, as a former chief executive of Citigroup put it, when the music is playing, you've got to stand up and dance.


Queste parole sono di Mr. Doom, Nouriel Roubini (da un suo articolo apparso su Forbes dal titolo "Laissez-Faire Capitalisim has failed"). Che accadrà? Mentre gli Usa sembrano preprararsi alla nazionalizzazione di pezzi del sistema bancario, l'Europa fa un passo avanti ma non sa ancora come risolvere il bubbone dell'Europa dell'est, dove il fallimento delle banche (e il default dei governi nazionali) potrebbe trascinare a fondo paesi come l'Austria o noi, con la nostra Unicredit drammaticamente esposta. L'economia non sarà più la stessa, i poteri mondiali - economici e politici - sono in procinto di riconfigurarsi. La verità è che non sappiamo come: stiamo veramente vivendo un passaggio storico e si può abusare di questo aggettivo. Comunque si va avanti, verso dove non lo sa nemmeno chi guida la nave.

L'Asia di Hillary

Hillary Clinton è arrivata in Asia dove visiterà gli alleati tradizionali (Giappone e Sud Corea), quelli vecchi ma diventati qualcos'altro negli ultimi anni (l'Indonesia, la più grande e giovane democrazia islamica) e la potenza emergente cinese. Ecco in un bel pezzo del San Francisco Chronicle cosa la aspetta: molto interesse, poca ostilità dovuta all'amministrazione Bush, tante discussioni economiche. Ma non sarà tutto rose e fiori: come spiega il Wall Street Journal i dossier nordcoreano e birmano mostreranno i limiti del suo "smart power" e lì ben presto ci saranno da prendere decisioni difficili. La tappa cinese rinfocolerà i discorsi sullo scambio tra diritti umani e commercio, come illustra questo articolo del Washington Post. In ogni caso, sembra che in questa zona di mondo, e forse in America Latina, Hillary avrà più spazio di manovra anche perchè non ci sono "inviati speciali" del presidente. Un modo per contare di meno ma anche per non gestire patate bollenti. Come quella dell'Afghanistan dove, ammonisce il Wilson Center, non basta mandare più truppe: bisogna lavorare alla ricostruzione economica e alla riconciliazione nazionale. Quanto a quest'ultima, diciamo noi guardando alla storia, di solito non è aiutata da una grande presenza straniera che anzi la scoraggia: perchè il nuovo "sindaco di Kabul" dovrebbe fare la pace con chi gli sta attorno se può contare sui fucili americani e Nato?

21 febbraio 2009

La confusione afghana e la politica estera Obama

Così Obama ha deciso di spedire 17mila nuovi soldati in Afghanistan per gestire la fase elettorale e l'offensiva talebana di primavera - dal 2003 ce n'è sempre una. Non c'è ancora una nuova strategia, ma, scriveva qualche giorno ga il corrispondente da Washington della Bbc, nei think tank e nelle agenzie di sicurezza e politica estera della capitale Usa non si parla d'altro. Tutti portano avanti idee.
Il vero problema resta il Pakistan. Al Qaeda e i talebani sono più forti che mai, sia nelle province di confine che nella Swat valley, zona estranea alla guerra afghana dove ieri un kamikaze ha fatto strage di sciiti durante un funerale - allo stesso modo in cui è successo in Iraq per mesi. Qui Islamabad sta trattando con gli estremisti religiosi: pace in cambio di applicazione della sharia. Ovvero una talebanizzazione di quella che fu la perla turistica del Pakistan (ecco un reportage, informatissimo come sempre, di Syed Saleem Shahzad, uno che i talebani li conosce da vicino). In questi giorni i droni americani stanno attaccando dentro i confini pakistani, anche lontano dalle zone talebane, ovvero dove la presenza di al Qaeda si sta espandendo, indipendentemente dalla guerra afghana. Come nel 1979, quando gli invasori erano i sovietici, la resistenza nazionale e religiosa afghana ha effetti nefasti sulla radicalizzazione di parti della società pakistana. Il Pakistan ha la bomba, è in conflitto con l'India, mentre la caccia agli sciiti non piace all'Iran. Tuette gatte da pelare per Obama, Clinton e Gates. Ahmed Rashid, in un'intervista a Liberazione, ribadiva dell'importanza di un approccio complessivo. Quello che Washington sembra avere, ma per ottenere risultati serve tempo. E non è detto ce ne sia. Il Financial Times ha dei suggerimenti, il Time mette l'accento sulla rinnovata amicizia sino-pakistana e Hillary Clinton, a Pechino, spiega ai cinesi che l'amicizia viene prima dei diritti umani. Con Teheran e Mosca, altre parti cruciali della partita, i segnali di distensione ci sono. Nel libro proviamo a dire che l'ossessione di vincere in Afghanistan potrebbe giocare brutti scherzi. Pareggiare, coinvolgendo tutti nella lotta contro al Qaeda, potrebbe essere una strada migliore.

19 febbraio 2009

Altri 275 miliardi, contro la marea

"Contro la marea", è il titolo de l'editoriale del Washington Post. E si sa, fermare le maree non è una cosa semplice. In questo caso la marea è quella de l'insolvibilità dei mutui, che rischia di far diventare l'America il paese dei pignoramenti. Qual'è la prossima marea, quella che farà perdere la casa (si prevede che per il 2013 i pignoramenti saranno quadruplicati) e impoverirà le persone? La disoccupazione.

La proposta di Obama (nell'editoriale trovare i dettagli ben spiegati) ha l'obiettivo di aiutare quasi dieci milioni di famiglie americane, quello sull'orlo del precipizio, non quelle che ci sono già cadute dentro. Si cerca di fare in modo che i mutui vengano rinegoziati e che il singolo cittadino non si trovi a pagare più del 31% del proprio reddito per pagarsi la casa nella quale vive, grazie anche all'aiuto dello stato, che farà in modo di accollarsi una certa parte del mutuo fornendo soldi a chi eroga il prestito (sempre che quest'ultimo abbia mantenuto un certo comportamento virtuoso nell'epoca precedente: auguri per la ricerca).

Qual'è il problema? Che, per pagare un mutuo pari al 31% del proprio reddito, bisogna avere un reddito. La disoccupazione aumenterà costantemente almeno fino a luglio, e chi perde il lavoro va in bancarotta e non può pagare il mutuo (e quindi non ha più i titoli per accedere a questa forma di aiuto statale appena proposta da Obama). La via crucis è ancora lunga.

18 febbraio 2009

Voi siete qui



(grazie all'anonimo segnalatore)

Socialismo all'europea per gli americani? Non proprio

Noi lo avevamo detto. Nel libro. Anzi lo abbiamo detto, il libro è nelle librerie e lo potete comprare. La scorsa settimana Newsweek aveva una copertina che recitava Siamo tutti socialisti. Lo scherzo è sull'uso della parola socialismo che i repubblicani usano contro Obama. L'articolo ragionava del cambiamento di paradigma che questa crisi ha reso più rapido e drammatico. O che l'11 settembre ha rimandato di qualche anno. Sarà utile tradurne un pezzetto per coloro che non leggono l'inglese.
"Restiamo un Paese di centro-destra in molte cose - specie culturalmente e il nostro istinto, una volta passata la crisi, sarà di tornare a un capitalismo di libero mercato - ma, ancora, è stato sotto un governo repubblicano che abbiamo osservato la più vasta espansione del welfare degli ultimi 30 anni: le medicine per gli anziani. La gente di destra e sinistra chiede che il governo investa in energie alternative per farla finita con la dipendenza dal petrolio straniero. Se non sapremo riconoscere la verità di un ruolo crescente del governo nell'economia e insisteremo invece nel combattere guerre del 21esimo secolo con termini e tattiche del 20esimo, allora siamo destinati ad un dibattito fazioso e indefinito. Prima capiremo dove siamo per davvero, prima potremo pensare come usare il governo nel mondo di oggi". Anche il Daily telegraph britannico (più vicino ai conservatori che ai laburisti) scherza con lo stesso titolo e sul fatto che 25 anni fa i laburisti perdevano le elezioni perché, nella loro carta, avevano ancora la proposta di nazionalizzazione delle banche. E noi che siamo immersi in dispute teologiche.

17 febbraio 2009

Ancora Italia e Maccaroni (Obama de' noantri addio, non ti piangeremo).


Veltroni perde perché, come tutta la sinistra e la ex sinistra italiana, non legge più la società nella quale vive. Come tanti, da sindaco, ha finito per credere che quello che i giornali scrivevano su di lui per compiacerlo fosse la realtà. Si è confusa la realtà con la comunicazione contro chi riesce a governare entrambe, ovvero Berlusconi. Oggi è il vero collasso, l'anno zero della sinistra si allunga su tutto il 2009 come l'ombra della crisi economica. Senza identità, senza riferimenti sociali, chiuso alle novità. Nel rapporto Itanes (lo trovate in libreria con il titolo "il ritorno di Berlusconi", Il Mulino) emerge più di uno spunto sulle elezioni del 2008 che possono essere da stimolo per chi non vuole morire boy-scout (esistono i Matteo Renzi di sinistra? si facciano avanti). Ecco come abbiamo interpretato noi i dati offerti dall'Itanes. Fatene quello che volete.

1. L'enorme distanza tra la coalizione di Berlusconi e quella di Veltroni (che non c'era tra unione e cdl nel 2006) è dovuta due fattori: l'aumento dell'astensionismo di sinistra e il passaggio di una quota consistente di elettori dal centrosinistra al centrodestra.
2. Per la prima volta c'è stata un'astensione "asimmetrica" che ha colpito molto di più la sinistra che la destra. Chi sono gli astensionisti? Il loro numero è raddoppiato tra il 2006 ed il 2008 tra chi è nato dopo il 1965. Si tratta di gente non anziana, con un elevato titolo di studio, che lavora, che ha delle idee politiche precise e che segue molto le vicende politiche.
3. Tutto l'elettorato si è spostato a destra: un terzo degli elettori del 2006 della sinistra radicale ha votato PD (un altro terzo si è astenuto); una parte di chi aveva votato "uniti nell'ulivo" si è astenuto o è passato all'UDC; l'UDC ha preso voti dal PD ma li ha persi verso la destra. Per il PD si è prodotto un paradosso: un partito più "riformista" ha un elettorato più radicale rispetto al 2006.
4. L'identikit di chi si è spostato dal centrosinistra del 2006 al centrodestra del 2008 è: meridionale, disoccupato o pensionato, lontano dalla politica. Molto diverso da chi si astiene.
5. L'identikit di chi vota per il PD: tra i 55 ed i 75 anni; abita nelle grandi città del centro Italia e delle vecchie zone rosse; è pensionato o impiegato di concetto (il PD ha il 40,2% della classe media impiegatizia mentre è sotto di 4 punti tra i lavoratori dipendenti); non va mai a messa; vive in comuni dove nel 1976 prevaleva il PCI.
Insomma:
1. C'è stata un "de-mobilitazione" degli elettori di centrosinistra delusi dal governo Prodi e che non hanno trovato alternative valide per cui votare
2. Il PD che era nato per conquistare il centro ha conquistato la sinistra con il voto utile
3. C'è una quota consistente di chi oggi nella società sta male (donne e giovani) che vota per il centrodestra.

Sardegna, Firenze e the fierce urgency of now

Ricapitoliamo. In Sardegna l'apparato del Pd fa fuori il presidente della regione più attivo, diverso e potenzialmente figura nazionale. Questi si dimette e si va al voto. Al voto il Pd perde e la sinistra non ci guadagna. In Sardegna Soru aveva imposto la tassa alle barche di lusso, fermato i costruttori e - da imprenditore, prima - portato lavoro nuovo e non da cameriere d'estate o muratore. Soru prende più voti dei partiti che lo sostengono, il suo avversario meno voti della sua coalizione.
A Firenze il Pd prova a riscrivere le regole delle primarie, il giovane chierichetto-rutelliano Renzi si ribella e le vince. E adesso, nella rossa e bottegaia Firenze correrà lui - che spiega di aver vinto perché aveva i big del partito contro. Scommetteteci, Renzi si darà un profilo da Obama. In fondo, come ha detto Rutelli male usando una dichiarazione del presidente Usa, "non si può chiedere a nessuno che ricopra un incarico di lasciare la religione fuori dalla porta". E così, nella laica Firenze - che pure espresse il miglior cattolicesimo politico italiano con La Pira - avremo un sindaco contrario alle unioni civili, che voterebbe la legge sul testamento biologico del Pdl. La sua forza, probabilmente, il tessuto cattolico e la debolezza del tessuto della fu sinistra, incapace di vincere delle primarie con l'apparato e incapace di mobilitare qualcosa che non sia apparato.
Tutto sembra far pensare che siamo nel 2003 statunitense, con i democratici (e da noi la sinistra) allo sbando totale e senza un'idea di come uscirne, pronti a cavalcare Obama usando male i suoi slogan. Ci vorrebbe qualcuno che si mettesse a ragionare sulla crisi, sul Paese e tirasse fuori idee e forme dell'organizzazione capaci di far partecipare. Al momento costui non è Veltroni, non è Bersani, non è Ferrero, non è Vendola, non è Fava (e nemmeno Epifani, che sta facendo anche lui la sua supplenza come Cofferati....chissà che il Pd non perda Firenze e poi mandi lui a riconquistare la società, magari con una svolta meno di destra di quella del sindaco di Bologna).

La discesa a mare di Silvio Berlusconi

15 febbraio 2009

Come la Svezia?

Fare come la Svezia, così propongono Roubini e Richardson: nazionalizzare le banche, ripulirle e poi, ma solo poi, riprivatizzarle. Difficile che Geithner li ascolti, l'articolo è più che altro una provocazione per spostare il dibattito un po' più in là e però è indicativo del clima. Lo zar dell'intelligence Blair dichiara che la disoccupazione di massa indotta dalla crisi può essere una minaccia tanto grave quanto il terrorismo, la solita fantasia degli spioni? Al di là della futurologia, è tempo di primi bilanci. Il Los Angeles Times in base a come è andata sullo "stimolo" prevede tempi duri: i repubblicani hanno scelto di scommettere sul fallimento delle politiche democratiche e non collaboreranno. E invece l'agenda prevede il riordino del sistema finanziario, la riforma della sanità, la questione energetica e il cambiamento climatico. Tutti dossier pesanti ma il vantaggio è che finora i democratici in Congresso hanno sostenuto il presidente, cosa che non fecero nè con Carter nè con Clinton. Il Washington Post è più ottimista e nota che nelle prime 3 settimane Obama ha già vinto su 3 questioni non proprio secondarie: lo "stimolo" fiscale, la legge che permette l'uguaglianza di trattamento lavorativo per le donne e l'estensione dell'assistenza sanitaria ai bambini poveri.

14 febbraio 2009

Approvato il piano, è un record in tutti i sensi

Funzionerà? Ieri Larry Summers, capo degli economisti della Casa Bianca, ha detto che servirà a tenere sotto il 10 per cento il tasso di disoccupazione. Segno che la crisi Usa è davvero drammatica. Altrimenti, quasi 800 miliardi di spesa pubblica tutti in una volta, un effetto più imponente lo avrebbero. La legge è la spesa più grande approvata dal Congresso dai tempi di Roosevelt e contiene un terzo di bonus fiscali e due terzi di spese (sanità ed educazione, rispettivamente 140 e 100 miliardi, mentre 48 finiranno in progetti di trasporto). Tra le norme nascoste c'è un taglio ai bonus per i manager più forte di quanto non volesse l'amministrazione. Lo scontro interno tra Geither, amico di Wall street, e il più liberal-populista Axelrod si è risolto con una vittoria del secondo in Congresso - ovvero il gruppo democratico ha infilato tra le pieghe del testo la nuova normativa. Ecco, da Bbc, una sintesi della manovra e un Questions and answers sul piano di stimolo. Ma quanto è grave la crisi? Tanto che la casa di famiglia dei Bernanke (il capo della Fed), venduta dieci anni fa, è stata comprata per soli 80mila dollari. Ecco un bel reportage economico da Dillon, cittadina natale di Bernanke in South Carolina in profonda crisi.

Il Medio Oriente e Obama dopo le elezioni israeliane

Le elezioni israeliane, checchè ne dicano i media italiani, hanno visto la vittoria della destra: i primi 3 partiti sono composti tutti da gente che viene dal partito conservatore Likud. Questo articolo di Ha'aretz spiega come tutto il quadro politico si sia spostato a destra e Kadima, il partito fondato da Ariel Sharon, abbia usufruito di un voto utile che non gli servirà granchè. Un po' quello che è successo in Italia ad aprile. Daniel Levy, uno dei pochi esperti di Medio Oriente di sinistra, spiega bene sul suo blog sia i risultati che quali possano essere le prossime mosse americane: andare avanti sulla strada del ripensamento della politica mediorientale di Bush, usare l'influenza americana per trattare con l'Iran e con la Siria, ricostruire insomma il campo della pace distrutto a partire dallo scoppio della seconda intifada. David Pollock su Der Spiegel (ma in inglese) spiega come anche un governo Netanyahu potrebbe fare al caso del presidente americano, anche la National Review crede che "Bibi" sarà più pragmatico che in passato. Noi ci sentiamo però di condividere l'opinione di Alfonso Desiderio su Limes: c'è un generale "consensus" nell'elite israeliana che porta a credere che non ci sia bisogno di fare la pace e che la situazione per il momento possa essere messa sotto controllo bastonando i nemici. Un esempio è la stessa guerra di Gaza organizzata dal "centrosinistra" con il consenso iniziale anche della "sinistra radicale" di Meretz. Continua intanto il mal di testa afgano che assomiglia tanto a molte altre missioni estere degli Usa dal Vietnam in poi: impegno militare crescente, escalation di truppe, sostegno iniziale ad un presidente che, quando ci si accorge che governa solo sul suo palazzo, viene abbandonato senza trovare alternative credibili. L'ex consigliere di McCain Max Boot (un intellettuale davvero raffinato in realtà) questa storia la conosce bene e mette in guardia Obama dal ripetere gli stessi errori. Oggi Holbrooke incontra Karzai, chissà se ascolterà Boot.

13 febbraio 2009

Gregg lascia. La bipartisanship sempre più in discussione


Il Segretario al commercio designato ha lasciato prima di essere nominato dal Congresso. Il senatore repubblicano del New Hampshire si è detto in disaccordo su troppe cose con il resto dell'amministrazione. C'è poco da stupirsi è un vecchio conservatore per bene, non uno squalo furbo a caccia di un posto. La tempistica è pessima per Obama: Gregg si è dimesso nell'anniversario della nascita di Lincoln (ovvero il re dell'unità tra rivali politici) e nel giorno dell'accordo sul pacchetto di stimolo. Ed ha offuscato il tutto. orse non è una scelta innocente. Quando ha capito che il suo partito avrebbe fatto la faccia cattiva, Gregg si è sentito solo e ha deciso di tornare all'ovile. Ma bando alle chiacchiere: ecco un fantastico Washington post con i pareri di molti analisti politici, dal buon vecchio Karl Rove al re delle previsioni Larry J. Sabato. Il primo dice che Gregg è un grande e Obama un perdente; Sabato spiega che è ora che il presidente eserciti il mandato che il popolo gli ha dato. Lo staff di Obama sembra aver registrato, capito che il Grand Old Party non concederà nulla ed è già in campagna per il 2010. E infatti, l'uomo col rivolo di sangue sui denti, il capo dello staff noto per essere un picchiatore di Chicago (metaforico), Rahm Emmanuel, ha già detto al Wall street journal che Obama ha perso di vista la luna (il piano per l'economia) per guardare il dito (la bipartisanship)

12 febbraio 2009

Alla conquista della Rai-TV

America2008 dilaga sui media italiani. Domani, venerdì 13, Martino Mazzonis sarà alla rassegna stampa di Rainews24. Non avete il satellite? Non c'è problema, si vede anche su Rai 3 a quell'ora. Lavorate? Non c'è problema di nuovo, potrete vederlo mentre fate colazione perchè andrà in onda alle 7. Cosa farà? Presenterà il nostro libro. Se volete vederci di persona stiamo arrivando anche nella vostra città. Intanto l'appuntamento è per domani alle 7 su Rai 3.

L'accordo sul piano c'è. Chi ha vinto?


Il dibattito sull'accordo raggiunto tra Camera e Senato sul piano anti crisi è fittissimo sulla stampa online americana. Se per giorni abbiamo seguito la discussione sull'efficacia dal punto di vista della crisi, oggi siamo alla politica. E' un grande successo di Obama? E' un suo ridimensionamento? Occorre o no cercare la bipartisanhip o menare sul GOP? Il NYT apre proprio con queste domande. Il titolo è esplicativo: questo compromesso è una minaccia alla agenda del presidente. Usa Today, che, ricordiamolo, resta il più venduto giornale degli States, segnala le lezioni imparate da Obama al primo scoglio. Eccone quattro: gli amici causano problemi come i nemici, i repubblicani stanno male ma non sono morti, la campagna non finisce mai e non c'è nessuna nuova Washington. EJ Dionne mette il dito nella piaga: non c'è un centrismo buono, non è efficace, non crea consenso, non risolve la crisi. Dionne è cattolico e non necessariamente un liberal. Slate dice che Obama ha dovuto scegliere e ha scelto l'urgenza di intervenire. Goldberg, sulla National Review, attacca i centristi. E' una posizione sui generis per un media moderato.

10 febbraio 2009

Economia, un sì, un ma, un faremo

Con tre voti repubblicani il Senato Usa ha approvato il piano anti-crisi di Obama. Il piano è stato modificato rispetto a quello approvato alla Camera e dunque andrà sistemato e rivotato. Non è detto che qualche democratico non voti contro per protestare contro le concessioni al Grand Old Party.
Intanto, il Segretario al Tesoro ha presentato la seconda parte del bailout per finanza e credito. Ancora più soldi del previsto, ma più aiuto al commercio, al credito e a strutture minori. Il NYT riporta che Axelrod ed altri ambienti vicini al presidente avrebbero voluto regole più dure per le banche e i loro manager. Ad averla spuntata è Geithner. Il nuovo bailout sarà comunque migliore e più trasparente di quello gestito da Henry Paulson. Terzo elemento: ieri Obama parlava in Florida per sostenere la sua linea economica. Il giorno prima era stato in Indiana. In un caso uno Stato povero e pieno di dispoccupati. Nell'altro una contea massacrata dalla crisi da mutui subprime. In Florida Obama ha annunciato un piano di intervento per la casa.

Terry, Eluana e la rivoluzione conservatrice italiana

Il caso Terry Schiavo, quello della donna morta per interruzione dell'idratazione dopo 12 anni di stato vegetativo e sette di battaglie legali, ricorda molto quello di Eluana Englaro. Non stiamo parlando di medicina, etica o della quantità di grandi temi che ci sono dietro. Ma dell'uso strumentale che ne viene fatto da parte della politica e della chiesa cattolica (negli States furono soprattutto gli evangelici a guidare la crociata). Il caso Schiavo è forse l'ultimo in cui quella parte della maggioranza religiosa americana che ha sostenuto George W. Bush, che lo ha eletto la prima volta, ha combattutto una battaglia politica, ha spostato il focus delle istituzioni dai temi dell'economia, della politica estera, dell'ambiente, delle tasse, a quello dell'etica.
Per anni, sui temi del matrimonio gay, dell'eutanasia e affini, dell'aborto, il dibattito politico è stato infuocato, la mobilitazione costante. Con il risultato di mobilitare la parte arretrata del Paese, di portarla a votare e di farla votare contro i suoi interessi. Nel 2005, il presidente Bush interruppe le vacanze per firmare una legge. Ricorda qualcosa? L'analisi è breve, poco puntuale e approssimativa, ma ci serve per far notare una cosa: in Italia stiamo attraversando una rivoluzione conservatrice con tutti i crismi. E l'uso feroce che si è fatto di Eluana Englaro (andate a leggere l'editoriale di Avvenire, non di Libero, ma dei giornale dei vescovi) è solo l'ultimo dei segnali: in principio furono il family day, la non approvazione dei Pacs da parte di una maggioranza di centro sinistra. Oggi siamo al pacchetto sicurezza anti immigrazione e alla riforma della costituzione a partire da un difficile caso di etica. Bush viene eletto prima del 9/11, la politica estera aggressiva viene dopo. Il nocciolo della sua base era un altro. Quello che in questo momento esercita la sua egemonia assoluta sulla maggioranza di governo in Italia (Fini appare piuttosto isolato). Negli Usa, come proviamo a dire nel libro, sono successe molte cose perché qualcosa cambiasse. Qua siamo ancora all'agosto 2001. Speramo di non dover aspettare tanto.

A chi dobbiamo la crisi? Obama picchia duro sul GOP

Addio bipartisanship: il presidente, nella sua prima conferenza stampa nel prime time (nella notte italiana) ha attaccato chi si oppone al suo piano anti-crisi con argomenti ideologici. "Nemmeno F. D. Roosevelt avrebbe dovuto far qualcosa", secondo questi alfieri dell'economia privata e degli spiriti animali. Ecco la pagina di Huffington sulla quale trovate caricati diversi video della press conf.
La scorsa notte il Senato ha votato sulla norma procedurale che impedisce il filibustering con 60 voti a favore. A questo punto, anche senza il voto dei repubblicani che hanno votato a favore sulla procedura, il pacchetto passerà. Il voto è previsto per la notte di martedì (il pomeriggio a Washington). Poi si torna alla Camera e il tutto diventa legge. Il voto di tre senatori repubblicani è costato una riduzione del piano e l'aumento degli sgravi fiscali.

Il possibile mal di testa israeliano

Oggi si vota in Israele, un voto importante per due motivi. Il primo è che, ad essere pessimisti, queste elezioni potrebbero essere un esempio di cosa potrebbe diventare il sistema politico italiano tra qualche anno: la sfida lì è tra il leader della destra del Likud e una ex del Likud come Tzipi Livni, con il corollario di un partito di ultradestra razzista (un po' peggio della nostra Lega) in forte ascesa e un partito laburista ideologicamente e politicamente allo sbando. Sul Los Angeles Times trovate una buona analisi della posta in gioco mentre qui trovate una sintesi degli ultimi sondaggi.
Il secondo motivo sono ovviamente i riflessi per la politica americana nella regione. Un bel articolo del Financial Times spiega perchè Obama è l'unica speranza per Israele: se vince la destra (come probabile) il peso sulle sue spalle per arrivare alla pace sarà ancora più pesante. Ma non ha alternative, non può permettersi di perdere 4 anni dietro a Netanyahu come fece Clinton. D'altronde le posizioni del leader del Likud potrebbero bloccare ogni processo diplomatico regionale, come si evince da questa sintesi: non solo promette al massimo "indipendenza economica" ai palestinesi ma è contrario a cedere il Golan ai siriani, unica possibilità di separarli dagli iraniani e ottenere la loro collaborazione sul Libano e sul sostegno ad Hamas. Sarà dura, e non è finita: il 12 giugno si vota in Iran, ecco una breve scheda con la promessa che ne riparleremo.

7 febbraio 2009

E' un mondo difficile

Un po' di notizie sul mondo e gli Stati Uniti che avrete letto poco sui giornali italiani, d'altronde c'è di che occuparsi di Italia in questi giorni. Come sull'economia, il presidente e la sua amministrazione si stanno rendendo conto di quanto sia difficile la situazione. Cominciamo dall'Afghanistan: le cose in Kirghizistan vanno male. Cosa c'entra? Iniziamo col dire che questo è un paese centro-asiatico e che lì gli americani avevano impiantato una base molto importante per i rifornimenti alle truppe in Afghanistan. Bene, i russi hanno convinto i kirghizi a buttare fuori gli americani. La Clinton era un po' dispiaciuta, anche perchè negli stessi giorni gli americani hanno perso pure un altro grande canale di approvvigionamento attraverso il Pakistan. Come con i turni infrasettimanali di campionato, non ci sarà molto tempo per piangerci su: Hillary farà il suo primo viaggio in Asia e nel frattempo cerca di rifare amicizia coi russi, come ci spiega il sito della BBC. E poi ci sono state le elezioni irachene, di cui vi avevamo parlato in un post qualche giorno fa. L'affluenza è stata più bassa che nel 2005, ma sono andati a votare anche i sunniti. Non si votava invece nè in Kurdistan nè a Kirkuk, città ricca di petrolio e di conflitti tra "arabi" e curdi. I risultati ci dicono che sono cambiati i rapporti di forza tra gli sciiti ma che nessuno ora ha chiaramente il comando, sono possibili quindi nuove ondate di violenze. Tra i sunniti buon successo delle liste nazionaliste e tribali su quelle islamiche. Sarà un lungo e tormentato anno, che porterà alle elezioni politiche e, forse, anche all'inizio del ritiro americano. Ecco l'analisi del think tank realista CSIS. Sul sito del Center for American Progress invece si trova una cosa rarissima in America: un'analisi abbastanza dettagliata delle forze politiche di un paese cruciale per la politica americana, in questo caso l'Iraq.

5 febbraio 2009

Ci siamo

Oggi arriva nelle librerie "Come cambia l'America". Chi l'ha letto già (perchè l'ha acquistato nelle presentazioni) ne parla bene ma aspettiamo i vostri commenti. Se volete saperne di più potete seguirci oggi alle 16.30 sul canale 890 di Sky oppure su internet su www.redtv.it.

4 febbraio 2009

Torna Cheney e ammonisce: l'America è in pericolo. Obama rilancia il disarmo nucleare

Su Cheney basta il titolo e il link all'intervista, la prima concessa dalla fine dell'amministrazione Bush. Su Obama ecco l'articolo-scoop del Times di Londra. Lo stesso quotidiano britannico ricorda che uno degli obiettivi del disarmo è la possibilità di incalzare Teheran a partire da una posizione di forza diplomatica. Ma anche, diremmo noi, di migliorare i rapporti con la Russia, già migliorati dopo il congelamento dello scudo anti missile nell'Europa dell'est e quello successivo e conseguente dell'installazione di missili puntati a occidente da parte di Mosca. Sul nucleare, il punto di vista di Obama dovrebbe essere quello di Sam Nunn e del suo Nuclear threat initiative.

Le prime recensioni


Qui il link alla recensione di Ida Dominijanni su "il manifesto". Il libro lo trovate domani in libreria. Alle 16 e 30, sul canale 890 di Sky, ci trovate su Red Tv nella trasmissione "Global Watch", condotta da Paola Di Fraia.

3 febbraio 2009

Quasi breaking news: si è dimesso Daschle

Il Segretario incaricato alla Sanità ha rinunciato. Aveva problemi con il fisco (è già il quarto...ma nessuno paga le tasse negli Usa?). Il problema, nel caso di Daschle è che l'ex senatore è il vero padrino politico di Obama e, quindi, questo è un colpo durissimo di immagine. L'amministrazione potrà rivolgerlo in positivo dicendo: i nostri si dimettono, mentre i segretari del G.O.P, anche sotto inchiesta, non hanno schiodato. Certo che il colpo è duro. Daschle alla Sanità garantiva Obama su uno dei terreni più scivolosi, e trovare una figura affidabile e di alto profilo non sarà facile. Del resto lo ha ripetuto per tutta la campagna che Washington era marcia, e adesso le prime mele cadono dall'albero.

Tre giorni ed esce il libro



Non avete letto la recensione di Dominijanni su "il manifesto"? Parla bene di noi. E giovedì saremo a Red Tv. Un grande successo signori!

La crisi repubblicana

Come al solito i lavori peggiori finiscono ai neri, direbbe la rivista satirica The Onion. E così il compito di risollevare l'America da una profonda crisi economica e da due guerre (quasi) perse spetta al primo presidente afro-americano. Nel suo piccolo anche il partito repubblicano non se la passa bene: non è mai stato così ininfluente dal 1993 ma ora le cose vanno pure peggio perchè non ha più la supremazia ideologica che aveva allora. Ecco allora che a presiederlo viene chiamato un afroamericano, Micheal Steele, di cui abbiamo già parlato in questo post. Thomas Schaller, su Salon, ci spiega che i repubblicani sono in crisi di identità, di radicamento sociale e di "visione" sul futuro del paese. Un lungo articolo di The New Republic arriva addirittura a dire che "il conservatorismo è morto", perchè i suoi punti di forza ideologici sono stati sconfitti dalla realtà: il liberismo dalla crisi economica, il militarismo dalle guerre nel "Grande Medio Oriente". Noi nel nostro libro, che tra l'altro esce tra 2 giorni in libreria, diciamo più o meno la stessa cosa. C'è chi non si da per vinto però: Reihan Salam su Forbes spiega perchè il partito dell'elefantino sta risalendo la china. L'uomo è stato coautore di un libro importante uscito quest'estate e che suggeriva di riposizionare i repubblicani come il partito della classe media lavoratrice. Il problema come direbbe il comico Stephen Colbert è che la realtà è faziosamente di sinistra.

2 febbraio 2009

I miliardi sprecati in guerra (il rapporto)

Quanti soldi sono stati buttati, sprecati e male usati in Iraq? Ecco il sito della commissione federale che ha indagato. In sintesi: Il governo non era preparato e neppure capace a rispondere ad una domanda che cambiava con gran rapidità. Sia nei giorni della stabilizzazione che in quelli della ricostruzione. All'inizio si pensavadi spendere 2,4 miliardi, ne sono stati stanziati 51. Per l'Afghanistan se ne spenderanno almeno 30 (così si è deciso) e se tutto non sarà gestito meglio, i fallimenti e i pessimi risultati contiueranno a pesare. Tra le numerose corrispondenze e agenzie internazionali lette in questi anni, infatti, la cosa che salta all'occhio è proprio la rabbia dell'iracheno medio che si lamenta del fatto che i servizi di base siano più o meno allo stato in cui erano nell'immediato dopoguerra. Nonostante il tempo passato e i soldi spesi.

1 febbraio 2009

Una nuova era in Iraq?

Ricordate questa immagine? Ne giravano tante e di simili dopo le ultime elezioni politiche irachene, una vita fa: Giuliano Ferrara dava lezioni alla sinistra dicendo che le armi americane avevano portato la democrazia in Iraq e D'Alema diceva "sì ma..". Ieri in Iraq si è votato per i consigli provinciali: un test importante per capire se il processo di inclusione politica dei sunniti ha funzionato. Probabilmente, almeno secondo il Los Angeles Times, l'affluenza è stata bassa: poco sopra il 50%. Il clima nel paese però è buono e gli americani di fatto si fanno vedere meno in giro, come racconta il New York Times. Lo storico con simpatie reaganiane John Arquilla spiega come Obama potrebbe veramente ritirarsi dal Paese senza farlo esplodere. Le stime che da sono come sempre esagerate, da che mondo è mondo l'impero dice "dopo di me il diluvio" prima di andarsene. Però la strategia che propone ha un senso: ritirare il 90% delle truppe e lasciare solo quelle che controllano gli avamposti all'interno delle città. Cioè andarsene e lasciare quel poco che serve a controllare la violenza. Certo di mal di testa la regione non smetterà di darne al presidente. Tra 9 giorni si vota in Israele: la destra del Likud è data in vantaggio, qui potete vedere gli ultimi sondaggi. Uno dei giornali in inglese più importanti del Golfo, The National, ci ricorda le posizioni del leader Netanyahu e dei conservatori israeliani sulla questione dello Stato palestinese. In poche parole: non se ne parla proprio.