25 ottobre 2009

Imparare dalla Virginia

Il 3 novembre in Virginia si vota. Elezioni importanti perchè lo Stato aveva sempre votato repubblicano nelle elezioni presidenziali degli ultimi 40 anni fino a quando non è stato strappato da Obama. I democratici però già vincevano da un po' le elezioni per il governatore. Da vedere le mappe interattive del Washington Post e paragonarle coi risultati del 2008 contea per contea. Quello che emerge è che lo Stato è cambiato molto negli ultimi anni e che i democratici erano riusciti a sfruttare questi cambiamenti: più giovani, più pagati, più minoranze. Oggi i repubblicani mettono in campo una strategia simile cercando di penetrare tra le minoranze e tra chi vive nella suburbia. Potrebbero proprio farcela. Da qui, dall'analisi di chi si vuole rappresentare, parte la politica vincente. Provate a trovare mappe e strategie così per le regioni italiane.

23 ottobre 2009

Cattive notizie sull'Iran, buone sulla sanità

L'Iran avrebbe bocciato la proposta sul nucleare di cui avevamo parlato mercoledì. Teheran ha fatto una controproposta: invece che far arricchire l'uranio all'estero, l'Iran potrebbe acquistarlo già arricchito dall'estero. Potrebbe solo essere un modo per ritardare il negoziato.
Sulla sanità invece si fa strada l'opzione pubblica, soprattutto alla Camera dove sembra che si sia raggiunto l'accordo sull'opting out: gli Stati che non la vogliono possono rifiutarla. Al Senato invece si ragiona sull'estensione di Medicaid (il programma per i poveri) e la creazione di "borse sanitarie" dove i ceti medio-bassi potrebbero acquistare polizze più convenienti. Il compromesso tra i liberal (che vogliono l'opzione pubblica ad ogni costo) e i moderati democratici (che l'aborrono) sarà complicato.

21 ottobre 2009

Quasi accordo sull'Iran, quasi stallo sul processo di pace

Sul nucleare iraniano sembra che si sia vicini ad un accordo che permetterebbe all'amministrazione Obama di guadagnare tempo prezioso: una parte consistente dell'uranio verrebbe arricchito in Russia ed in Francia. Ci sono dei ma: bisogna vedere se l'Iran accetta e bisogna capire a che velocità verrebbe trasferito il materiale, onde evitare che gli iraniani giochino sporco mandandone un po' all'estero ma rimpiazzandolo subito per costruire una bomba. Sul processo di pace arabo-israeliano le cose vanno a rilento, come era lecito aspettarsi. Gli israeliani dicono che si è vicini ad un accordo ma attenzione: l'accordo sarebbe solo su cosa mettere alla base del negoziato e non sulla direzione dello stesso. Si partirebbe infatti dalle risoluzioni Onu 242 e 338, cioè da Adamo ed Eva. I palestinesi si aspettavano il congelamento degli insediamenti, ma Netanyahu sembra averla avuta vinta. Il problema è che su questo fronte l'amministrazione Obama misura tutta la debolezza americana in questo momento: non può permettersi di forzare la mano più di tanto con i recalcitranti alleati israeliani. C'è poi un'altra mina su questo fronte: la gestione del rapporto Goldstone che accusa gli israeliani di crimini di guerra. Il governo Netanyahu vuole addirittura cambiare le regole e affermare il diritto "all'autodifesa contro gli atti di terrorismo". Più o meno quanto sostenuto per giustificare tutte le passate operazioni militari dello Stato ebraico. Nel frattempo il neocon israeliano Michael Oren, oggi ambasciatore a Washington, snobba la conferenza di J-Street, la nuova lobby pro-Israele ma anche "pro-pace". A chi volesse saperne di più su come vanno le cose nei Territori Occupati suggeriamo la lettura di "Time for Responsibilities", il diario dell'ultima missione dei pacifisti italiani.

13 ottobre 2009

Riforma della Sanità: un passo importante in avanti

La signora qui accanto si chiama Snowe, Olympia Snowe e fa un mestiere importante: è la senatrice del Maine per il partito repubblicano e siede nella commissione finanze. Oggi ha votato insieme ai democratici la riforma della Sanità. La guerra sarà ancora lunga ma forse Obama ha vinto una delle battaglie più importanti.
Ora ci sono alcuni passaggi piuttosto cruciali: la proposta sarà votata dall'assemblea del Senato, dove i liberal cercheranno di inserire di nuovo la norma che crea un piano assicurativo pubblico e nazionale in competizione con le assicurazioni private. Il progetto Baucus (dal nome del presidente della commissione Finanze) non lo prevede: ci sarebbero solo delle cooperative regionali in un sistema in cui le assicurazioni sarebbero obbligate a prendere tutti i clienti (abolendo quindi le clausole sulle "pre-existing conditions") che avrebbero dei sussidi per pagare le polizze. Mentre il Senato approverà il suo testo, anche la Camera farà altrettanto. Ci sarà poi una commissione che preparerà un testo comune da approvare definitivamente nei due rami. La riforma così com'è è molto meno sia di quanto si aspetta una parte dei democratici sia di quanto ci sarebbe realmente bisogno: il rischio che senza opzione pubblica i costi schizzino in alto è reale. Però ci sono due notizie positive: primo, la riforma della Sanità non era mai arrivata tanto avanti nel suo iter parlamentare dal 1912; secondo, il voto della Snowe (se sarà confermato in aula) darà una copertura politica al progetto, dando l'impressione anche ai democratici moderati che c'è un consenso bipartisan. Ora l'amministrazione sembra puntare a far approvare una riforma qualsiasi, purchè sia una riforma. L'importante è mettere in moto il processo, poi magari tra due anni si potrà "riformare la riforma" e introdurre l'opzione pubblica.

9 ottobre 2009

Il Nobel al primo della classe


Ci sono voluti pochi secondi per scatenare il dibattito in rete. Prima sui blog, poi sulle pagine curate dalle firme dei media che contano. L’argomento è più o meno sempre lo stesso: «Il Nobel per la pace a Obama è preventivo», un incoraggiamento dato dai membri del comitato alle belle parole pronunciate qui e la dal presidente democratico. Il discorso de Il Cairo, quello all’Onu, le parole sulla razza. Voli pindarici redatti da un bravo speech-writer e, per adesso, non molto di più.
C’è poi chi parla del secondo premio anti-Bush dopo Al Gore e chi di medaglia ad un presidente Usa per non comportarsi da scriteriato cowboy. In molti, tra gli analisti Usa ci spiegano che il Nobel può essere controproducente per le aspirazioni internazionali della presidenza.
La lista di «se» e «ma» è infinita. Obama è l’uomo dell’Afghanistan, il presidente delle guerre, non ha chiuso la base di Vicenza e non ha fatto abbastanza per l’Honduras dopo il colpo di Stato con il quale il golpista Micheletti ha deposto il presidente eletto Zelaya. E che dire dell’ambiente? E del difficile e non risolto dialogo con l’Iran o della catastrofica situazione in cui versa quello che una volta si chiamava “processo di pace in Medio Oriente”. Su tutti questi temi Obama non ottenuto risultati. E poi si appresta ad aumentare il contingente afghano.
Ciascuno di questi commenti, astiosi o ironici che sia, ha più di un fondamento. I guerrieri - che di guerrieri si trattava - Arafat e Rabin vinsero il premio con Peres dopo aver avviato un processo di pace, mentre Mandela e de Klerk hanno saputo mettere alle spalle decenni di galera e odio razziale. Il premio veniva dato ad una visione accompagnata da risultati. Per spiegare la logica di questo, forse, occorre guardare alla lista degli ultimi premiati - qualcuno ricorda che l’ultimo è stato il diplomatico finlandese Martii Ahtisaari? Alzi la mano chi sa perché. Occorre poi ricordare che a dare il premio sono dei politici norvegesi che hanno vissuto la Guerra fredda e la minaccia nucleare sul confine tra est e ovest, sviluppando una sensibilità speciale in materia, così come sull’ambiente e la cooperazione. Tra gli ultimi premiati ci sono due personalità provenienti da Paesi semi dimenticati - il banchiere dei poveri Yunus e l’ambientalista del Kenya Wangaari Maathai - Al Gore per la campagna sul clima (risultati?), Mohamed El Baradei, presidente dell’Aiea che ha cercato di smussare gli angoli con l’Iraq, prima, e con l’Iran, poi. Si tratta di storie relativamente piccole o di approcci alle grandi questioni planetarie, come il premio all’Ipcc, la commissione Onu sul clima. Queste personalità hanno, in un modo o nell’altro, alzato la voce e lavorato per far prendere coscienza alla società globale delle enormi sfide che la attendono. Obama, che piaccia o meno, è uno di questi. In meno di un anno ha provato a far rientrare lo scontro di civiltà con il mondo islamico, firmato dei trattati nucleari con la Russia, restituito (a parole) un ruolo all’Onu, portato il suo Paese a discutere di emissioni di gas serra. E poi sta accompagnando gli Stati Uniti attraverso una crisi durissima e senza inventare nemici. Il Nobel per la pace è probabilmente esagerato, come esagerate sono le reazioni: Obama non è il miglior presidente possibile, perché un presidente così non esiste.

2 ottobre 2009

Un'apertura sull'Iran?

Ieri incontro fondamentale sull'Iran a Ginevra. Prima di tutto, a latere della riunione ufficiale il sottosegretario Burns ha parlato per ben 45 minuti con Saeed Jalili, il capo-negoziatore iraniano. E' il colloquio più lungo da quando le relazioni diplomatiche tra i due paesi si interruppero a causa del rapimento dei diplomatici americani a Teheran tra il 1979 ed il 1981. Poi ci sono state significative novità nell'incontro ufficiale: primo, il sito di sviluppo nucleare di Qom appena scoperto sarà aperto alle ispezioni dell'AIEA; secondo, si è raggiunto un accordo per rivedersi a breve; terzo, ma non meno importante, sembra che l'Iran abbia accettato di portare in Russia il 90% del suo materiale fissile. In altre parole, l'accordo potrebbe essere che gli occidentali non chiedono più di fermare l'arricchimento dell'Uranio ma questo avviene in maniera controllata (sotto l'egida russa) e per scopi pacifici. Una soluzione discreta per gli Usa che vedrebbero svaporare la minaccia nucleare imminente anche se solo grazie alla cooperazione russa. Obama però incasserebbe il notevole risultato di aver messo sotto controllo un programma che va avanti fin dai tempi dello shah (vedi questa infografica del Financial Times). La linea iraniana, almeno a livello ufficiale, sembra un po' più conciliante di quanto ci si potrebbe aspettare, ecco l'intervista del ministro degli esteri Mottaki a CFR.org. Bisognerà vedere però se è solo uno strumento per guadagnare tempo e arrivare al punto di non ritorno in cui la bomba sarà quasi pronta.

1 ottobre 2009

Chimerica

60 anni di Repubblica Popolare cinese. E chi l'avrebbe mai detto, loro in giro e i sovietici scomparsi da vent'anni. Chi avrebbe mai detto che avrebbero festeggiato i sessant'anni stringendo per il portafoglio l'America? Ieri sul Sole24Ore Mario Margiocco descriveva le ansie americane: i cinesi comprano solo titoli a breve del debito pubblico americano, chiaro sintomo di sfiducia.

Se i cinesi - e i giapponesi - continuassero così non ci sarebbe sufficiente denaro per sostenere il debito che gli americani creeranno nei prossimi anni (per Paul Krugman, gli Usa possono tirare la corda per altri 5-6 mila miliardi di dollari di debito. E a me la banca telefona ogni volta che vado in rosso).

Sul tema vi consigliamo l'acquisto del quaderno speciale di Limes, che vede in Washington e Pechino una coppia di fatto costretta a convivere a causa della crisi (la Cina è ancora assolutamente dipendente dal consumatore americano, quello che però Obama vorrebbe spendesse di meno. E' tutto molto complicato). Il nostro consiglio è interessato: c'è un articolo di uno di noi. Comunque, leggetevi - sempre su Limes - anche l'articolo controcorrente del generale Fabio Mini, che parla di una superpotenza che non sarà mai veramente tale (la Cina) e di un'altra che vive il suo declino: due debolezze che convivono.

La presentazione del numero di Limes la trovate qui: con il direttore Lucio Caracciolo c'è un pezzo di America2008.