Siamo alla fine ma non ci si può giurare. La senatrice di New York domenica si è aggiudicata le primarie di Portorico, mentre oggi si vota in Montana e South Dakota - dove Obama è in vantaggio nei sondaggi. Già domani (o dopo) ci si aspetta che una pioggia di superdelegati si schieri con il senatore. Hillary però continua a minacciare di ricorrere contro la decisione del partito sulla distribuzione dei delegati del Michigan e promette che “non è finita fino a quando non è finita". E' possibile e probabile che lo sia entro un paio di giorni. I leader democratici al Senato e alla Camera, Reid e Pelosi, nonché Howard Dean, stanno premendo da giorni perché dopo il voto di domani i superedelegati dicano la loro. Manca poco, staremo a vedere.
Ora resta da vedere se la battaglia di mesi ha sfiancato Obama, se lo ha reso più solido come candidato, se il senatore ha ancora lo smalto mostrato fino alle primarie del Potomac. La seconda cosa da vedere è se Hillary porterà lo scontro alla convention e quanto l'atteggiamento della famiglia che ha dominato il partito negli ultimi anni non abbia fatto male alle prospettive di successo del partito stesso. Per questo dovremo aspettare qualche mese in più.
2 giugno 2008
Vittoria per Hillary a Portorico, domani (a dio piacendo) finiscono le primarie
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1 giugno 2008
Florida e Michigan, raggiunto il compromesso. I Clinton hanno perso e (forse) promettono sfaceli
Le delegazioni degli Stati ribelli verranno ammesse alla convention di Denver, divise sulla base del risultato del voto per la Florida e 69 a 59 per il Michigan (i voti uncommitted assegnati a Obama ed Edwards sulla base degli exit polls). Ciascun delegato conterà per mezzo voto. La commissione del partito democratico riunita ieri a Washington ha discusso e litigato per ore, con il publico diviso in fazioni che urlava e faceva il tifo e la tensione alle stelle. Clinton non ha ottenuto quel che voleva e, di fatto, ha perso la nomination. Per la senatrice ci sono circa 29 delegati in più rispetto a ieri, ma ne mancano 170 per raggiungere Obama. Per il senatore dell'Illinois una vittoria importante, che dimostra la sua presa sull'apparato democratico, la sua leadership anche nei corridoi. La presa dei Clinton sul partito democratico sembra essere svanita, nonostante il rappresentante di Hillary nella riunione di ieri ha annunciato che la senatrice potrebbe portare la faccenda davanti alla commissione di garanzia della convention. Sarebbe una mossa da Sansone, ma non si può escludere. L'atteggiamento dei fan di Hillary preoccupa per il futuro della campagna, a Obama (che nel frattempo ha mollato la Trinity Church) serviranno uomini e donne bianchi e dal pedigree patriottico per tenere certi Stati nella coalizione democratica. Le cronache del NYT, del Washington Post, di Time, il commento di John Nichols di The Nation.
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24 maggio 2008
A che punto è la corsa democratica?
Ieri, per sostenere la necessità di rimanere in gara, Hillary Clinton ha spiegato che il marito ha vinto le primarie a giugno e che un altro candidato, Bob Kennedy, è stato ammazzato proprio a giugno, mentre era ancora a caccia della nomination. L'esempio non è piaciuto, se c'è un candidato che corre qualche rischio serio, questi non è la senatrice. ed ha scatenato reazioni di ogni sorta. La campagna di Hillary si è scusata. Ma tolte le schermaglie e il balletto sul comitato democratico destinato a decidere cosa fare con le delegazioni di Florida e Michigan, è bene guardare i numeri. Il direttore di Guardian America Michael Tomasky fa i conti di delegati, superdelegati e prossime primarie e senza trarre conclusioni, ci lascia intendere, come sappiamo da mesi, che Clinton ha poche frecce al suo arco (nel pezzo di Tomasky una serie di link a scenari prodotti da diversi bloggers). In estrema sintesi, se la senatrice vincesse di molto a Portorico e Obama di poco in South Dakota e Montana, a Clinton servirebebro comunque il 91% dei superdelegati rimasti (il calcolo precede qualche nuovo schieramento). Nel complesso al senatore dell'Illinois mancano 61 delegati per superare di uno quota 2025, mentre a Clinton ne servono 247. Attenzione: Clinton in Florida ha preso il 50% dei voti, mentre Edwards e Obama, sommati fanno 47%. Il distacco è dunque molto relativo, anche nel caso i delegati dello Stato venissero ammessi (sul Michigan difficile pensare una soluzione identica).
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20 maggio 2008
I superdelegati. In soccorso dei vincitori (domani Obama avrà la maggioranza assoluta di delegati)
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Quanto costa un superdelegato?
Alla fine, business is business. La politica americana è sempre stata soprattutto una faccenda di soldi, quindi la domanda è lecita. In tempi così incerti un superdelegato costa sui 500 mila dollari. In cambio non solo darà il suo appoggio alla Convention, ma organizzerà i suoi caporioni per portare la gente a votare a novembre. A quanto pare Obama ha finanziato (attraverso i tanti strumenti che la legge americana mette a disposizione) almeno 34 superdelegati. Il più grande donatore privato di fondi diretti alle campagne elettorali degli Usa, Haim Saban, avrebbe offerto un milione di dollari all'associazione Young Democrats of America affinché due superdelegati appoggiassero Hillary Clinton. La notizia è riportata dall'Huffington Post. Sul fatto che si tratti di un'azione legale esistono diverse interpretazioni, ma sostanzialmente la questione non è regolata.
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19 maggio 2008
Bluegrass e Beaver al voto: Kentucky e Oregon chiuderanno la partita?
Altro giro, altra corsa. Lo sanno tutti, Hillary è in enorme vantaggio in Kentucky e Obama ha un buon margine in Oregon. Uno è uno Stato bianco rurale, collocato a cavallo tra il midwest e il Sud. Con tutto quello che questo significa in termini di conservatorismo, diffidenza verso i neri, che a differenza di altri Stati dell'area, qui non sono nemmeno un pezzo rappresentativo dell'elettorato. Il Kentucky è un altro di quegli Stati che era solidamente democratico fino alle lotte per i diritti civili, quando tutto il Sud ha abbandonato il partito di Lyndon Johnson per il Grand Old Party. Ha scelto i suoi democratici negli anni 70 e 90 - l'ex governatore delle Georgia Jimmy Carter e quello dell'Arkansas Bill Clinton - ma poi ha eletto George W. a larga maggioranza. Nei sondaggi sulle presidenziali elegge McCain con più di dieci punti di scarto. Contro Clinton e contro Obama. L'Oregon è il contrario esatto: uno Stato che cambia rapidamente a cavallo tra San Francisco e Seattle, pieno di giovani, università, economia avanzata e tanti produttori di birra. Se ci fosse anche un 20 per cento di afroamericani sarebbe la tana di Obama, ma in Oregon i neri sono solo il 2%. Domenica scorsa, a Portland, il senatore ha radunato 75mila persone. Un record per la città. In Oregon, sebbene con margini relativamente piccoli, Gore e Kerry hanno vinto (il sentimento anti guerra in Iraq è forte). Anche nei sondaggi per il 2008 Obama e Clinton battono McCain.
La partita del voto in questi due stati non è comunque quella di chi e come si vince. A Obama mancano 16 delegati per raggiungere la maggioranza assoluta dei delegati e, comunque vada, la otterrà. Obama ha fatto sapere che comunque vada non si proclamerà vincitore, ma a quel punto altri superdelegati si schiereranno e - forse - l'estenuante esercizio democratico delle primarie sarà finito. A meno che Hillary non decida di andare avanti premendo sul comitato ristretto del partito chiamato a dirimere la vicenda dei delegati di Florida e Michigan. Nel comitato Clinton può contare su molti amici, ma una decisione troppo favorevole all'ex first lady farebbe infuriare i sostenitori di Obama. Il comitato si riunisce il 31 maggio.
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12 maggio 2008
Sette idee di McCain per battere Obama (che continua ad accumulare superdelegati)
Il Time riassume in sette punti la strategia anti-Obama del senatore McCain. Le differenze programmatiche sono note, ma il modo per rappresentarle e costruire la candidatura passa necessariamente per la nomina del candidato avversario. Intanto il senatore democratico ha raccolto altri cinque superdelegati tra domenica e lunedì (Tom Allen, Maine, Dolly Strazar e il senatore Daniel Akaka, Hawaai, il segretario dell'Idaho Keith Roark e Crystal Strait della California). Sono 22 in quattro giorni, due hanno cambiato campo, abbandonando Clinton che, a sua volta ha ricevuto l'appoggio di due nuovi superdelegati. Anche su questo terreno il vantaggio di Obama aumenta. I vari conteggi vanno da un 277 pari di Nbc al 278 a 271 di Associated press (Cnn da ieri assegna due superdel in più al senatore). Domani si vota in West Virginia, aspettatevi un trionfo di Hillary e un fuoco di sbarramento della sua campagna. La West Virginia è bianca e molto povera e l'argomento sarà il solito: gli operai bianchi votano per me. Sarà a loro che Obama dovrà dedicare la maggior parte delel energie nei prossimi mesi. Del resto dopodomani visita la contea più bianca e reagan-democratica del Michigan, mica l'Oregon o il Kentucky - dove si voterà martedì 20, quando i due candidati vinceranno uno Stato per uno e, dicono quelli che se ne intendono, Hillary Clinton concederà la vittoria.
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9 maggio 2008
Superdelegati, corsa all'endorsement per Obama
Ieri tre, oggi altri tre: Peter De Fazio (deputato dell'Oregon), Donald Payne (deputato del New jersey, cambia passa da Clinton a Obama) e John Gage (segretario della American Federation of Government Employees). Come prevedibile dopo il risultato di North Carolina e Indiana, la lista dei superdelegati che decidono di appoggiare Obama si allunga. I conti della ABC arrivano addirittura a dire che il senatore ha superato Clinton anche su questo terreno. Ma ogni grande network e media importate ha i suoi conti, che divergono a seconda delle fonti o delle modalità con cui si compone la lista. Qui sotto lo stato della corsa nei conti delle fonti più autorevoli. Il 5 febbraio, dopo che Hillary ha cominciato la sua rimonta per quantità di voti presi, l'ex first lady guardava Obama dal'alto di un vantaggio di 60 superdelegati. All'epoca ragionare di arrivare alla convention aveva senso, oggi meno.
ABC
OBAMA 267
CLINTON 265
CBS
CLINTON 271
OBAMA 261
CNN
CLINTON 268
OBAMA 258
NBC
CLINTON 274
OBAMA 260
Associated Press
CLINTON 271.5
OBAMA 266
New York Times
CLINTON 263
OBAMA 258
Politico
CLINTON 268.5
OBAMA 260
Washington Post
CLINTON 271
OBAMA 256
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8 maggio 2008
Il Michigan ha trovato un compromesso sui delegati. Hillary lascia entro il 15 giugno?
La telenovela Florida - Michigan continua. Tutti i voti devono poter contare, sostiene da settimane Hillary chiedendo che i risultati delle primarie svolte contro le regole del partito democratico vengano registrati come buoni. La proposta che il comitato democratico del Michigan - che senza trovare soluzioni non vedrà la propria delegazione seduta alla convention - è quella di assegnare 69 delegati a Clinton e 59 a Obama, il cui nome non era sulla scheda, perché si era impegnato, come la senatrice a non concorrere. Con questi numeri si registra la vittoria di Hillary ma le si attribuiscono meno delegati di quanti non le spetterebbero. Vedremo se il partito nazionale o la campagna di Obama saranno d'accordo. Molto dipende da quanti superdelegati si schiereranno in questi giorni. Se Obama sentirà la vittoria in tasca, allora si potrà permettere di essere generoso, sul Michigan nei giorni scorsi David Plouffe, numero due della campagna del senatore, ha detto che un compromesso è possibile. Giorni fa Huffington Post aveva svelato che lo staff di Clinton stava pensando di usare tutto il peso politico della famiglia per far adottare al comitato che dirime le questioni procedurali in vista della convention una decisione tutta a suo favore (far sedere i delegati di Florida e Michigan esattamente per come sono andate le primarie). Era un'ipotesi sporca ma plausibile per ribaltare il risultato delle primarie se il voto di Indiana e North carolina fosse andato diversamente. Adesso, ammesso che Clinton abbia ancora la forza per farlo (e questa analisi del NYT suggerisce che i tempi sono cambiati), suonerebbe talmente male da essere un regalo gigantesco a John McCain. Sempre a sentire il portale finanziato dalla signora Huffington, Hillary sarebbe pronta a mollare prima del 15 giugno.
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4 maggio 2008
Guam, il caucus lo vince Obama (per 7 voti)
Sono solo quattro delegati per 170mila abitanti. L'isola di Guam è lontana dagli Usa e famosa per i fanghi anti-cellulite, presa durante la guerra nel Pacifico con il Giappone e non ha gran peso politico. Ma vota. Hanno votato in poco più di 5mila e il risultato è stato 2264 Obama, 2257 Clinton. Il margine è talmente esiguo che i voti verranno ricontati. In origine si pensava a una vittoria larga di Clinton. Scarto minimo e due delegati per uno, ma la persona nominata presidente del partito locale e il suo vice - due superdelegati - sono con il senatore. Il primo aveva già garantito il suo sostegno (ma è diventato superdelegato) e il secondo aveva dichiarato che avrebbe sostenuto il vincitore del caucus. I sette voti, se verranno confermati, pesano per questo.
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3 maggio 2008
Sondaggi, superdelegati, commenti: a tre giorni dal nuovo voto regna la confusione
Martedì si vota in Indiana e North Carolina, il risultato è diventato all'improvviso incerto e la corsa che tutti sperano finisca presto, rischia di trascinarsi ancora. Nello Stato del Sud Barack Obama mantiene un certo vantaggio nei sondaggi - la media di Real clear politics è +7, gli ultimi due, Zogby e Rasmussen sono a +9. Il senatore teme di non portare a casa un risultato clamoroso come quello che avrebbe ottenuto se il reverendo Wright avesse tenuto la bocca chiusa. Una vittoria in stile South Carolina, con il pacchetto di delegati in più che regalerebbe, potrebbe consentire a Obama di perdere di misura l'Indiana senza troppi danni. Ma l'effetto Wright - che sembra davvero aver voluto fare uno scherzaccio alla sua ex pecorella convertita - c'è ed è pesante (Weekly standard e i media filo repubblicani ci si buttano a capofitto). Specie tra la solita schiera di colletti blu semi conservatori che storcono il naso all'idea di votare per un afroamericano. In Indiana le cose si sono complicate ancor di più: la media RCP è Clinton a +6, dopo che per due settimane i due candidati erano alla pari. L'ultimo Zogby assegna però un punto di vantaggio a Obama. Torneremo domani sulle dinamiche socioeconomiche dei due Stati. Il paradosso di questa corsa è che, mentre il vento soffia verso Hillary, i superdelegati, che fino ad oggi hanno taciuto, scelgono Obama con sempre maggior frequenza: la volontà è quella di chiudere il capitolo primarie adesso. Nell'ultima settimana il senatore ha ottenuto il sostegno di due ex capi del Democratic national committee Joe Andrew (dell'Indiana, passato da Clinton a lui) e Paul G. Kirk, colmando il ritardo sul terreno superdelegates. Oltre alla controversia sul reverendo Wright, di cui sono pieni i media (un'analisi di come ha condizionato i sondaggi), l'altro tema di scontro è la proposta McCain/Clinton di detassare la benzina per le vacanze. Una classica berlusconata, tutti, dagli economisti alla politica di entrambi i partiti l'hanno giudicata una sciocchezza (un commento del Washington post e un'analisi di Slate), ma è la classica proposta quattro soldi in tasca da domani e potrebbe pagare. Sulla bipartisanship della proposta e sulla sua inutilità Obama ha mandato in onda più di uno spot. E per finire questo lungo post riassuntivo, una lunga analisi di The Nation sulla centralità di razza e genere nelle primarie democratiche e un commento molto duro di Michael Tomasky, direttore dell'edizione americana del Guardian sulla campagna di Hillary Clinton che, a detta dell'editorialista, sta usando tutti gli arnesi peggiori della destra repubblicana pur di vincere la partita.
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23 aprile 2008
Ancora lei
Hillary Clinton vince in Pennsylvania con un margine che lascia pochi dubbi: il 10%, poco più di 200.000 voti in una primaria che ha visto triplicare l'affluenza alle urne. Clinton riduce il suo distacco da Obama e rimane in corsa, ma non abbastanza per poter sperare di superarlo nel calcolo nazionale del voto popolare. QuI delegati non sono ancora stati tutti assegnati, un conto importante per capire come è andata la Pennsylvania è anche questo: quanto si è ridotto il gap tra i due? Ora, come dice il Washington Post, la vera battaglia è sui superdelegati: la Pennsylvania conferma l'argomento di Clinton che solo lei può vincere i grandi stati industriali, un refrain sul quale farà leva per convincere i maggiorenti del partito di essere la candidata giusta per la Casa Bianca. Teoria confermata dal guru di George Bush, Karl Rove, su Newsweek. Gli exit poll confermano che Obama ha rimontato leggermente in molte categorie, dagli anziani alle donne ma non abbastanza per superare Clinton. L'ex first Lady ha invece trionfato tra gli elettori cattolici, che in Pennsylvania erano molti di più che in Ohio.
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18 aprile 2008
I delegati di Florida e Michigan e il comitato di Dean
La campagna di Hillary per riammettere i delegati di Florida e Michigan alla convention nazionale democratica va avanti. Ma né lei, né Obama hanno i numeri per decidere nel credentials commitee, l'equivalente di una commissione garanzia nei congressi di partito (quando si facevano). E così il potere di scegliere una soluzione sarà nelle mani di un comitato di 25 persone nominato da Howard Dean. Su Politico una scheda per ciascuno dei 25, ci sono uomini e donne emanazione di Dean, molti superedelegati e qualche finanziatore pro Obama e meno pro Clinton. Qualche indeciso. La bilancia si sposta anche in questo caso dalla parte del senatore dell'Illinois: non solo ci sono più dei suoi, ma le regole del partito volute da Dean dicevano che i delegati degli Stati ribelli no n avrebero avuto diritto di voto. Se il caso della Florida è più controverso - Obama era sulla scheda - quello del Michigan non ammette slalom: dei tre contendenti (Edwards era ancora in ballo) solo Hillary era sulla scheda e dopo aver preso l'impegno di non correre. I 25 probabilmente troveranno un compromesso che salvi il raporto del partito con gli elettori dei due Stati , ma non così sfavorevole nei confronti del senatore.
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31 marzo 2008
Il cervello di Bush torna a dare consigli ai democratici
Su Newsweek i cinque consigli di Karl Rove a Barack Obama e Hillary Clinton su come vincere le primarie a Denver. Poche grandi idee e tanta tecnica congressuale. La politica Usa, per come la vede l'architetto - che qualche soddisfazione se l'è pure tolta negi ultimi dieci anni - somiglia molto alla vecchia Democrazia cristiana delle correnti più, e questa è la parte nuova, un'abile gestione dei media. La scelta di Hillary Clinton di arrivare in fondo nonostante le pressioni montanti del partito, sembra poggiare proprio sull'idea che, nei corridoi di Denver, gli scaltri clintonians sappiano gestire la situazione meglio che non gli ingenui seguaci di Obama. La strategia di vincere nei caucus e negli Stati piccoli, che non è casuale ma cercata dalla campagna del senatore dell'Illinois che sapeva di avere meno possibilità nei grandi Stati democratici, sembra suggerire che anche nel club di Obama ci sia gente scaltra e abile. A questo proposito ecco un'analisi delle posizioni dei superdelegati fatta da Politico. E a proposito di superdelegati, la senatrice del Minnesota Amy Klobuchar, una freshwoman, ha scelto di appoggiare Obama e, sembra che i sei rappresentanti della North Carolina a Washington faranno lo stesso prima delle primarie di quello Stato (ecco la cronaca del Wall street journal). Non chiederti per chi suona la campana, verrebbe da dire.
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20 marzo 2008
I democratici, lo scontro sul volere degli elettori, votare o no in Florida e la caccia al superdelegato
La disputa su come nominare il candidato presidente sta diventando una telenovela complicata. Sembra che le ipotesi di rivotare in Michigan e Florida siano ormai al lumicino. Spuntano dei superdonatori pronti a finanziare almeno la ripetizione delle primarie in Florida, ma sono tutti finanziatori della campagna di Clinton (“un segnale che Obama non vuole votare" spiegano gli uomini di Hillary). Obama insiste sulla necessità di far pesare il numero di elettori e delegati ottenuti da ciascun candidato alla convention, mentre Hillary chiede che i due Stati esclusi vengano conteggiati (nel caso del Michigan è davvero improbabile gli altri concorrenti non erano sulla scheda). In un caso il senatore dell'Illinois avrebbe già la nomination in tasca - questo articolo del New York Times spiega perché - Ogni argomento è valido, ma le due campagne agitano, come se fosse neutrale, solo quello che consentirebbe loro di andare a Denver da vincitore. In mezzo c'è il partito democratico, diviso e preoccupato e più o meno impossibilitato a prendere una decisione chiara. E poi i superdelegati, anche loro tirati per la giacca: devono rispettare il voto come dice Obama - che però preferisce non si voti in Michigan - oppure schierarsi a prescindere come vorrebbe Clinton? Nelle ultime settimane Obama ha quasi chiuso il gap nel conto dei delegati di diritto (246 a 209), ma le vicende Wright e Rezko rischiano di fargli perdere di nuovo terreno. Chi sono, cosa hanno scelto, quali sono le regole per i superdelegati? Ecco una pagina piena di informazioni utili
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