30 giugno 2008

Obama, la corsa al centro e la rivolta della comunità sul web

Il flip-flopping dei due candidati presidente, il loro cambiare posizione per guadagnare consensi che pensano di non avere, sta diventando una costante dei commenti sui media americani (ecco Newsweek e Paul Krugman sul NYT, che non ama Obama e paragona la sua svolta moderata a quella di Bill Clinton). Dalle tasse, alla ricerca del petrolio per McCain, dal finanziamento pubblico delle campagne al silenzio sulla sentenza della Corte costituzionale in materia di armi, per Obama. Il più grave e inaspettato (per quanto ci riguarda) è quello di Obama sul Fisa. Il senatore aveva condotto una battaglia contro e oggi annuncia un voto a favore in Senato. Su MyBarackObama.com, parte del sito dedicata ai visitatori che vogliono costruire far parte della community obamiana è in corso una piccola rivolta. Vota no, chiedono i sostenitri del senatore. Anche The Nation dedica un editoriale online alla faccenda. Interessante è il fatto che il senatore (o il suo staff) consentano il dissenso dentro al sito della campagna. Vedremo se arriverà anche qualche risposta credibile.

28 giugno 2008

Obama e la sindrome del "ma anche"

Barack Obama si sta spostando al centro? Forse sì, e Michael Powell ci da qualche esempio recente. La Corte Suprema riafferma e allarga il diritto di possedere armi? Lui dice che bisogna garantire quel diritto ma anche la possibilità per le comunità di vietare le pistole. E' contro le intercettazioni su vasta scala dell'amministrazione Bush ma anche per il condono alle società telefoniche che le hanno realizzate. Ha scritto che la pena di morte non ha un effetto deterrente ma anche che può essere estesa dai casi omicidio a quelli di stupro su minori. Può essere solo tattica: dopo essersi assicurato i voti dei fedelissimi con la campagna per le primarie ora cerca di sfondare tra gli indipendenti. Oppure che aver scelto di puntare solo sui finanziamenti privati implica una linea moderata che non spaventi troppo l'establishment. In ogni caso, la mente corre proprio al giovane Bill Clinton che, come ricorda il corrispondente dagli USA del Daily Telegraph, pur di conquistare il "centro vitale" corse in Arkansas ad assistere all'esecuzione di un minorato mentale che, prima dell'iniezione letale, chiese di conservagli la torta che aveva appena mangiato perchè quando tutto era finito voleva mangiarne un altro po'.
Nel frattempo i sondaggi indicano che il senatore potrebbe sfondare in una serie di stati dove gli "indipendenti" contano molto e una vittoria a valanga sarebbe un bel biglietto da visita per uno che in fondo per l'establishment rimane sempre un outsider.

27 giugno 2008

Unite for change a Unity, i duellanti assieme sul palco

Eccoli qua, dopo mesi di scambi duri, ecco i discorsi dei senatori democratici. Se funziona sono guai per il G.O.P.

B-Rock contro McPain, il rap cabaret da Philly, check it out

E' una presa in giro. Certo. Ma quanti ragazzoni neri delle inner cities porterà a votare? Ecco Keith from up the block, cabarettista di Philadelphia che gioca e fa campagna elettorale. Dal sito di Questlove, batterista di The Roots, gruppo rap conscious e anche super famoso. A proposito di cultura popolare, la copertina di Rolling Stone è dedicata ad un'intervista con il senatore.

26 giugno 2008

Pena di morte e armi, quanto pesa la Corte Suprema

I 9 giudici hanno, nel giro di due giorni, emesso tre sentenze che hanno fatto notizia. Primo, hanno considerato che la pena di morte per lo stupro di un bambino è una pena eccessiva. Secondo, hanno ridotto la penale imposta alla Exxon per il disastro ambientale della Valdez in Alaska nel 1989. Terzo, notizia di oggi, ha sancito il diritto individuale a portare armi, cancellando la legge che a Washington, un tempo tra le città più pericolose d'America, limitava fortemente il possesso di pistole, cannoni e altri giocattoli. Due brutte sentenze e una, per quel che vale in un ambito così ristretto come quello delle sentenze capitali per un reato specifico (sono 2 i condannati a morte per la violenza su bambini), dignitosa. Armi e pena di morte sono tra gli ambiti nei quali, qualsiasi liberal europeo è destinato a rimanere deluso da qualsiasi candidato democratico. Obama compreso. Il senatore ha commentato negativamente la sentenza sulla pena di morte (“è l'ultima risorsa per i reati orrendi, come questo"), un brutto inizio, e ha mantenuto una linea equilibrista sulle armi da fuoco. In entrambi i casi ha il passato da senatore in Illinois da farsi perdonare, per modo di dire, dall'elettorato conservatore (e infatti i repubblicani gli hanno immediatamente dato addosso). E se vuole guadagnare gli swing states e andare oltre, su quei temi deve fare il moderato (detto in senso negativo). John Nichols, su The Nation, critica gli slalom di Obama ma, contemporaneamente fa un bagno di realismo: se vince lui, alla Corte Suprema andranno giudici (uno, due, dipende dalla salute) che emetteranno sentenze migliori sui terreni della morale religiosa, della pena di morte e delle armi. Che conseguenze politiche avrà la decisione? Ecco Cilizza sul Post. Per ricordare come la questione sia molto geografica e non necessariamente solo politica, va detto che Bloomberg, il sindaco ex repubblicano di New York è per il gun control e che la più importante campagna contro le armi porta il nome di Jim Brady un ex assistente di Reagan, ferito assieme al presidente nell'attentato del 1981.

E il vecchio Schultz disse: Basta col nucleare


Era Segretario di Stato quando l'ipotesi della guerra totale era negli incubi di ciascuno. George P. Schultz, anziano statista repubblicano, Segretario al Tesoro di Nixon e poi capo della politica estera di Reagan, vincitore della Guerra fredda e protagonista degli accordi di con Gorbaciov, sostiene in un'intervista a Yes magazine, che un mondo senza armi nucleari sarebbe più sicuro. Peccato abbia 88 anni e non abbia più gran peso politico (nella foto è quello seduto accanto a Reagan).

25 giugno 2008

Religione e politica. Quanto peserà e come?



Ieri James Dobson ha attaccato pesantemente Obama per aver distorto i testi sacri in un suo discorso sulla religione del 2006. Dobson è il leader di Focus on the Family, impero mediatico e potente lobby valoristica che ha avuto enorme esposizione negli anni della presidenza Bush. Ecco la cronaca di Maurizio Molinari da la Stampa (se ci sono in italiano perché usare sempre testi in inglese?). E' uno dei primi attacchi pesanti di un leader della destra religiosa al candidato democratico. Segnala una crociata? Difficile a dirsi, McCain ha già avuto i suoi problemi con qualche predicatore potente ed esagitato da cui ha dovuto prendere le distanze (ecco i ritratti di Hagee e Parsley da Liberazione). Ma quanto e come peserà stavolta la religione sulle elezioni? La coalizione conservatrice di cui McCain ha bisogno può contare sulla mobilitazione degli evangelici? Qualche domanda e qualche risposta in un servizio di Liberazione (in coda una scheda e una cronologia). E per finire la nuova ricerca del Pew research centre sulla religione negli Stati Uniti in una pagina ricca di tabelle e animazioni utile da consultare oggi e nei prosismi mesi. L'indagine a campione è condotta su 3500 persone e sembra confermare che il modo di intendere il proprio credo sta diventando un poco meno totalizzante. Non è un male.

Una nuova geografia del voto? Che succede se a Obama riesce una registrazione di massa

Ecco un'analisi del Chicago Tribune sullo sforzo della campagna democratica di cambiare la geografia delle presidenziali. Per sommi capi possiamo dire che da qualche decennio i democratici prendono le coste più il midwest (meno l'Ohio, quando perdono), mentre i repubblicani divorano il Sud (meno l'Arkansas o la Georgia quando hanno perso contro Clinton e Carter) e il West. Da decenni lo scontro è quindi limitato ad alcuni Stati. Quelli famosi sono Florida e Ohio, mentre il Missouri vota sempre con il presidente. Una delle incognite della campagna 2008 è relativa proprio a come e quanto lo sforzo di Obama di registrare e far andare a votare più gente funzionerà per mettere in gioco nuovi Stati. Il Chicago Tribune ne individua addirittura nove, Politico parla di 14 Bush States. Nei prossimi mesi uno dei giochi preferiti sarà proprio quello di aggiornare e cambiare l'elenco dei battleground states.

24 giugno 2008

Obanomics contro McCainomics, un punto

Cosa pensa davvero McCain dei tagli alle tasse per i ricchi voluti dal presidente Bush? Un tempo era contrario, da candidato repubblicano ha improvvisamente cambiato opinione. E cosa farà Obama sulle tasse? L'esatto contrario di McCain perché ha bisogno di soldi pubblici? E quanto colpirà il potere delle corporations, un tema che di certo gli ha guadagnato pezzo consistenti di elettorato giovane e liberal quando usato nei comizi? Sono domande difficili e importanti, l'America zoppica ed è in crisi di identità, anche dal punto di vista degli scenari di sviluppo: quale energia, quali infrastrutture, quale mobilità, quante tasse e per farci cosa, quale commercio internazionale, tanto per nominare dei capitoli a casaccio. Fortune dedica alle politiche economiche dei candidati due ampi servizi, qui quello su McCain, qui quello su Obama (e qui un pezzo su tassazione dei capital gains e Barack). A proposito di tasse: Politico lancia la serie “Dear 44", articoli dedicati ai temi della campagna con suggerimenti al futuro presidente. Primo tema la tassazione, delicato ovunque ma in America di più - una nuova presidenza democratica avrebbe il difficile compito di cominciare a ribaltare la vulgata divenuta classica per cui tassa è brutto, a prescindere da come si usano i soldi e per fare cosa. Ecco un pezzo a favore del mantenimento dei tax cuts di George W. del capo economista della Camera di commercio statunitense e uno contro del vicepresidente della sezione di Economic Policy al Center for American Progress Action Fund

23 giugno 2008

I'm Voting Republican, la battaglia dei video è cominciata

Ecco un esempio, tra i mille già in circolazione, di un video che prende in giro l'idea di votare per il Grand Old Party. Fino a novembre ne vedremo migliaia, ironici come questo e pieni di insulti o malignità. La tecnologia consente a tuti o quasi di partecipare al gioco. Un po' cacofonico, ma a volte - questo è il caso - ci sono cose divertenti o ben fatte.

22 giugno 2008

Battlegrounds, cominciano gli elenchi di campi di battaglia

Indiana, Maine, Missouri, Ohio, Wisconsin, il New York Times dedica cinque corrispondenze a questi cinque Stati. E' una scelta come un'altra. I sondaggi - che per ora indicano al massimo una tendenza - indicano che gli Stati in bilico, gli swing States, sono molti di più. Se Obama dovesse riuscire nell'impresa non facile di aumentare in maniera significativa la registrazione degli afroamericani in alcuni Stati del Sud, le cose cambierebbero ancora. La strategia scelta dal candidato democratico, sulla scia di quella dei 5o Stati di Howard Dean e del partito, è quella di provare a partecipare alla corsa in ogni Stato, anche quelli che sono quasi certamente persi. Così facendo prende un rischio - spendere soldi in posti dove non può vincere - ma costringe McCain e i repubblicani (candidati senatori e deputati) a battagliare ovunque. Politico suggerisce a Obama di usare Clinton in alcune contee chiave, persino in Texas e Arizona.

20 giugno 2008

Arresti per mutuo: "Operation Malicious Mortgage"

I manager cominciano a finire in manette come ai tempi della Enron. Specula qua, specula là, la notizia rimbalza in tutto il mondo: un bel po' di famiglie americane hanno perso in tutto un miliardo di dollari per colpa di 400 manager che sono stati incriminati negli ultimi tre mesi (400: neanche fosse una retata in una bisca clandestina o una ronda di Alemanno fra i trans di Via Palmiro Togliatti. Solo ieri ne hanno arrestati 60 in tutti gli Stati uniti). Il direttore dell'Fbi Robert Mueller ha detto a tutti i truffatori: "We will find you, you will be investigated and you will be prosecuted". L'Fbi che piace a noi forcaioli di sinistra.

Il lato positivo? Se in copertina c'è l'economia e i suoi disastri è un cosa positiva per Obama e i democratici.

19 giugno 2008

Non solo Casa Bianca. Un punto sul Congresso

Non c'è solo lo scontro Obama-McCain a catalizzare l'attenzione degli americani. A novembre, come sempre, si vota anche per il rinnovo della Camera dei rappresentanti e di un terzo del Senato (ogni due anni si rinnova un terzo). Dopo la mezza valanga democratica del 2006, il partito organizzato da Dean punta a nuovi passi in avanti in entrambe le Camere. La possibilità c'è per un motivo semplice, precedente alla disaffezione nei confronti dei repubblicani: se i seggi senatoriali Usa sono quas a vita, il ricambio è minimo, stavolta in tanti non si ripresentano, per paura di perdere o per raggiunti limiti fisici. In uno scontro senza incumbent (il senatore uscente) è più facile strappare un seggio al partito avversario. La campagna per le presidenziali condotta dal senatore dell'Illinois in tuti gli Stati, una novità assoluta, aiuterà parecchio i candidati in seggi difficili. Ma dove sono i seggi in ballo? E quanti sono? Il Time fa un elenco, il politologo star Tv Larry Sabato un riepilogo, ma il miglior sito in materia, per quant non professionale, resta quello di un informatico americano che vive in Olanda.

18 giugno 2008

Obama, il suo blocco sociale e la fine del Clintonismo

Gli articoli buoni sulla campagna elettorale americana non per forza si trovano in inglese e all'estero. In tre interviste realizzate per Europa Marilisa Palumbo ci spiega di più chi è e cosa potrebbe fare il nuovo candidato democratico. Nella prima è andata nella tana del lupo e cioè nel think tank clintoniano per eccellenza dove si pensa che, al di là dei proclami, il senatore dell'Illinois porterà avanti il Clintonismo senza i Clinton. Nella seconda ha sentito Todd Gitlin, uno dei sociologhi più famosi e più di sinistra d'America, per capire quanto "Benedetto da dio" (questo il significato di Barack in Swahili) cambierà la politica di oltreatlantico. La risposta è: parecchio. Nella terza ha parlato con Ruy Teixeira, che insieme con John Judis ha scritto "The Emerging Democratic Majority" e che dice che se Obama non piace ai maschi lavoratori bianchi non è un dramma: sono sempre di meno anche se concentrati negli stati chiave. Si tratta di limitare i danni, come il senatore sta già facendo.

17 giugno 2008

La gara sta veramente per cominciare

I sondaggi per le presidenziali di novembre cominciano ad avere una certa affidabilità solo dopo l'estate. Per ora, leggendo quello del Washington Post, possiamo dire che Obama ha lo stesso vantaggio su McCain che, nello stesso periodo dell'anno, Kerry aveva su Bush nel 2004. E poi sappiamo com'è andata a finire. In realtà, non bisogna vedere i dati assoluti ma quelli dei grandi elettori scelti stato per stato. E' meglio a questo proposito tenere d'occhio la cartina che fa RealClearPolitics: i voti sicuri sono più o meno gli stessi per i due candidati ma ora sono in gioco vecchi bastioni dei due partiti come il Texas, la California o la Florida che da soli fanno più di un quinto del totale dei grandi elettori. Per non parlare di un altro quinto (quelli indicati come "toss up") dove la gara è completamente aperta. Ne vedremo delle belle. Intanto non solo Gore appoggia Obama ma il senatore dell'Illinois si prende anche una delle strateghe elettorali di Hillary Clinton, Solis Doyle, licenziata a febbraio. Chissà quanti retroscena che farebbe la nostra stampa...

16 giugno 2008

McCain e il ritorno dei vulcani


James Mann ci aveva già impressionati pochi anni fa con il suo "The Rise of the Vulcans" una lucida biografia del gruppo di persone che aveva costruito la politica estera di Bush. Oggi torna sull'argomento sul Washington Post per guidarci, attraverso le biografie dei possibili ministri di McCain nelle contraddizioni di una possibile nuova amministrazione repubblicana. Secondo Mann, il senatore dell'Arizona sarà al centro della solita vecchia tempesta tra realisti alla Kissinger e neoconservatori idealisti che caratterizza la destra americana perlomeno dal 1976. Sul Los Angeles Times Ted Widmer, ex eminenza grigia di Clinton, sostiene che, Bush o non Bush, l'idealismo internazionalista americano non può morire, tanto più se sarà un democratico a sedere alla Casa Bianca. Su quel fronte cominciano ad emergere i nomi dei primi veri consiglieri sul Medio Oriente: tra di loro Dennis Ross che fu l'uomo di Clinton nella regione.

15 giugno 2008

La tesi del giovane McCain

Tornato dai suoi anni di prigionia in Vietnam, John McCain scrisse una tesi di 40 pagine per l'accademia militare. Come ci spiega il New York Times, questo testo del 1974 cercava di dimostrare come la scarsa fiducia nei motivi della guerra fosse la causa delle molte defezioni di soldati americani in favore dei Vietcong. Insomma, il movimento per la pace lavorava per il nemico e l'esercito avrebbe dovuto fare di più per convincere le sue truppe. Ma la tesi, come spiega David Kirkpatrick, non ha molto fondamento storico. Eppure, potrebbe tornare utile sull'Iraq.

Il dibattito sull'economia, tra tasse e pozzi di petrolio

Fondamentalmente, come ci spiega il Los Angeles Times, lo scontro tra Barack Obama e John McCain sull'economia è quello tra i sostenitori dell'intervento pubblico e i sostenitori del mercato. Ma su cosa sia, o cosa possa diventare effettivamente, la politica economica del candidato democratico ci sono opinioni molto diverse. Sul suo blog Tom DeLay, ex-capogruppo repubblicano e campione delle campagne anti-tasse degli anni '90, ci da un anticipo di cosa dirà la destra: Obama vuole tassare i capital gains e spremere chi guadagna più di 200.000 dollari l'anno, "che non vuol dire essere ricco". Dall'altro lato Naomi Klein ci mette in guardia da un'inversione ad U simile a quella che fece Clinton sul tema del libero commercio. Su un tema i due candidati sono apparentemente d'accordo: il riscaldamento globale. Ma, come ci spiega Slate, il Congresso a maggioranza democratica non riesce ad approvare neanche una blanda proposta per fare pagare alle aziende che inquinano. D'altronde basta leggersi quest'editoriale assai conservatore su Townhall: se non ci fossero di mezzo quegli imbelli di Washington il petrolio si potrebbe trovare scavando pozzi in Alaska o nel Golfo del Messico. E invece bisogna andare a pregare in ginocchio i sauditi.

14 giugno 2008

Muore Tim Russert, l'anchorman della domenica mattina che aveva chiuso le primarie

Qualche settimana fa, dopo il voto in North Carolina, dichiarò che le primarie erano da considerarsi chiuse. Aveva ragione. Tim Russert, faccia bonaria che gli americani erano abituati a vedere ogni domenica mattina a Meet the press, dove discuteva con colleghi o faceva il terzo grado a qualche politico, è morto a 58 anni di infarto. Tendente al democratico non risparmiava domande vere a nessuno, come in genere succede negli States e non succede mai nel nostro Paese (vedi l'imbarazzante conferenza stampa Berlusconi-Bush di due giorni fa). Oggi lo ricrodano tutti i grandi e piccoli giornali. Ecco il NYT, il Washington post, il New Yorker, il Guardian, Politico e il sito della Nbc, ricco di link, filmati e foto di una delle sue facce famose.

13 giugno 2008

Nel mondo di Barack

Barack Obama suscita grandi speranze nel mondo soprattutto, secondo il Pew Center, in Europa ed in Africa. Tra gli elettori USA, due fattori giocano a suo favore: il primo è che più il surge funziona in Iraq e più facile e più politicamente sostenibile è la sua posizione sul ritiro, come sostiene Charles Crain. Il secondo fattore è che i democratici vanno davvero forte e forse possono permettersi anche un candidato così "difficile": secondo E.J. Dionne, i sondaggi della Gallup dimostrano che anche se non dovesse convincere tutti gli elettori democratici ce la farebbe comunque, perché i repubblicani sono sotto il 30% e perché lui va bene tra gli indipendenti. I sondaggi in questa fase valgono poco, però già si comincia a pensare a chi saranno i suoi uomini: ecco le previsioni dell'Economist. Time ragiona sulla possibilità che si scelga un vice con background militare, tra i nomi spiccano Webb e Clark. Nel frattempo, il mondo è distratto dall'importante sentenza su Guantanamo e trascura un affare non da poco: le trattative con il governo Maliki per impiantare della basi USA permanenti in Iraq, di cui ci parla al-Jazeera. Chissà se il ritiro voluto da Obama riguarda anche questo...

Bush, Frattini e la Crimea

La visita d'addio del presidente Usa a Roma si è conclusa con grandi pacche sulle spalle, dichiarazioni d'amore e sorrisoni. Il presidente del Consiglio e il ministro degli Esteri Frattini hanno fatto di tutto per blandire l'America e l'anatra più zoppa che la storia politica Usa abbia mai prodotto. Non più politica estera, uno dei pochissimi ambiti in cui il governo Prodi ha dato prova dell'esistenza in vita, ma ritorno al vassallaggio in un momento di quasi passaggio di consegne. In tre giorni l'Italia ha annunciato che rivedrà le regole d'ingaggio dei militari italiani in Afghanistan, ha inviato i carabinieri del Tuscania nel Paese ed in cambio ha chiesto di entrare a far parte del 5+1, mentre il ministro Frattini spiegava in un'intervista che Ahmadinejad non è un interlocutore. Risultato? Pacche e strette di mano e un no secco all'ingresso nel gruppo che tratta con Teheran sul nucleare iraniano. Il consigliere alla sicurezza Hardley, mentre spiegava in conferenza stampa che gli Usa non avrebbero fatto granché contro l'opposizione tedesca all'ingresso nel 5+1 - che tra le altre cose profila un consiglio di sicurezza Onu riformato come vuole Berlino e non come chiede da anni l'Italia - ha spiegato che l'Italia deve essere pronta a grossi sacrifici commerciali. Tradotto, significa che commerciamo troppo con l'Iran. Berlusconi, senza che gli facessero la domanda in conferenza stampa, ha detto che il nostro Paese “rispetta l'embargo Onu". Germania e Francia, che hanno frenato sulle sanzioni per mesi, sono anche loro grandi partner commerciali di Teheran. Commercio e politica estera si intrecciano in questa partita complicata e l'unica cosa certa è che l'Italia sta tornando a una politica estera debole e che manda soldati in giro per il mondo nella speranza di qualche caramella nelle conferenze internazionali. Speranza vana, a giudicare dall'esito della trattativa del 5+1 fino ad oggi.

Il giro d'America di McCain

Rick Davis, il campaign manager di McCain, ha annunciato due giorni fa la strategia del GOP verso le presidenziali sul sito del senatore dell’Arizona. Lo fa attraverso sorta di powerpoint per motivare le masse, con accompagno voce calda di spiegazione: vale la pena dargli un'occhiata (il sito di McCain ha la curiosa caratteristica di mostrarsi con una stella che ricorda quelle sovietiche).

L’analisi prevede una corsa in salita. L’ambiente politico è avverso, a causa dell’eredità negativa di Bush (definita la peggiore della storia). McCain non è riuscito ad approfittare dello scontro interno ai democratici e non ha il fascino di Obama. Rimane però un candidato forte, in grado di competere sui temi caldi di queste elezioni (economia e Iraq).
Ecco la linea guida della campagna di McCain, un vero tour de force per il paese. Conservare gli stati rossi, anche se contro Obama Colorado, Virginia e North Carolina non sono così sicuri. Poi tentare di sfondare in stati blu come California, Connecticut, Wisconsin e Michigan (dove anche Bush perdeva). Poi gli swing state tradizionali, soprattutto Ohio e Pennsylvania. Una strategia nuova per una geografia politica in evoluzione: vediamo se il powerpoint di Davis vi convince.. Per spirito bastian contrario (anche contro noi stessi) qui un articolo di Roll Call a firma Stuart Rothenberg che sostiene che le mappe elettorali non cambieranno affatto e che vincerà McCain.

12 giugno 2008

Yes we can, un'intervista video con Dolores Huerta

The Nation sta pubblicando una serie di interviste video con figure classiche dei movimenti sociali americani. Puzza appena di come eravamo bravi e belli quando eravamo giovani e portavamo i capelli lunghi, ma si tratta di belle testimonianze. In questo video, un'intervista, collage di immagini con Dolores Huerta, organizzatrice di braccianti messicani e inventrice dello slogan Si se puede/Yes we can e con Bonnie Raitt, musicista militante e femminista.

11 giugno 2008

Obama e l'Italia/2

Due nostre analisi sulle elezioni americane, Obama e il caso italiano. Nella prima il nostro punto di vista sulla cattiva interpretazione che gli italiani danno di Obama: la riflessione più utile è quella che riguarda le sue capacità di organizzazione, poco studiate e comprese (chi è impegnato nel costruire partiti liquidi guardasse altrove e lasciasse perdere Obama e il partito democratico di oggi, insomma);

nella seconda un nostra riflessione sulla presunta americanizzazione del sistema politico italiano: che lo si giudichi un fatto positivo o negativo, si tratta di uno slogan che nulla dice a proposito della specificità di queste parti. E' una scorciatoia grazie alla quale non si ottengono risposte utili a capire cosa accade qui da noi.

10 giugno 2008

Obama e l'Italia

Oggi l'Arci organizza un'iniziativa a Roma su Obama e il futuro dell'America. Intervengono due direttori (Antonio Padellaro dell'Unità e Piero Sansonetti di Liberazione) e Anthony Sistilli, che rappresenta i democratici americani in Italia. Un po' di aria fresca, si spera, prima dell'arrivo di Bush a Roma mercoledì sera. Ecco il link. L'importante, comunque, è che se ne possa cominciare a discutere seriamente: il clima elettorale lo aveva impedito. L'appuntamento è in via dei Monti di Pietralata, 16.

9 giugno 2008

Questioni di geografia: quale mappa elettorale?

Coalizioni, organizza- zione, contenuti e, soprattutto geografia. La demografia degli Stati cambia a gran velocità, il ruolo degli evangelici - determinanti per eleggere Bush - non è affatto scontato, il candidato afroamericano mobiliterà una porzione di popolazione che spesso non vota esattamente in massa e lo stesso farà con i giovani. E che ruolo giocherà la vicenda dei delegati di di Florida e Michigan? Penalizzerà Obama? E la paura del nero? Chi mobiliterà? E dove? La mappa elettorale degli Stati Uniti potrebbe essere destinata a cambiare molto più di quando non sia capitato negli ultimi decenni. Cominciamo con un assaggio: ecco uno schema rapido dei battleground states dal Washington Post, gli stati destinati a essere terreno di scontro tra Obama e McCain. Il pericolo, per i repubblicani è che sia Dean (per quanto riguarda il Congresso) che Obama, hanno intenzione di andare a giocare anche dove fino a quattro anni fa non avevano speranze.

Questioni di organizzazione

E' il video di Obama che parla il 6 giugno alla gente del suo staff. Sembra uno stile da documentario, ricorda il War Room di Pennebaker sulla campagna dei Clinton del '92 (quando all'avanguardia erano loro). Il video dice due cose: conferma che per fare campagna elettorale servono un'infinità di registri della comunicazione; ci ricorda che Obama (sapendo di essere un candidato "diverso", uno che un tempo non ce l'avrebbe mai potuta fare) punta tutto sull'organizzazione e la partecipazione. E' una delle sue migliori risorse, quella che si fonda sulla sua esperienza di "community organizer". Nel video chiede ai suoi di costruire "The best political organization in America".

Questioni di forma

Un assaggio di campagna elettorale (una segnalazione dal blog di Christoper Hayes su "The Nation"). Obama ha cominciato la sua carriera politica come "community organizer", una tradizione antica del fare politica e organizzare gli interessi dei gruppi sociali tipicamente americana. Nel sito repubblicano meetbarackobama.com l'RNC (Republican National Committee) chiama Obama "Street organizer", una roba che suona più come capo di una gang o di un gruppo di ragazzi del muretto di un ghetto qualsiasi. Comunque, sempre roba da negri.

8 giugno 2008

Movimenti su Facebook

Per voi popolo della rete. Segnalato da Ben Smith di Politico, su Facebook trasmigrazioni di supporter di Hillary verso Obama.

"We are a family". E becchiamoci anche l'happy end..

Così disse Hillary, parlando di Obama e del partito.

La sintesi dello speech di ieri sul Los Angeles Times.

Qui il testo del discorso completo della Clinton.

Qui i sospetti di Dick Morris, notissimo consulente politico in guerra con la famiglia Clinton (dopo essere stato al loro fianco per anni), che cerca di capire cosa ci sia sotto le parole di Hillary (primo: perché non si è ritirata dalle primarie ma ha semplicemente detto di aver sospeso la sua candidatura? Ovvero, perché i suoi delegati sono ancora suoi e non li ha "regalati" a Obama?). Morris fa quattro ipotesi concrete.

Prospect spiega le sette ragioni per le quali Hillary Clinton ha cambiato la politica americana in queste primarie (è proprio tempo di "volemose bene"..)

Politico elenca i cinque errori di Hillary. Hubrys, voto sulla guerra in Iraq, la sottovalutazione delle primarie dell'Iowa, la debolezza nei caucus, una "off-line" campaign troppo da xx secolo. Analisi interessante, ma come al solito manca l'approfondimento sulla complessità di una società e di un paese in trasformazione (a volte le cose succedono a prescindere dai candidati).

Certo quanto vorremmo sapere cosa si sono detti in quell'incontro segreto Obama e Clinton.

ps. Non abbiamo mai ringraziato quelli che ci segnalano. Chi scrive approfitta per ringraziare, intanto, il blog al tritolo.

7 giugno 2008

“Yes we can", Hillary sposa Obama

Un discorso sui pregiudizi e sul loro superamento. Hillary Clinton esce dalla campagna presidenziale impegnandosi a sostenere Obama. Alcuni dei suoi sono già al lavoro - ad esempio il manager dalla vittoriosa campagna in Ohio - per il senatore. Questo significa soldi, indirizzi, contatti e molto altro. Per adesso è un'uscita di scena che rafforza molto il candidato democratico e colpisce McCain. Se i Clinton portassero a casa un paio di Stati, per i repubblicani sarebbero dolori. Un estratto di tre minuti del discorso (che non è ancora tutto in rete)

Un ritratto di Jim Webb, sarà lui il VP?


Ex segretario alla marina di Reagan, ex eroe del Vietnam, senatore sanguigno che ha strappato il seggio in Virginia, Jim Webb è il candidato vice di Obama che i media e i pundits sostengono essere il favorito. Difetto principale il carattere e i contenuti hard di alcuni suoi romanzi. Sessista? E le donne deluse per la mancata candidatura Clinton si infuriassero? Ecco un ampio ritratto da The New Republic e la recensione-ritratto del suo ultimo libro della New York Review of Books. Il libro, guarda caso, esce adesso.

6 giugno 2008

Obama forte tra i latinos. I due rivali si incontrano

Non ha preso voti tra gli ispanici. O meglio, ha perso in diversi Stati contro Clinton, proprio a causa della mancanza di presa sul voto latino - California, New Mexico, Arizona e non solo sono Stati dove quel voto pesa in termini assoluti. Eppure, come rileva il Los Angeles Times, il candidato Obama (o i democratici in generale) è più forte di McCain in quel segmento di popolazione. Un duro colpo alle idee di Karl Rove, che con Jeb Bush in Florida, sposato a una messicana, aveva in testa di dare ai latinos un ruolo cruciale nella coalizione che avrebbe garantito una maggioranza stabile e duratura ai repubblicani. Purtroppo per Rove - e per fortuna nostra - la coalizione è andata in pezzi. A Washington, intanto, i due ex rivali si sono incontrati in gran segreto (un secondo resoconto). Non ci sono indiscrezioni, l'unica cosa certa è che, dopo aver ricevuto pressioni per lasciare la corsa (cosa che farà ufficialmente domani, sabato), Hillary non cerca più nemmeno la vicepresidenza.

5 giugno 2008

Fine del clintonismo, capolinea della Terza Via

Per ora, sulla fine del clintonismo, vi proponiamo questo articolo di Slate a firma Dickerson (in realtà molto benevolo verso i Clinton e la terza via). E' la fine di un'epoca effimera, quella di un'ideologia debole che negli anni '90 ha goduto del successo del dopo guerra fredda degli Usa senza pensare al futuro. Non ci lamenteremo mai abbastanza di quanti danni abbia provocato. Come giustamente sottolineato da Dickerson, a un certo punto Obama disse nella campagna delle primarie che era stato politicamente molto più rilevante Reagan di Clinton. E lo disse non per confondere le acque, ma perché si riferiva a un leader politico che aveva costruito una coalizione elettorale e un pensiero destinato a sopravvivergli (ed è la stessa ambizione del per nulla modesto Barack). Lo stesso non si può dire del clintonismo e di Bill Clinton, politico di razza ma senza fondamenta.

Il candidato diverso

Diverso per mille motivi, fin dai tempi delle Hawaii (ai quali risale questa foto). Sabato la Clinton annuncerà il suo appoggio a Obama (sul farlo venerdì ha cambiato idea: sono i 40 anni esatti dalla morte di Bob Kennedy, meglio non ricordarsi cosa ha detto in campagna elettorale su Kennedy e Obama..). Per ora la tenzone McCain - Obama parte dalla politica estera, da Israele e l'Iran. McCain, forse ispirato dall'ex-nemico Rove, punta a ripetere la campagna anti-Kerry del 2004. Sarà una campagna di grandi colpi bassi? Mentre Obama gioca a fare Bambi, il suo staff è pronto alla guerra sporca. Ma quello che va osservato e capito è il paese: se si riducesse la campagna al confronto tra l'usato sicuro McCain e il prodotto nuovo di zecca Obama sarebbe pura cecità. E' il paese che è già cambiato (altrimenti Obama non esisterebbe: mesi fa questo scenario era fantascienza), e Obama deve temere il richiamo ancestrale e antico della paura della razza e quello più recente dell'odio per i liberal, alimentato persino da Hillary Clinton per tenersi buona un pezzo di elettorato democratico. Ancora sulla paura dell'uomo nero, leggere questa interessante tavola rotonda di Salon sulla razza e le elezioni: ne parlano tre esperti di area democatica (Tom Schaller, Ruy Teixeira e Sean Wilentz).

4 giugno 2008

E allora vediamoci il video..

Visto che il momento è storico, il discorso di Obama a St. Paul (la città dove i repubblicani terranno la loro convention nazionale)

3 giugno 2008

Associated press: Obama ha la maggioranza

Il dispaccio di agenzia è delle 19.36 e se i calcoli di AP sono giusti, Obama ha la nomination. L'agenzia di stampa riferisce di una serie di endorsements annunciati e di una dozzina che aspettano di parlare ma concessi ai giornalisti in privato. Se è tutto vero, la notizia è molto, ma molto, ma molto storica. Si sapeva già da qualche mese, il partito democratico presenta il primo candidato afroamericano alla presidenza degli Stati Uniti d'America.

Stanotte a New York Hillary lascia...anzi no. Obama a -37

La Associated press ha diffuso un dispaccio in cui spiega che stanotte, nella riunione di staff e sostenitori pesanti convocata a New York, Hillary avrebbe preso atto dell'impossibilità di raggiungere Obama. Due ore dopo lo staff ha smentito. Forse per Clinton il timore è quello di perdere troppo nel voto di oggi e uscire di scena in malo modo. Presto sapremo la verità. Certo è che oggi Obama ha guadagnato altri tre superdelegati (due voto e mezzo, uno è del Michigan, conta metà) ed è a meno 37 dal traguardo. Dopo il conteggio in South Dakota e Montana, dove guedagnerà come minimo 12-15 delegati, sarà praticamente fatta.

Intervista a Michael Katz (più le ultime)

Su Marco Polo un'intervista a Michael Katz, un grande studioso del welfare state americano, della società americana e delle sue diseguaglianze (qui il suo profilo accademico). Che farà la white working class? Quanto è nero questo Obama e quanto fa paura? E via discorrendo, un contributo di rilievo (e Katz ammette quello che tutti abbiamo in testa: un po' di apprensione per l'incolumità fisica di Obama..)

In più l'articolo sulle ultime - sempre lucido: questo è uno serio - di Michael Tomasky sul Guardian. Obama era partito con l'idea di unire l'America divisa dall'ideologismo conservatore, ora il piano b prevede la battaglia per tenere unito il partito democratico (e comunque anche Tomasky della ottusità della Clinton non ne può più: l'inizio dell'articolo è molto divertente).

Su electoral-vote.com Obama vince le presidenziali. E' la prima volta

Il sito lo conosceranno già in molti: electoral-vote.com è uno dei blog più seguiti in fatto di statistiche elettorali. Attraverso un algoritmo il curatore del sito (di grandissimo successo nel 2004 e nel 2006) tiene in considerazione i risultati di tutti i sondaggi condotti stato per stato, in modo da osservare il numero di grandi elettori che verrebbero assegnati ai candidati a novembre. L'aggiornamento è quotidiano.

A giugno, per la prima volta, Obama supera la fatidica soglia del 270 grandi elettori, quella che ti fa diventare presidente. E' vero che i sondaggi per le presidenziali vanno guardati dopo le convention (sono senz'altro più attendibili) ma intanto abbiamo un dato nuovo. Per la cronaca: la Clinton, secondo electoral-vote.com, distruggerebbe McCain. La stessa cosa che diceva Karl Rove.

2 giugno 2008

Vittoria per Hillary a Portorico, domani (a dio piacendo) finiscono le primarie

Siamo alla fine ma non ci si può giurare. La senatrice di New York domenica si è aggiudicata le primarie di Portorico, mentre oggi si vota in Montana e South Dakota - dove Obama è in vantaggio nei sondaggi. Già domani (o dopo) ci si aspetta che una pioggia di superdelegati si schieri con il senatore. Hillary però continua a minacciare di ricorrere contro la decisione del partito sulla distribuzione dei delegati del Michigan e promette che “non è finita fino a quando non è finita". E' possibile e probabile che lo sia entro un paio di giorni. I leader democratici al Senato e alla Camera, Reid e Pelosi, nonché Howard Dean, stanno premendo da giorni perché dopo il voto di domani i superedelegati dicano la loro. Manca poco, staremo a vedere.
Ora resta da vedere se la battaglia di mesi ha sfiancato Obama, se lo ha reso più solido come candidato, se il senatore ha ancora lo smalto mostrato fino alle primarie del Potomac. La seconda cosa da vedere è se Hillary porterà lo scontro alla convention e quanto l'atteggiamento della famiglia che ha dominato il partito negli ultimi anni non abbia fatto male alle prospettive di successo del partito stesso. Per questo dovremo aspettare qualche mese in più.

1 giugno 2008

Florida e Michigan, raggiunto il compromesso. I Clinton hanno perso e (forse) promettono sfaceli


Le delegazioni degli Stati ribelli verranno ammesse alla convention di Denver, divise sulla base del risultato del voto per la Florida e 69 a 59 per il Michigan (i voti uncommitted assegnati a Obama ed Edwards sulla base degli exit polls). Ciascun delegato conterà per mezzo voto. La commissione del partito democratico riunita ieri a Washington ha discusso e litigato per ore, con il publico diviso in fazioni che urlava e faceva il tifo e la tensione alle stelle. Clinton non ha ottenuto quel che voleva e, di fatto, ha perso la nomination. Per la senatrice ci sono circa 29 delegati in più rispetto a ieri, ma ne mancano 170 per raggiungere Obama. Per il senatore dell'Illinois una vittoria importante, che dimostra la sua presa sull'apparato democratico, la sua leadership anche nei corridoi. La presa dei Clinton sul partito democratico sembra essere svanita, nonostante il rappresentante di Hillary nella riunione di ieri ha annunciato che la senatrice potrebbe portare la faccenda davanti alla commissione di garanzia della convention. Sarebbe una mossa da Sansone, ma non si può escludere. L'atteggiamento dei fan di Hillary preoccupa per il futuro della campagna, a Obama (che nel frattempo ha mollato la Trinity Church) serviranno uomini e donne bianchi e dal pedigree patriottico per tenere certi Stati nella coalizione democratica. Le cronache del NYT, del Washington Post, di Time, il commento di John Nichols di The Nation.