8 marzo 2008

I dubbi su Obama, i limiti delle primarie

Dopo la vittoria del Wisconsin - uno stato con una composizione sociale simile all'Ohio, anche se di tradizione più progressista - si era detto che Obama aveva sfondato nell'elettorato di Hillary Clinton, e che inoltre possiede una presa maggiore su quello indipendente. Oggi la musica è un'altra (vedi qui l'ottima sintesi di Jay Cost): i media si chiedono (vedi il post qui sotto) se Obama può farcela negli stati chiave come l'Ohio o la Florida (forse ce la farebbe in Virginia, dove è andato benissimo in tutte le fasce di voto), mentre il suo staff dimostra tutta la sua inesperienza chiaccherando a destra e manca con i giornalisti. Intanto avevamo già segnalato la sintesi di Marco Polo sul problema dell'importanza della "riconquista" dell'elettore bianco in tuta blu da parte dei democratici (e guardate anche qui un pò di dati, e qui la nostra intervista a Jeffrey Stonecash). E Hillary mostra anche una forte presa su chi decide all'ultimo minuto.

Una riflessione va fatta però sullo strumento delle primarie: da un lato grazie a esse si è manifestata la capacità di mobilitazione dei democratici anche in un elettorato nuovo (in primis i giovani: nelle presidenziali del 2004 votò il 48% nella fascia di età 18/29 anni, oggi Obama potrebbe far crescere di molto questa percentuale), dall'altro lo stile demagogico e plebiscitario che impongono rende più ardua una sintesi politica delle differenze apparse in campo democratico. Nel 1964 Goldwater regalò ai repubblicani un nuovo inizio distruggendo il vecchio partito repubblicano, anche se perse le elezioni; e ai democratici che strategia serve? Rottura col passato o compromesso? Qui un articolo di un paio d'anni fa che riporta il dibattito dei democratici su questo tema all'alba delle elezioni di mid-term del 2006, e qui l'Economist di questa settimana su Obamaworld versus Hillaryland.

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