27 gennaio 2009

L'esempio irlandese per il Medio Oriente

Nel nostro libro, nel capitolo sulla politica estera, spieghiamo che c'è stato un cambiamento nell'elite americana: già dal 2006 è finita l'egemonia neocon e ha lasciato gradualmente più spazio ad un ritorno dei policy-expert realisti. George Mitchell, il nuovo inviato in Medio Oriente di Obama, sembra ispirarsi a quella corrente. Basti vedere questo suo articolo di qualche tempo fa, scritto con Richard Haass cioè uno dei realisti più importanti di Washington, in cui spiegava in cosa consisteva "l'esempio irlandese" per il Medio Oriente: lì nessuno aveva chiesto alle due parti di rinunciare ai propri sogni, nessuno aveva chiesto all'IRA di rinunciare alla riunificazione dell'Irlanda o agli unionisti di dichiararsi pronti ad uscire dall'Unione (la Gran Bretagna, non il centrosinistra italiano). Quello che gli si era chiesto era di rinunciare a perseguirli con le armi e di puntare sulla democrazia. D'altronde, nessuno dopo la resistenza chiese al PCI di rinunciare al comunismo o all'idea che l'Urss fosse il paese guida: piuttosto gli fu chiesto di partecipare alla scrittura di una costituzione democratica. Che la "soluzione irlandese" fosse tenuta a mente dalla nuova elite di Washington noi lo avevamo scritto qualche tempo fa in questo post. Lo diceva anche un editoriale del quotidiano libanese Daily Star che faceva notare che il fatto che Hamas e Hizbullah usino gli strumenti sbagliati non vuol dire che non ci sia un problema politico che va affrontato. Infine, vi consigliamo di tenere d'occhio il blog di Daniel Levy, intellettuale anglo-israeliano ora in forza ad un importante think tank progressista americano. Nel suo post spiega anche cosa potrebbero fare gli europei nel negoziato. Ma putroppo, per ora, la nostra politica è su un tono diverso: si tratta troppo spesso di far dimenticare di essere stati comunisti e filo-palestinesi, non di discutere i problemi. Quando D'Alema lo ha fatto, la reazione non si è fatta attendere.

Nessun commento: