13 giugno 2008

Bush, Frattini e la Crimea

La visita d'addio del presidente Usa a Roma si è conclusa con grandi pacche sulle spalle, dichiarazioni d'amore e sorrisoni. Il presidente del Consiglio e il ministro degli Esteri Frattini hanno fatto di tutto per blandire l'America e l'anatra più zoppa che la storia politica Usa abbia mai prodotto. Non più politica estera, uno dei pochissimi ambiti in cui il governo Prodi ha dato prova dell'esistenza in vita, ma ritorno al vassallaggio in un momento di quasi passaggio di consegne. In tre giorni l'Italia ha annunciato che rivedrà le regole d'ingaggio dei militari italiani in Afghanistan, ha inviato i carabinieri del Tuscania nel Paese ed in cambio ha chiesto di entrare a far parte del 5+1, mentre il ministro Frattini spiegava in un'intervista che Ahmadinejad non è un interlocutore. Risultato? Pacche e strette di mano e un no secco all'ingresso nel gruppo che tratta con Teheran sul nucleare iraniano. Il consigliere alla sicurezza Hardley, mentre spiegava in conferenza stampa che gli Usa non avrebbero fatto granché contro l'opposizione tedesca all'ingresso nel 5+1 - che tra le altre cose profila un consiglio di sicurezza Onu riformato come vuole Berlino e non come chiede da anni l'Italia - ha spiegato che l'Italia deve essere pronta a grossi sacrifici commerciali. Tradotto, significa che commerciamo troppo con l'Iran. Berlusconi, senza che gli facessero la domanda in conferenza stampa, ha detto che il nostro Paese “rispetta l'embargo Onu". Germania e Francia, che hanno frenato sulle sanzioni per mesi, sono anche loro grandi partner commerciali di Teheran. Commercio e politica estera si intrecciano in questa partita complicata e l'unica cosa certa è che l'Italia sta tornando a una politica estera debole e che manda soldati in giro per il mondo nella speranza di qualche caramella nelle conferenze internazionali. Speranza vana, a giudicare dall'esito della trattativa del 5+1 fino ad oggi.

Nessun commento: