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24 settembre 2009

Sono solo simboli, certo, ma il consiglio di sicurezza Onu...

L'unico organo davvero decisionale dimorato al Palazzo di vetro di New York ha adottato una risoluzione che la Bbc chiama storica (alla pagina trovate uno speciale, con diverse cose tra cui i filmati degli interventi di diversi leader): si tratta di un invito generale e generalizzato al disarmo nucleare. Il Consiglio era presieduto da...indovinate un po'? Il presidente Obama. Il passo è solo simbolico, ma che Russia, Cina e Stati Uniti votino per il disarmo è davvero una frattura storica. L'Onu, che è un edificio anni 60, con una gestione e un'organizzazione anni 60, per una volta manda messaggi importanti dalla sua sede decisionale. Normalmente sono le singole agenzie sui temi specifici o l'Assemblea a votare mozioni, non il consiglio.
Possiamo sicuramente sbagliare, ma il fatto che all'Onu sia stata spedita Susan Rice, la consigliera in politica estera più vicina a Obama già durante la campagna elettorale, era già un segnale che l'Onu poteva e doveva, nelle intenzioni del presidente, acquisire maggior centralità specie per quelle grandi sfide planetarie che converrebbe a tutti affrontare assieme: povertà, ambiente, pandemie, disarmo. L'adozione della risoluzione è anche il segno che Rice sta lavorando bene e che con la Russia, sulla questione nucleare, gli Usa stanno facendo un lavoro di prospettiva. Altro argomento, oggi all'Onu sarà divertente: parlano Chavez, Nethanyau, Shakasvili e il presidente iracheno Talabani.

14 settembre 2009

Did you say regole per la finanza?

Nel week-end i quotidiani Usa hanno celebrato un anno dal dallimento di Lehman brothers. Il 15 settembre può essere considerato una data simbolica per la crisi 2008-2009 e i media più importanti hanno dedicato parecchio spazio alla ricostruzione delle vicende, sottolineando come, poco fosse cambiato. Dove sono andate a finire le riforme? Allora è vero che a Wall street non cambia niente! Sono stati i commenti di tutti o quasi. Ecco un LA Times, ed ecco tre fantastiche grafiche del New York Times, la prima su dove sono andati i soldi pubblici spesi per salvare le imprese, una sulle proposte di riforma e la terza, la più bella, sulle dimensioni delle banche nel corso di quest'anno (alcune sono scomparse, altre sono quasi uguali ad un anno fa, grazie all'intervento pubblico). Oggi, non proprio a sorpresa, Obama è andato a Wall street a parlare di regole. Il solito bel discorso, niente retorica contoro la cupidigia, ma un appello a Wall street: partecipate anche voi al progetto riformatore, non speculate sull'oggi, perché la prossima volta non interverremo. E poi una serie di proposte chiare sul controllo, la capitalizzazione, la trasparenza verso i consumatori, gli standard internazionali. C'è grande dibattito sul potere della Federal reserve. Non chiedeteci le nostra, per adesso non ne abbiamo una. Qui il testo del discorso, qui il video.

10 settembre 2009

Cosa ha detto Obama al Congresso

Ecco una breve sintesi del piano descritto da Obama al Congresso ieri sera. Sulla questione più controversa, la creazione di un'assicurazione pubblica che competa con quelle private, il presidente ha detto che si rivolgerebbe solo a chi non è oggi assicurato e che in ogni caso non bisogna essere ideologici: se c'è un altro strumento che può conseguire lo stesso risultato è benvenuto. Ha poi accettato l'idea, che era di John McCain, di creare una "borsa delle assicurazioni" dove individui e imprese possano contrattare delle polizze più convenienti. Il tutto si reggerebbe sull'obbligatorietà dell'assicurazione sanitaria, come da noi per le automobili: chi non se la può permettere però avrebbe uno sgravio fiscale da parte dello stato. Infine una serie di misure che lui ha definito costituiscono l'80% della riforma e che sostanzialmente garantirebbero i cittadini dagli abusi tipici del sistema attuale: l'impossibilità di negare la copertura in base a condizioni pre-esistenti nel paziente; un limite alle spese che i clienti debbono sobbarcarsi da soli anche quando coperti da polizza; l'obbligatorietà della copertura delle cure preventive come la mammografia o la colonscopia. Questo piano, secondo Obama, costerebbe 900 miliardi di dollari in 10 anni: meno delle guerre o dei tagli alle tasse per i ricchi fatti da Bush, come Obama ha fatto notare. Questi soldi verrebbero fondamentalmente da 3 fonti: la riduzione degli sprechi nei programmi medicare e medicaid; la lotta alle cattive pratiche e ai costi legali legati alla professione medica; una tassa sulle pratiche più costose delle assicurazioni private. Per chiudere, un richiamo tipicamente obamiano alle radici storiche americane: la riforma non è "un-american", è anzi nel solco della storia del paese. Prima di tutto perchè è il completamento del disegno del New Deal e della Great Society, tempi nei quali i membri del Congresso "capirono che i pericoli di uno stato troppo invadente corrispondono a quelli di uno stato che lo è troppo poco". In secondo luogo perchè "c'è l'idea in questo paese che il duro lavoro e la responsabilità devono essere ripagati in qualche misura dalla sicurezza e dalla giustizia". La commissione Finanze del Senato, l'unica a non aver ancora concluso i lavori, ha promesso che lo farà entro la prossima settimana.

Non sono il primo a promuovere questa causa, sono determinato a essere l'ultimo


I titoli sembrano essere positivi (anche Politico, che non è esattamente liberal). Obama ha parlato 47 minuti ed è stato interrotto da un deputato republicano della South Carolina che ha gridato you lie. Per come è ridotta lo Stato del Sud, feudo del G.O.P., farebbe bene a stare zitto. Obama ha sfidato il Congresso, spesso incapace di agire, paralizzato dai suoi veti e non popolare tra gli americani. Funzionerà lo stratagemma? Sarà stato capace di convincere la middle class spaventata dalle tasse e gli anziani impauriti dall'idea di perdere la loro copertura sanitaria? Ecco il discorso, più tardi le reazioni.

9 settembre 2009

Provaci ancora Barack

Non è la prima volta che Barack Obama prova a riformare la sanità. Era il 2004 (pensate, solo 5 anni fa) e l'attuale presidente era solo un senatore dello stato dell'Illinois, dove tra l'altro è ambientato ER. Il Washington Post ci racconta oggi con un lungo articolo come andò allora: Obama mise su una coalizione molto ampia come si fa spesso in America. L'obiettivo iniziale era un sistema quasi all'Europea in cui tutti sarebbero stati coperti. I costi piuttosto elevati e le forti resistenze delle assicurazioni furono da subito un problema che Obama cercò di risolvere con una trattativa. Trattò così a lungo e così approfonditamente che la legge che fu approvata non istituiva nessun nuovo sistema ma solo una commissione che avrebbe studiato il problema. Questa stilò un rapporto in cui consigliava di rendere obbligatoria l'assicurazione (come da noi per le auto) ma di fornire sussidi a chi non poteva permettersela. Nessuna assicurazione pubblica insomma e d'altronde Obama aveva accettato che nella commissione fossero presenti anche i rappresentanti di quelle private. Inutile dire che quel sistema non è mai entrato in vigore in Illinois anche a causa dei rovesci giudiziari che colpirono il governatore Blagojevich. Una storia da tenere a mente in vista del discorso che il presidente farà stasera sulla sanità.

8 settembre 2009

Un nuovo alleato sulla riforma sanitaria

Ecco il testo dell'intervista concessa da Bill Clinton a Esquire nella quale l'ex presidente difende la public option, sostiene che Obama sta facendo bene e che i democratici devono scaricare i repubblicani e tirare diritti per ottenere una riforma qualsiasi senza preoccuparsi troppo del budget. Su questo, ma ho perso il link, sul New York Times di domenica Robert Reich, ex segretario al lavoro di Bill e oggi professore di economia a Berkeley, recensiva un libro di storia della riforma sanitaria nel quale si spiega che nessun presidente ha mai tenuto conto del fattore risorse. Prima si fa la legge che cambia la società nel profondo, poi si pensa ai soldi.

Obama, la sanità, gli anziani e il voto del 2010

Se cercate una spiegazione all’impasse politico che ha attanagliato l’amministrazione Obama per tutta l’estate, guardate i sondaggi per il governatore della Virginia. O per i posti in Congresso del Nevada e negli altri Stati tradizionalmente repubblicani o moderati che il presidente ha portato ai democratici nel novembre del 2008. Senza che i repubblicani abbiano fatto nulla per guadagnare terreno, il pendolo punta dalla parte del partito dell’elefante. Un fatto fisiologico dopo una vittoria tanto grande come quella di Obama, ma andatelo a spiegare ai senatori e rappresentanti che se sbaglieranno voto sulla riforma sanitaria rischiano di restare a casa. Per carità, non è tutta qui la difficoltà del re degli oratori, ma l’agenda politica di ciascun presidente non può fare a meno di giocare le partite più difficili nei momenti in cui si è abbastanza lontani dalle elezioni. E in questa estate del 2009, le lancette dell’orologio si avvicinano in maniera pericolosa alla distanza simbolica di un anno dal voto di mezzo termine (novembre 2010).
E’ per questo che il presidente aveva marcato stretto la leadership parlamentare del suo partito perché approvasse la riforma sanitaria prima dell’estate ed è per questo che domani si presenterà davanti ad una sessione bicamerale del Congresso per parlare della legge più difficile da far approvare al Congresso degli Stati Uniti d’America. (per continuare clicca qui)

Ritorno ai comizi, stavolta per la riforma

Domani Obama parlerà al Congresso riunito in sessione bicamerale. Ieri però è andato a fare un comizio in Ohio (qui il video e qui una sintesi e l'articolo di Politico) ove ha insistito molto sulla crisi e le misure approvate (era il Labour day) e sulla riforma sanitaria. Il presidente ha fatto molta retorica anti poteri forti e repubblicani e ribadito la sua preferenza per la public option. Ma senza andare a fondo e lasciarci capire esattamente cosa dirà a rappresentanti e senatori. Obama parla a una platea sindacale e sembra un campione liberal. La domanda è: che strategia sta giocando? Potrebbe cercare di infiammare la platea e poi far passare un copromesso, oppure forzare. Il Nyt ci racconta che c'è un testo redatto dal senatore Baucus (Montana, democratico) che contiene alcune cose importanti ma dove la public option è assente. Aspettiamo e vedremo.

27 agosto 2009

Un mese di tempo per il processo di pace

Questa faccia non si trova molto spesso sui nostri giornali: è quella di Salam Fayyad, primo ministro dell'ANP, o meglio dell'autorità che governa oggi la Cisgiordania, perchè Gaza è nelle mani di Hamas. Secondo il New York Times, Fayyad avrebbe preparato un piano per arrivare concretamente ad uno stato palestinese entro due anni. Secondo il Guardian invece, tra poco meno di un mese Obama farà un grande discorso sul processo di pace in cui, affiancato da Netanyahu e Abu Mazen, dirà alcune cose: gli israeliani fermano parzialmente la costruzione degli insediamenti; gli arabi stabiliscono timide relazioni commerciali con Israele; si fissa un'agenda di due anni per i colloqui di pace. Il discorso ci sarà o all'Onu oppure al G-20.
Il tutto sarebbe parte di uno scambio con Netanyahu sulla politica iraniana: le concessioni sugli insediamenti sarebbero la contropartita per un nuovo giro di sanzioni più dure contro Teheran. Netanyahu sembra che si sia mostrato più aperto nella tappa londinese, parte del suo viaggio in Europa.
Sembra però la ricetta per il prossimo fallimento: Russia e Cina non aderiranno alle sanzioni contro l'Iran; Netanyahu non propone un vero blocco ma cerca di far passare la linea della necessità di avallare la "crescita naturale" degli insediamenti; i palestinesi non possono accettare, nell'anno elettorale, l'ennesimo "processo" che non porta mai alla pace. D'altronde anche Bush aveva promesso entro il 2005 lo stato palestinese, poi aveva spostato la scadenza al 2008. Forse a decidere veramente saranno i gesti sul terreno: il processo avviato da Fayyad e magari avallato dalla "nuova guardia" di Fatah da una parte, la costruzione degli insediamenti dall'altra. E in mezzo la politica mediorientale di Obama a pezzi.

26 agosto 2009

La riforma sanitaria perde un paladino: è morto Ted Kennedy


Era una notizia annunciata, da quando prima dell'estate scorsa era stato trasportato d'urgenza da Martha's vineyard all'ospedale e gli era stato diagniosticato un cancro al cervello. Dopo esser riuscito a vedere Barack Obama alla Casa Bianca, il leone Kennedy non ha fatto in tempo a vedere approvata la legge per la quale si è battuto negli ultimi decenni. A 77 anni, l'ultimo dei tre fratelli Kennedy, l'unico ad essere arrivato in fondo alla vita in maniera naturale, è morto. La sua ultima grande mossa politica era stata quella di schierare la famiglia dietro al futuro presidente nel mezzo delle durissime primarie democratiche. Non aveva spostato masse, era considerato un liberal, uno di quelli che non piace alla base democratica con la quale Obama aveva difficoltà, ma aveva contribuito a creare l'aura presidenziale al senatore afroamericano. I ritratti fioccheranno, ma siamo ancora alle prime cose uscite. I fratelli, l'incidente d'auto di Chappadiqquick, l'isoletta d fronte a Martha's vineyard, 1969 in cui morì la sua segretaria, le battaglie da senatore, la sanità, il tentativo di scrivere una legge sull'immigrazione bipartisan con John McCain, l'investitura di Obama e la lotta contro il cancro. Qui lo speciale del Boston Globe, il quotidiano del suo Massachussets, ecco il ritratto Bbc, con le reazioni e qualche link e sette pagine di ritratto del New York Times. La lunghezza degli articoli, segnala che i coccodrilli, come si chiamano in gergo gli obituaries, erano già pronti. Chi scrive ha la fortuna di aver visto uno dei comizi per Obama in New Jersey. C'era Robert De Niro, roba forte.
Chi sarà il nuovo senatore? Uno di famiglia? La prossima, cinica, domanda è questa.

24 agosto 2009

Il dibattito sulla riforma sanitaria e la costernazione inglese

Ripartiamo dal tema caldo dell'estate, la riforma sanitaria. Come ai tempi dello scandalo dello swiftboating del 2004 (la campagna Bush vs Kerry) i gruppi conservatori hanno lanciato la loro campagna di disinformazione sulla riforma. Lexington sull'Economist e Michael Tomasky sul Guardian appaiono costernati dal comportamento di alcuni cittadini dell'ex colonia di sua Maestà. Ecco i motivi del disagio dell'Economist, in un articolo dal titolo "Still crazy after all these years":

- il movimento dei "birthers", che continua a contestare l'autenticità del certificato di nascita di Barack Obama, sostenendo che non sia nato su suolo americano (la Costituzione impedisce ai naturalizzati di divenire Presidente). Un sondaggio dell'Economist mostra che il 26% dei repubblicani crede che Obama sia nato all'estero; il movimento dei birthers sostiene si tratti di una cospirazione socialista;

- i gruppi che protestano contro la riforma sanitaria assumono toni sempre più estremi, mentre i gruppi armati di "patrioti" aumentano in numero e consistenza in tutta l'America. Il paragone tra Hitler e Obama (sempre a causa della proposta di Riforma sanitaria) è all'ordine del giorno.

E il refrain su Hitler arriva al delirio nel video proposto da Tomasky (direttore di Guardian America) sul suo blog. A Las Vegas, in un meeting pubblico, un cittadino israeliano racconta ai giornalisti come la sanità pubblica del suo paese funzioni ottimamente, in special modo per quel che riguarda le cure dei vecchi soldati (si intuisce che questo signore è rimasto colpito dai veterani americani che finiscono in mezzo a una strada senza casa e senza aiuto). Non cita mai Obama o i democratici o la riforma, parla solo del suo paese. A un certo punto arriva una signora che lo paragona a Hitler e a Obama: immaginate la reazione...

La cosa più divertente è il modo costernato e quasi rassegnato con il quale Tomasky racconta la vicenda (Sono Pazzi Questi Americani), aggiungendo particolari interessanti. Intervistata a sua volta, la signora si presenta come una conservatrice cristiana; lei ha un'assicurazione sanitaria, suo marito no. Tomasky, sempre più abbattuto, si chiede come possa una persona del genere essere contro la riforma di Obama. Lo zoccolo duro della follia.

Ecco i link. qui Tomasky e qui l'articolo di Lexington.

5 agosto 2009

Happy Birthday Mr. President

Ieri era il compleanno di Obama, i leader democratici gli hanno portato una torta al cioccolato. Lui ha espresso un desiderio: portare a casa la riforma sanitaria. Ha detto che bisognerebbe cercare il compromesso con i repubblicani ma senza andare oltre la metà di settembre. Un po' come con gli iraniani che tra l'altro ieri hanno proclamato ufficialmente Ahmadinejad presidente. Se Obama continuerà a trattare con lui vorrà dire che la politica della promozione della democrazia e dell' interventismo liberal sarà quantomeno sospesa. In Afghanistan i talebani continuano ad attaccare Kabul, chissà se la guerra di Obama sarà anche il suo primo fallimento oppure se questo titolo spetterà alla riforma sanitaria. Intanto buon compleanno.

4 agosto 2009

E' estate, in Medio Oriente

Stagione di possibili guerre putroppo, raramente di vacanze. Fatah, il Movimento di Liberazione della Palestina fondato da Arafat, tiene oggi il suo congresso: è il primo da tantissimi anni e potrebbe essere l'occasione per dare una prospettiva politica al partito, moribondo da quando il suo fondatore è passato a miglior vita. La notizia però è che il documento politico non esclude ancora il ricorso alla lotta armata e non si parla di abolire la clausola favorevole alla distruzione dello Stato di Israele. Un modo per non cedere le carte migliori prima del negoziato. Sull'altro lato non ci sono notizie migliori per Obama. Yossi Alpher, uno degli analisti israeliani più acuti ed equilibrati, scrive sul Jerusalem Post che Netanyahu farebbe bene a concedere qualcosa al presidente americano sulla questione degli insediamenti: non ha senso continuare a costruirne dentro Gerusalemme se il risultato è che poi lo Stato ebraico si ritroverà al suo interno centinaia di migliaia di abitanti arabi della città piuttosto risentiti. Difficile che venga ascoltato. L'amministrazione nel frattempo continua a premere su entrambe le parti per arrivare ad un compromesso: aperture diplomatiche arabe in cambio di uno stop agli insediamenti. Un po' più in là del Medio Oriente, in Afghanistan, la notte di Kabul è stata interrotta da un bombardamento talebano: è il primo da parecchi anni e fa parte della campagna elettorale dei fondamentalisti. Se questa doveva essere la "guerra di Obama", beh, non sta andando splendidamente.

28 luglio 2009

Un esercito di volontari

Non sono quelli di Obama, che pure sta mobilitando come può la sua base per promuovere e vendere al Paese la riforma sanitaria (MoveOn manda una mail al giorno, qui lo spot che l'organizzazione di pressione e mobilitazione politica ha prodotto). Si tratta invece dei volontari che donano ore al loro quartiere, città, comunità. Un rapporto pubblicato ieri mostra (qui la sintesi del Washington Post) che, nonostante la crisi, nel 2008 il volontariato è in aumento rispetto al 2007. L'aumento più importante viene dai giovani (+400mila). Un bene per il presidente, che tra le cose alte di cui spesso parla, mette la partecipazione alla cosa pubblica.

27 luglio 2009

Che impatto avrebbe la riforma?

Per gli appassoniati del tema, ecco un fantastico grafico del New York Times. Si capisce molto bene cosa succede a chi. Il Nyt, che come giornale fa un lavoro neutro, sottolineando anche le difficoltà di Obama in questa fase, sta spingendo la riforma. O meglio, come il presidente, fa un lavoro pedagogico, smonta le leggende messe in giro dalla parte estrema della destra. Lo ha fatto domenica con un editoriale lungo che, in sostanza, era la spiega scritta del grafico qui sopra. Il problema cruciale, quello vero, resta quello dei finanziamenti: quanti soldi si risparmiano e quanti ne servono.

24 luglio 2009

Ancora sanità, parla Krugman

Ecco l'articolo di Krugman, spesso critico con le politiche finanziarie di Obama. Mentre tutti dicono che la conferenza stampa del presidente non è stata particolarmente efficace (vedi il post precedente), il premio Nobel per l'economia spiega che, secondo lui, Obama ha detto quanto c'era da dire: costi e solidarietà. Già, Krugman ricorda che il predecessore di Obama un tempo spiegava che in America “c'è la sanità, basta andare al Pronto soccorso" e che sotto la sua presidenza - i repubblicani, da Reagan in poi, promettono sempre meno stato ma fanno immancabilmente aumentare il deficit - i costi di Medicare sono schizzati alle stelle.

23 luglio 2009

Obama prova a vendere la sanità (di nuovo)

La conferenza stampa di stanotte (qui l'analisi del NYT, sulla pagina c'è anche il video) è cominciata spiegando le cose fatte, cercando di vendere il recovery act, ammettendo che le nuove assunzioni saranno l'ultima cosa che arriverà - e ricordando che che l'economia americana aveva perso di competitività prima della crisi e non produceva più ricchezza per i più da tempo.
Poi Obama è passato alla Sanità parlando dei costi: sono troppo alti e ogni giorno 14mila americani perdono la propria assicurazione. Il presidente ha poi provato a vendere la parte di riforma sulla quale c'è accordo, ripetendo le stesse cose dette due giorni prima. Il rischio è quello di mostrare la momentanea debolezza. Politico sostiene - e forse non a torto - che stavolta Obama ha volato troppo basso: la sua abilità, nei momenti duri, è di fare uno scatto in più e volare alto. Stavolta forse non è andata così: Politico nota che la risposta sull'arresto del professore afroamericano è molto migliore. In effetti, lo abbiamo già scritto, le riforme difficili (sanità, pensioni, scuola) sono difficili da trasmettere e da capire per il pubblico. Un buon passaggio: “Capisco che la gente sia scettica, non ha visto granché uscire da Washington per aiutarli. Si dice: preferisco questo diavolo che conosco, che non quello di cui non so nulla“. Un altro: spingo con tanta forza perché ricevo lettere tutti i giorni di gente in difficoltà...in un Paese come il nostro questo non è giusto e poi la default position determina inerzia.
Lo scontro in Senato va avanti, Pelosi rischia un po' la figura di quella che procede senza mediare (“se non si vota non si va in vacanza"), facendo infuriare gli avversari e i non amici del proprio partito. I senatori mediano all'infinito e questo dev'essere uno dei motivi per cui l'ultimo sondaggio AP vede Obama in calo e le Camere rimanere ferme intorno al 30 per cento del consenso (come prima del voto di novembre). Per Obama una buona notizia, premere sul Congresso può servire. Certo, lo strano della politica Usa - e anche nostrana - è che il Congresso entità astratta è impopolare, ma io elettore voto il mio senatore o deputato come se l'incapacità di fare del Parlamento non dipendesse anche da lui/lei. Qui un pezzo di Matt Bai dal NYT magazine sulla palude politica nella quale Obama si muove (e di come lo scaltro Rahm Emmanuel sia l'uomo per attraversarla)
Fatto: cinque milioni di americani hanno perso l'assicurazione dall'inizio della crisi (ecco la rilevazione Gallup). Piccolo problema: i non assicurati sono più ispanici e afroamericani (16% degli americani, solo 11,6% dei bianchi). Eppure, come notate dal cartoon qui accanto, c'è chi alimenta paure sulla sanità pubblica. Chi non lo ha fatto rilegga Zucconi (il link due o tre post qui sotto)

22 luglio 2009

Riforma sanitaria, Obama ancora in Tv

Difficile situazione per bama, costretto ieri a fare una nuova comparsa televisiva in forma di conferenza stampa per difendere il suo operato. Rahm Emmanuel spiega che si tratta di un “riepilogo dei sei mesi passati", la verità è che il presidente è in difficoltà. Come dice il Nyt cedere e rmandare a dopo l'estate o provare a forzare? Vedremo. In ogni caso, stasera alle 8 eastern time c'è la conferenza stampa. Politico pone dieci domande interessanti (un repilogo non gentile).

21 luglio 2009

Sanità, la saga continua

Il presidente ha detto che metterà tutto il suo peso sulla vicenda. I repubblicani proveranno a fare lo stesso per fermare il piano Obama, che sperano di trasformare nella sua Waterloo. E. J. Dionne, columnist del Washington Post spiega che Obama è meno preoccupato dei suoi colleghi di partito perché non ha la sindrome del 1993, ovvero della batosta presa dai democratici dopo la sconfitta suicida proprio sulla Sanità. Obama ha la maggioranza, lavora a mediazioni, mette il suo peso politico e non teme di prendere batoste. Per lui una buona notizia: il senatore Baucus, del Montana, che presiede la commissione finanze e che frena (o rallenta) sulle proposte di riforma sanitaria, negli ultimi mesi ha preso una valanga di soldi dalla lobby sanitaria. Baucus è insomma nel mirino e dovrà essere più accorto nel frenare. L'altra notizia è che i democratici stanno riflettendo sulla possibilità di una tassa meno penalizzante di quanto pensato fino a qualche giorno fa: saranno solo gli ultramilionari a pagarla. Un passo indietro tattico per mostrare di essere pronti al compromesso. Per finire, il pezzo di Vittorio Zucconi da Repubblica spiega molto bene lo scenario paradossale della battaglia per la Sanità negli States.

18 luglio 2009

Notiziario del mattino (o quasi): Tv, sanità e disoccupazione

1. Stanotte è morto Walter Cronkite, anchorman televisivo Cbs che ha commentato la morte di Kennedy, il Vietnam, lo sbarco sulla luna. Tempi diversi da oggi, nei quali la Tv era una fonte ed era un po' più credibile e sobria - niente plastici per Cronkite, ma lavoro sul terreno, ad esempio in Vietnam già più che adulto e famoso. Che diremo quando moriranno le facce Tv che vediamo da qualche anno a questa parte? Non sono più autorità, ci affidiamo a loro per svagarci, non per correre a capire che succede, come e perché. Il mondo dellinformazione è cambiato in meglio e peggio dai tempi di Cronkite - prima faccia Tv a dirigere il suo spazio, a decidere. Qui tre momenti della carriera in video. Quando tornò dal Vietnam e spiegò che l'escalation era un disastro, il presidente Johnson capì che aveva perso la guerra, ricorda il New York Times. Abbiamo più scelta, abbiamo la rete, ma abbiamo sempre meno lavoro serio sulla notizia. In America. Se poi guardiamo a noi, possiamo affermare con certezza che è cominciata la stagione dei calendari. Siamo oltre la notizia, noi.
2. Sei senatori democratici fanno la fronda contro la riforma sanitaria. La preoccupazione è l'aumento della spesa e l'introduzione di una tassa in una fase di crisi. Preoccupazione legittima? Forse, ma il gioco dei senatori moderati sembra più essere quello di far vedere che esistono in una fase in cui l'ala che in Italia definiremmo centrista è in un angolo. Negli States centrista equivale a difensori di uno status quo che non regge più, uno status quo contro il quale Obama ha vinto le primarie e le elezioni. Il presidente vorrebbe la riforma approvata entro le vacanze estive, difficile ci riesca, ma la pressione sul Congresso serve a essere sicuro che a settembre ci si arrivi. Sarà un passaggio storico di quelli difficili da capire per chi la Sanità ce l'ha. Qui il post sul dibattito in corso. Qui l'analisi del New York Times di oggi.
3. Nuovi dati sulla disoccupazione Usa. La costa Est (California compresa), il solito midwest ex industriale e non ancora post e il Sud-ovest sono le regioni più colpite. Qui una grafica con i dati.