31 marzo 2009

Tutti a Londra, con lo spettro del fallimento sulla testa

Le venti delegazioni dei grandi del mondo sono in rotta verso Londra. BO e Michelle sono partiti da un paio d'ore. E' la prima volta del presidente Usa all'estero (escluso un passaggio in Canada). Sarà una vetrina-test importante per verificare a che punto è la leadership americana nel mondo. L'uomo sotto esame, chissà perché poi, ma anche la presenza glamour sarà quella del presidente Usa.
Il G20 è convocato per riscrivere le regole della finanza, rilanciare l'economia, aiutare i Paesi in grande difficoltà. Ci sono rischi di default di Paesi medio grandi e occidentali cresciuti grazie a delocalizzazioni ed export di cui non si sente troppo parlare. Se ne uscirà con qualche accordo sulle regole, nessuno sullo stimolo economico e un nuovo appuntamento (scommettiamo?). L'altra nota importante è che questa crisi, e l'appuntamento londinese come catalizzatore del processo, chiarirano una volta per tutte che nel mondo le potenze politico-economiche sono molte. In queste settimane il Brasile ha giocato alla brasiliana. E la Cina non è stata a guardare. Dal punto di vista geopolitico prenderà forma, forse, il G2,

con Cina e Usa legati tra loro dagli scambi economici e dai buoni del Tesoro (di cui Pechino è ghiotta) che non hanno esitato a pompare soldi nell'economia, mentre molti altri, Europa in testa, hanno evitato.
La miglior guida per il G20 è quella proposta dalla Bbc, qui delle divertenti e serie domande e risposte dal Guardian. Qui il comunicato finale in bozza ottenuto dal Financial Times: ci sono delle novità sulle regole, poco sullo stimolo, qualcosa sugli impegni verso i poveri. Chi cerca aggiornamenti rapidi e precisi utilizzi Bbcnews. Per una diretta (se ci saranno novità clamorose), per le proteste, il clima, tornate a trovarci. Tra tre ore si parte.

27 marzo 2009

Cala l'immigrazione negli States

La crisi toglie un altro argomento alla destra repubblicana, quella più xenofoba e senza idee. Il bollettio del Labor statistics ci racconta che dal 2006 la popolazione immigrata è stabile - dopo una crescita ininterrotta di anni. La disoccupazione tra i foregin born, i nati all'estero, è pure in aumento. Non è il muro con il Messico, che non c'era e che, semmai, impedisce l'ingresso degli undocumented workers, gli irregolari. E' la crisi. Stime indicano che anche il flusso migratorio irregolare è in declino. Anche la domanda informale di lavoro è quindi in calo. Insomma: l'immigrazione la fa il mercato del lavoro, non c'è nessuna invasione in atto. Non negli Stati Uniti e non in Europa. Quando la domanda non tira, cala anche il flusso migratorio. Non è che si interrompa del tutto, la mano invisibile dle mercato non esiste, ma una reazione alla domanda c'è.

25 marzo 2009

Il nuovo tono di Obama e lo scontro in Congresso

Il New York Times di stamane racconta la conferenza stampa di ieri (qui video e trascrizione). La conferenza di Obama, si spiega, torna a un tono lasciato andare da qualche tempo, quello del professore che spiega la situazione, prendendo sul serio i cittadini. Un elenco di cose e un messaggio di speranza e, soprattutto, una lezione sulla necessità di uscire dal ciclo economico delle bolle che si gonfiano ed esplodono. Il possibile scontro ideologico e con le lobby è proprio questo. E su questo Obama potrebbe avere difficoltà in Congresso con i repubblicani (che promettono battaglia) e con alcuni dei suoi. Questa settimana comincia il dibattito parlamentare sul budget e Obama insiste che il budget che promette spese gigantesche è inseparabile dalla ripresa.

23 marzo 2009

Il piano Geithner piace a Wall Street e non ai liberal

Ecco il piano Geithner in pillole. Difficile da capire, a dire la verità. Bisognerà leggerlo. Ecco l'articolo delllo stesso Segretario al Tesoro sul Wall Street Journal. Le borse stanno correndo verso l'alto, segno che il piano piace alla finanza. Ecco il commento-analisi di Robert Peston della Bbc e il domande e risposte dal sito del gigante britannico pubblico della notizia. Paul Krugman continua a sparare sul piano, sostenendo che non funzionerà e che somiglia troppo al business as usual di Wall Street. Secondo il premio Nobel, il piano non funzionerà e servirebbe una soluzione svedese alla crisi del credito. Per finire un fantastico grafico dal Financial Times (è a pagamento, ma se cercate il titolo dell'articolo via google...): nel 1999 tra le prime dieci banche del mondo ce n'erano sette statunitensi, due britanniche, una giapponese e una svizzera. Oggi le americane sono tre, resta una giapponese, una sola britannica, una canadese, una spagnola. Le prime tre? Sono cinesi.

Indiscrezioni dal Guardian: il nuovo piano di Obama per l'Afghanistan

Bye bye President Karzai, dice oggi il Guardian. Il 31 marzo si terrà all'Aja una conferenza Nato-Onu sul tema dell'Afghanistan: Obama presenterà la sua proposta di intervento nell'area - sostanzialmente già accettata e discussa dagli europei questo week-end, con l'inviato del presidente Usa per Afghanistan e Pakistan Richard Holbrooke in gita a Bruxelles.

L'obiettivo è indebolire il presidente Karzai - che presumibilmente vincerà le elezioni generali di agosto - affiancandogli un primo ministro e distribuendo fondi direttamente ai 34 governatori provinciali del paese e ai 396 responsabili di distretto, a fronte di un rinnovato impegno euro-americano per la ricostruzione delle infrastrutture del paese. Karzai sta già dichiarando battaglia sui giornali del proprio paese, ci sarà da divertirsi.

E' importante tenere a mente che a questo summit parteciperè anche Teheran, che incontrerà gli americani per la prima volta in forma ufficiale dopo il famoso video agli iraniani inviato da Obama. Allo stesso tempo gli americani premeranno perché cambi l'attitudine del Pakistan - o meglio, di una parte dei poteri del paese - verso i talebani. Ovviamente l'altro punto all'ordine del giorno è "l'afganizzazione" del conflitto, da ricercare attraverso l'aumento vertiginoso delle truppe dell'esercito afgano, che dovrebbero passare da 65 mila a 230 mila. Le parole più sinistre, che ricordano i tempi della ricerca della "vietnamizzazione" del conflitto.

21 marzo 2009

Krugman contro Geithner: i nodi arrivano al pettine

Le idee degli zombie, coloro che pensano che non ci sia nulla di sbagliato nel nostro sistema finanziario, hanno vinto. Così il premio Nobel per l'economia ed editorialista del NYT sul suo blog. Dopo aver visto i dettagli del piano di riforma della finanza e del credito che verrà presentato la prossima settimana, Krugman protesta con forza. La speranza dell'economista liberal è che ci sia ancora qualcosa da fare. Nel suo blog, Robert Reich, professore a Berkeley ed ex Segretario al lavoro nei primi due anni di Clinton, spiega che il bailout non sta funzionando come dovrebbe (ovvero, le banche non hanno ripreso a prestare i soldi, che è il vero motivo per cui noi tutti e non solo azionisti e manager si devono preoccupare quando un sistema finanziario e creditizio collassa). Qui il blog di Reich, per leggere bisogna far scorrere i post, è un blog piuttosto primitivo. E per finire, ecco un commento-analisi sull'operato di Geithner sul Financial Times. Lui e Bernanke, più di altri, sono i registi di questa crisi. Non è chiaro se agiscano d'accordo, se e quale scontro sia in atto (non a noi, almeno, sepolti dal lavoro e senza abbastanza tempo per leggere). Di certo, Geithner è sotto attacco da parte dell'ala liberal vicina all'amministrazione.

20 marzo 2009

AIG, la crisi di credibilità della finanza (e i pomodori di Moveon)

Come forse saprete, il Congresso ha approvato alla velocità della luce una legge che tassa del 90 per cento i bonus delle imprese che ricevono soldi pubblici per essere salvate. Una mossa che più populista non si potrebbe, ma tutto sommato giusta. L'amministrazione Obama continua ad avere il problema di pompare soldi per salvare il settore del credito e non può permettere che i manager gli tirino certi scherzi. Il Segretario al Tesoro Geithner è sotto pressione, l'amico di Wall street è lui e contro di lui si scaglieranno i repubblicani (e forse anche la sinistra). Ieri anche il capo della Fed Bernanke ha chiesto alle banche e alle compagnie finanziarie di ripensare il modo in cui premiano i propri dirigenti. Non è un segreto che tra le cause del comportamento irresponsabile delle finanziarie, delle banche di investimenti eccetera, ci sia proprio il premiare i profitti e i dividendi a breve termine. Più mi fai guadagnare quest'anno, più guadagnerai. A prescindere dal valore reale degli investimenti. Se poi hai comprato solo mondezza, è un problema futuro. Ecco, Bernanke ha provato a dire: pagateli bene per costruire aziende solide. E MoveOn, che sta cercando di far crescere lo sdegno contro AIG - più sdegno = più regole approvate dal Congresso - mette online un giochino stupido e didattico: tira anche tu i pomodori sulla sede AIG e impara alcune informazioni base su come si sono comportati i suoi manager.

Oltre l'Iran

Un giro d'orizzonte della regione dopo il discorso di Obama all'Iran. Se vi siete già abituati troppo allo stile del nuovo presidente fermatevi un attimo e pensate: Bush non ha fatto un discorso così, probabilmente, neanche per una nazione alleata. La regione è in fermento e gli USA cercano di segnare un punto a loro favore iniziando un'offensiva diplomatica e mediatica che se non gioverà con Teheran sicuramente li renderà un po' più popolari tra l'opinione pubblica araba. In Iraq, ce lo segnala il Washington Post, si stanno formando nuove alleanze tra gli sciiti al potere e i sunniti contrari all'occupazione americana: un problema solo apparente per gli USA perchè la parola d'ordine sembra essere il rafforzamento dello Stato centrale. Se va in porto, il ritiro americano diventa un po' più facile, forse. La Siria manda segnali positivi, a partire dall'intervista del presidente Asad ieri a Republica che viene analizzata da Stratfor: la strategia è quella non solo di uscire dall'isolamento ma di diventare lo "swing state" della regione. Gli israeliani sono indeboliti dal loro nuovo governo: troppo a destra per la nuova realtà regionale e con un ministro degli esteri (Lieberman) piuttosto impresentabile. Netanyahu programma di andare a Washington il 3 maggio, sempre che riesca a formare un governo. Ma non ha ancora ricevuto un invito ufficiale dalla Casa Bianca. Parlerà all'AIPAC ma sono lontani i tempi in cui bastava fare la voce grossa lì per influenzare la politica di Washington. Non sarà tutto facile per l'amministrazione Obama, anche perchè avvicinarsi a Teheran può voler dire allontanarsi dall'Arabia Saudita. Non ha caso la Rand fa uscire un rapporto sulla lotta iraniano-saudita per l'egemonia regionale proprio ora.

Addio Khomeini, Obama parla all'Iran

Un messaggio alla politica e al popolo iraniani, grande tempismo (a giugno si vota e il fronte riformista è più compatto che in passato), grande studio del messaggio - sottotitoli in farsi, così che tutti possano capire il messaggio - e la fine del gelo cominciato con l'occupazione dell'ambasciata Usa che costò il posto a Jimmy Carter nel 1980. Anche in politica estera, i passi sono clamorosi e importanti. Ecco il videomessaggio da Bbcnews. A tra poco con le reazioni e il caso AIG.

15 marzo 2009

Mercoledì saremo a Genova

"Come cambia l'America" sbarca a Genova. Mercoledì 18 alle 16 all'Aula Magna della Facoltà di Scienze della F ormazione in corso Podestà 2. Alessandro Dal Lago e Salvatore Palidda, Professori di Sociologia presso l'Università di Genova, sono così gentili da discuterne con noi.

14 marzo 2009

Rush diventa ricco, i democratici e la deriva repubblicana

Beh, a dire il vero il signor Limbaugh era già benestante. Ma le sue entrate, da quando Obama è alla Casa Bianca, sono cresciute di parecchio. Il re del talk show radiofonico e ultraconservatore viene più seguito che mai. Il picco è anche il frutto della strategia democratica che punta a sostenere che Limbaugh è il nuovo vero capo del Grand Old Party. Una furbata messa a punto da James Carville, lo stratega di Bill Clinton diventato famoso per aver coniato la formula It's the economy stupid, spiegando ai suoi che il futuro presidente avrebbe potuto vincere grazie all'insistenza su quei temi anziché sulla politica estera. Carville è nasty, è uno di quelli che ha sostenuto Hillary e l'ha spinta verso i colpi bassi che non hanno funzionato contro Obama. Ma per fare a pugni con i repubblicani incattiviti è la persona adatta. L'idea di Carville è piaciuta a Rahm Emmanuel - anche lui non una mammoletta, lo chiamano Rahmbo - e, si dice, sia stata autorizzata anche da Axelrod. Il tutto sembra funzionare. Tanto più che i repubblicani, dopo aver eletto Steele come loro leader sono pentiti. Limbaugh galvanizza i suoi, ma è difficile pensare che farà crescere la base repubblicana.

13 marzo 2009

Notiziario del mattino: i repubblicani si suicidano e altre storielle

1. Il governatore del Texas Rick Perry ha deciso che il suo Stato rifiuta i soldi del pacchetto di stimolo. Non ha intenzione di aumentare i sussidi ai disoccupati, lui. Due le possibilità: è un deficiente, nel suo Stato non ci sono disoccupati bianchi che votano per lui. Con l'arrivo della crisi, probabilmente se ne pentirà.
2. Il dibattito sui media sull'agenda liberale di Obama si infiamma. C'è chi spinge per questa, gongolando sorpreso da un presidente che si aspettava centrista e chi lancia i suoi strali quotidiani. Ecco qualche esempio: Michael Gerson si chiede, che fine abbia fatto il centrismo del presidente, questo spinge un'agenda di sinistra in tempi estremi così che nessuno se ne possa accorgere. Walter Shapiro su New Republic ritiene invece che sia giunta l'ora del Big governement.
3. Da the Atlantic un articolo sul mutamento di attitudine nei confronti del governo da parte degli americani. Non socialismo, ma cambio di attitudine. E' scritto dal direttore e da un vice del Pew research centre, è un'opinione, ma si regge sul lavoro di questo supercentro (molto serio) di sondaggi e ricerche.
4. Stesso argomento: il Centre for american progress sostiene che c'è un America progressista che nasce e cresce. Qui il link all'articolo di Ruy Texeira, sulla pagina i link al rapporto che spiega perché (le attitudini degli americani su molte questioni sono cambiate: lo dice anche il Pew e lo ricorda il libro dei curatori di questo blog, che oggi presentano il libro a benevento e ieri erano a Napoli).
5. Per finire una bella notizia da The Guardian: un ordine firmato da Obama rende quasi impossibile produrre cluster bombs.

9 marzo 2009

Finisci una guerra, iniziane un'altra

Noi ve ne parlammo già a settembre del 2008, ma sulla stampa italiana è uscito poco: zitti, zitti gli USA avevano cominciato ad allargare il conflitto dall'Afghanistan al Pakistan. Sul sito del Center for American Progress, uno dei think tank progressisti più influenti a Washington oggi, c'è una bella mappa che fa vedere dove e quando hanno colpito i droni senza piloti americani. Spuntano due notizie non da poco: i raid sono cominciati con Bush ma continuano con Obama; a fronte di 12 (dodici) leader di al Qa'ida uccisi ci sarebbero tra le 400 e le 500 vittime civili, non proprio un'operazione di pubbliche relazioni riuscita. Hamilton e Baker (quelli che con la loro commissione fecero cambiare il vento in senso realista durante l'amministrazione Bush) hanno detto chiaramente che va bene ritirarsi dall'Iraq ma bisogna anche "limitare gli obiettivi nazionali" in Afghanistan: si può evitare che diventi un rifugio per i leader terroristi ma non si può pensare di democratizzare il paese. A proposito di democrazia, Roger Cohen plaude all'iniziativa britannica che ha "sdoganato" Hizbullah perchè "è un fenomeno politico e fa parte del tessuto del paese". Si chiede Cohen: allora perchè non sdoganare anche Hamas che ha vinto le elezioni? L'articolo va letto anche solo per capire quanto in là si è spinta la riflessione a Washington: certi giudizi su Israele e certe proposte sul Medio Oriente 2-3 anni fa semplicemente non si potevano scrivere. E in Italia ancora non si possono dire. Non del tutto però: leggetevi cosa si sono detti all'università della Nato a Roma gli espertoni di Medio Oriente di tutto il mondo: approccio integrato alla regione; aiuto dei turchi e degli alleati nella regione per bilanciare la potenza israeliana; costringere Netanyahu a fare la pace così come Baker fece con Shamir. Chissà cosa ne direbbe Fassino.

Il capitalismo anni '80 è finito, lo dice il Financial Times

Il FT, da oggi, inaugura una nuova serie Il futuro del capitalismo. In prima, il sommario, dice che il sistema creato da Reagan, Thatcher, Greenspan e Deng (nella foto c'è anche lui) è superato come il socialismo. Il titolo della pagina firmata Martin Wolf è I semi della propria distruzione: le assunzioni prevalenti negli anni 80 sono a brandelli, le opportunità del governo crescono, l'era della finanza senza guinzaglio è finita. Ecco il link alla pagina della serie (il secondo articolo parla della creatività distruttrice e si riferisce alla finanza). Ecco un commento sul G20 di aprile, che chiede un piano globale anti crisi. Qualcuno spieghi qualcosa alla sinistra italiana.

Quanto è brutta la crisi? Chiedetelo a quelli di Cleveland (e non a SB)

Ecco un lungo e bellissimo reportage dal magazine del New York Times. E' lungo, non ha una sua tesi. Cleveland è una delle città più messe male da tempo (the mistake on the lake, è il soprannome maligno) e adesso è la più colpita dai subprime. Voi però, se potete, fate il pieno di benzina, andate a cena fuori e comprate delle riviste porno (è un settore italico in crescita).

7 marzo 2009

I conservatori e Obama (e la stampa italiana)

Ricordate Christopher Buckley? Figlio di William, conservatore fondatore della National review, a sua volta autore e polemista conservatore. Era balzato in vetta alle cronache per le dimissioni dalla rivista dopo la autodenuncia: voterò Obama, aveva scritto. Nei giorni scorsi un quotidiano italiano ci aveva spiegato che era pentito perché Obama è troppo di sinistra. I conservatori pentiti, era il titolo. Poi, oggi, troviamo su Fortune un articolo a firma Christopher Buckley che spiega: lo rivoterei. Il tema è: che opposizione farà il Grand Old Party? Che vogliono e dove vanno i repubblicani? Ecco un commento del NYT su quello che, ci si chiede, sta diventando il partito dei Rush Limbaugh. Jay Cost, su Weekly Standard, sostiene che il GOP, possa tornare a vincere. E' probabile che, al momento, l'unica speranza che il partito di Bush ha di tornare a vincere è un fracasso totale delle politiche del presidente democratico. Sul futuro del Grand Old Party, domani, domenica, dalle 11.30 alle 12 va in onda la puntata di Diario Americano, la trasmissione di Roberto Festa su Radio popolare. La si può ascoltare online o scaricare il podcast.

5 marzo 2009

L'uomo di Obama per l'Iran

Non se ne è accorto quasi nessuno, perchè l'annuncio è avvenuto la scorsa settimana quasi in sordina ma Obama ha nominato il suo inviato speciale per l'Iran e l'Asia del Sud-Ovest. Si tratta di Dennis Ross, già uomo-chiave di Clinton (Bill) in Medio Oriente. Noi ce ne siamo occupati a profusione, leggere per credere. Vale la pena ricordare ora solo il fatto che Ross non è esattamente una colomba sulla questione: fa parte di United Against a Nuclear Iran che è un gruppo di pressione che punta tutto sulla lotta al nucleare iraniano e che è guidato anche da James Woolsey, ex della CIA e gran consigliere di John McCain. Se l'idea è quella di negoziare a tutto campo con l'Iran anche su Afghanistan e Iran Ross non è l'uomo giusto. Tra l'altro la sua posizione è che se gli europei seguono gli Usa bene, sennò si fa come durante gli anni di Clinton (sempre Bill). Ecco l'articolo di The New Republic su questa nomina: pare che Ross non si occuperà di girare la regione quanto piuttosto di fare il "policy-planner", cioè quello che rimane a Washington e aiuta a comprendere la regione. E quello lo sa fare piuttosto bene.

Risollevare la classe media attraverso i sindacati?

Sembra impossibile da credere, ma in America i sindacati sono messi peggio che in Italia: meno del 10% dei lavoratori del settore privato è iscritto. Alle cause del declino che abbiamo anche da noi (fine della centralità operaia e del fordismo, invecchiamento della popolazione, aumento stabile della quota di lavoratori disoccupati, immigrazione, precarità) se n'è aggiunta una molto pesante: l'attacco al diritto di organizzazione sindacale e di sciopero portato avanti durante il trentennio della rivoluzione conservatrice. Robert Borosage, uno dei capi del think-tank progressista Campaign for America's Future, spiega in questo articolo come per Obama il rafforzamento del sindacato sia parte del progetto di ricostruzione del tenore di vita della classe media. Solo attraverso le trade unions i lavoratori potranno tornare ad avere diritti e salari crescenti, invece che vederli diminuire come è successo durante gli anni della ripresa di cartapesta dell'amministrazione Bush. Una riflessione che bisognerebbe fare anche in Italia, dove il sindacato è sotto attacco a volte con gli stessi strumenti utilizzati nell'America di Reagan. A proposito di Reagan, The American Prospect sostiene (e non da sola in realtà) che Obama possa avere lo stesso ruolo simbolico che ebbe il presidente repubblicano perchè produce identità in chi lo sostiene. Anche qui, le riflessioni sull'Italia si sprecano..

3 marzo 2009

Come cambia l'America a Torino


Il nostro libro approda sotto la mole, già allertata la protezione civile. Presenteremo "come cambia l'America" venerdì mattina (il 7 marzo) alle 10.30 al Dipartimento di Studi Politici in via Giolitti, 33. Ci saranno Marco Mariano dell'Università del Piemonte Orientale e Giovanni Borgognone dell'Università di Torino. La tournè prosegue la prossima settimana: il 12 saremo a Napoli e il 13 a Benevento.


2 marzo 2009

Vogliamo una società più giusta?

E' questa la domanda da farsi in questa crisi, secondo l'editorialista del Washington Post E.J. Dionne. Il piano di Obama, argomenta lui, non crea il socialismo: semplicemente redistribuisce il reddito e le spese come strada per uscire dalla crisi. I costi della sanità americana sarebbero comunque arrivati al 20% del PIL tra pochi anni, il problema quindi non è se aumentare la spesa sanitaria ma a chi farla pagare. L'aumento vertiginoso della spesa pubblica porterà la quota di PIL gestita dal bilancio federale al 23% tra il 2010 ed il 2014, poco meno del 2% in più rispetto allo scorso anno. Con questo, in fondo piccolo, spostamento l'amministrazione potrebbe redistribuire seriamente il reddito e impostare su nuove basi lo sviluppo del paese. Il Los Angeles Times affronta un'alta sfaccettatura della crisi: la reazione dei cosiddetti "millenials" e cioè i nati tra il 1978 e i primi anni novanta. Sono stati loro il motore di Obama e saranno loro tra i più colpiti dalla crisi. Per ora rimangono intramontabilmente ottimisti. E d'altronde, se questi sono i termini del dibattito negli USA, forse è anche lecito.

1 marzo 2009

La sepoltura di Reagan

Con la prima finanziaria di Barack Obama la Reaganomics viene seppellita sotto una montagna di dollari. Va in soffitta l'idea che la "classe media" (una cosa molto ampia in America) potesse stare bene solo con la detassazione dei ricchi e degli straricchi. Con una metafora abusata si diceva che la tavola di chi stava in alto doveva essere sempre imbandita, così che ci fossero più briciole per chi stava sotto. Sul significato storico di questo piano non ci sono molti dubbi: lo dicono repubblicani e democratici a Washington (con visioni diverse ovviamente) e lo dice forse con qualche rimpianto il giornale conservatore inglese Times. Sempre sullo stesso giornale il leader laburista Brown rinverdisce la special relationship anglo-americana su nuove basi: ora non si tratta più di fare l'Ulivo mondiale come ai tempi di Clinton ma di fare un "new deal globale". I maggiori punti all'ordine del giorno sono la stabilizzazione e la regolamentazione finanziaria mondiale ma anche la rivoluzione verde. Se funziona anche solo un po', potrebbe avere lo stesso ruolo che ebbe la "Carta Atlantica" di Roosevelt e Churchill. D'altronde il piano di salvataggio finanziario di questo autunno fatto da Brown aveva fatto da apripista per molte delle cose di cui si discute oggi in America. Che il vento sia cambiato lo dimostra il quadro dei gruppi di potere, ben disegnato dal New York Times di ieri: i democratici oggi hanno i think-tank, le organizzazioni di base e di massa nonchè gli appoggi di importanti aziende che una volta avevano i repubblicani. Ecco perchè la riforma della sanità questa volta potrebbe andare in porto. A rimpiazzare Daschle al "ministero della Sanità" pare arriverà Kathleen Sebelius, governatrice del Kansas. Nel frattempo tenete d'occhio la pagina della campagna sulla sanità del sindacato Seiu.