Per ora rimandiamo a dopo le analisi a proposito delle "fasi". Avremo tempo per approfondire questo punto: se siamo, o non siamo, alla crisi conclamata e definitiva del liberismo senza "se" e senza "ma", nonché alla fine di una stagione culturale e politica durata all'incirca un trentennio. I segni ci sono: il Washington consensus è morto, il rapporto tra mercato e politica muta, a livello globale, anche a causa della crisi attuale del credito. Per gli Usa la notizia sarebbe duplice: si seppellisce il reaganismo in economia e in politica. Il tramonto del conservatorismo assertivo della moralità e del libero mercato, quasi che la scomparsa di William Buckley coincidesse con la crisi delle sue idee.
Ben Bernanke, il presidente della Fed, è uno studioso della Grande Depressione e della crisi giapponese degli anni '90, e sembra essere un convinto sostenitore dell'aumento dell'offerta di denaro facile quando l'economia è in crisi. Sta garantendo liquidità, e le ragioni sembrano essere più psicologiche che economiche. Per molti anni a venire l'economia americana rischia di avere tassi di crescita molto bassi, a essere ottimisti: é una società dove oggi non si può più spendere come pare e piace e le famiglie combatteranno con i denti per rinegoziare mutui e debiti; di questo dovrà occuparsene lo stato più del mercato. Sotto la lente delle primarie tutto sembra ingigantirsi: è l'effetto del voto di martedì in Ohio, uno degli stati dove la crisi dell'economia (quella reale) si è fatta sentire di più. L'economia che fa paura è il tema di queste primarie.
29 febbraio 2008
Mamma, il mercato! Alle primarie la paura fa 90
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