Hillary Clinton è arrivata in Asia dove visiterà gli alleati tradizionali (Giappone e Sud Corea), quelli vecchi ma diventati qualcos'altro negli ultimi anni (l'Indonesia, la più grande e giovane democrazia islamica) e la potenza emergente cinese. Ecco in un bel pezzo del San Francisco Chronicle cosa la aspetta: molto interesse, poca ostilità dovuta all'amministrazione Bush, tante discussioni economiche. Ma non sarà tutto rose e fiori: come spiega il Wall Street Journal i dossier nordcoreano e birmano mostreranno i limiti del suo "smart power" e lì ben presto ci saranno da prendere decisioni difficili. La tappa cinese rinfocolerà i discorsi sullo scambio tra diritti umani e commercio, come illustra questo articolo del Washington Post. In ogni caso, sembra che in questa zona di mondo, e forse in America Latina, Hillary avrà più spazio di manovra anche perchè non ci sono "inviati speciali" del presidente. Un modo per contare di meno ma anche per non gestire patate bollenti. Come quella dell'Afghanistan dove, ammonisce il Wilson Center, non basta mandare più truppe: bisogna lavorare alla ricostruzione economica e alla riconciliazione nazionale. Quanto a quest'ultima, diciamo noi guardando alla storia, di solito non è aiutata da una grande presenza straniera che anzi la scoraggia: perchè il nuovo "sindaco di Kabul" dovrebbe fare la pace con chi gli sta attorno se può contare sui fucili americani e Nato?
22 febbraio 2009
L'Asia di Hillary
Pubblicato da America2008 alle 14:51
Etichette: Afghanistan, Asia, Clinton, politica estera
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