30 dicembre 2008
Una riflessione su Gaza
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29 dicembre 2008
Una crisi fresca e terribile per la nuova presidenza
Chissà se, oltre alle valutazioni elettorali, la scelta di Israele di colpire Gaza in maniera tanto dura oggi non sia dettata dal timore per la entrante amministrazione Obama (o comunque dalla finestra aperta dal vuoto di potere a Washington). Fatto sta che, oltra ai guai già esistenti, il presidente eletto si troverà ad avere a che fare con una disastrosa situazione in Pakistan/Afghanistan (e su questo la Cina sta mediando tra Islamabad e Delhi, rubando la scena) e con una catastrofe in Medio oriente. Ecco un interessante analisi di Huffington sul possibile ruolo degli ebrei progressisti nella prossima amministrazione. The Nation raccoglie una serie di voci pacifiste americane, mentre questo è il comunicato di J street, organizzazione ebraica che prende le distanze dall'Aipac, la lobby politica di Israele a Washington. Il Washington post critica la scelta di Tel Aviv con un editoriale dal titolo: Israele colpisce, l'Iran vince. E per finire roba colta, lunga e interessante, che in questi giorni vale la pena di leggere: un lungo articolo sulla New York Review of books precedente alla crisi. Il titolo è perfetto: come non fare la pace nel Medio oriente. Ecco un esempio perfetto: Nasrallah torna di moda in Libano, l'Anp è indebolita e in tutto il mondo si bruciano le bandiere di Israele. Un modo perfetto per sentirsi accerchiati come sempre, un modo perfetto per rimanerlo qualche anno ancora.
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27 dicembre 2008
Addio carta stampata...
Non è un post che faccia piacere scrivere - specie a uno il cui giornale sta affogando - ma la notizia è importante e conferma una cosa, non particolarmente originale, che scriviamo nel libro. Il Pew research centre ha pubblicato un rapporto in cui ci narra del balzo di internet come fonte di informazione (dal 20 al 40 per cento in un anno). Scende la Tv, salgono di pochissimo i giornali (1 per cento, ma molto di più tra i giovani) e un poco la radio. Il boom, per tutte le notizie è quello della rete. Attenzione, la rete non sono solo i blog, ma anche molto i siti di informazione dei grandi media. Come avrete notato, tutti caricano video, approfondimenti, reportage fotografici, trasmettono le conferenze stampa in diretta. Il problema (per i grandi giornali, è che una pagina di pubblicità stampata costa molto di più di un pop-up, di un banner o di una inserzione. Ecco qua il breve rapporto di Pew (c'è n'è anche uno sulla diversità dei quartieri che sembra interessante, ma non abbiamo il tempo di leggerlo). Il declino di Tv e il boom di internet sono una dimostrazione che la scelta obamiana di un uso orizzontale della rete per fare compagna era azzeccata anche perché in sintonia con le tendenze nella società.
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23 dicembre 2008
Quante volte caricheremo questa copertina?
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19 dicembre 2008
Il salva auto di Bush
Il presidente ha evitato di lasciare in ricordo anche il fallimento delle big three ed ha preso un pugno di miliardi dal pacchetto Paulson per prestarli a General motors e Chrysler (Ford, per ora, non ne ha bisogno). La Casa Bianca impone vincoli stretti (niente benefit, niente dividendi, ristrutturazione industriale e salariale). Il sindacato auto di Detroit ha già chiesto a Obama di ripensare alla parte che riguarda il lavoro, ma gli operai di Detroit sono famosi per essere i meglio pagati d'America. E sono rimasti in pochi. Anche questa partita è di grande interesse e va seguita. Salon risponde a una domanda di grande interesse: come mai i repubblicani son tanto contrari al salvataggio? Perché a Sud ci sono le fabbriche Toyota e se i tre grandi chiudono è un problema per il Michigan e pèer altri Stati dominati dai democratici (e una manna per gli Stati dei senatori che hanno votato contro il salvataggio deciso da Bush). Ecco l'articolo di Salon
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Parentesi italiana
Viene da blob di qualche giorno fa e in rete ha già fatto furore, ma visto che oggi il PD italiano fa autocoscienza lo pubblichiamo: alcuni momenti di lucidità andrebbero conservati come pietre preziose (no, accidenti, le pietre no: poi in certi ambienti te le rubano..)
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Gli americani si muovono meno
Ecco una ricerca che dice qualcosa dell'America. Dove vanno e quanto si muovono i cittadini degli States? Nel biennio 2006-2007 si sono mossi meno che in passato. Il Pew research centre analizza i dati e ci fornisce una mappetta niente male: ti ci muovi sopra e vedi i flussi, da nord verso la Florida e così via, per una serie di bienni. E' interessante in sé e lo è anche per capire i flussi elettorali, se, come e perché la geografia del voto cambia con gli spostamenti. Una seconda ricerchina ci indica che solo l'11 per cento degli americani crede che Bush abbia fatto qualcosa per essere ricordato in positivo. Non serviva un sondaggio.
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18 dicembre 2008
Il bue dà del cornuto all'asino
David Frum è un intellettuale conservatore di origine canadese, al quale viene attribuita l'invenzione del refrain "asse del male" quando lavorava per l'amministrazione Bush. E' autore oggi di un testo dal titolo Comeback: Conservatism that can win again. Su "The Week" scrive un articolo che comincia con un incipit interessante e veritiero: "The vice of the American political system is not authoritarianism. It is corruption". Obama paga la sua origine politica, Chicago. E' indubbio che lì Obama ha messo su pelo sullo stomaco, scaltrezza e ha fatto apprendistato con la macchina del consenso popolare del partito democratico più simile alla Dc di Gava d'America. Il vecchio sindaco Daley - il padre di quello attuale - fece votare anche i morti pur di far divenire presidente JFK.
Però mai come oggi i repubblicani devono tacere su qualsiasi cosa assomigli a una "questione morale" in stila americano: questa amministrazione - dal caso di Jack Abramoff a quello di Tom DeLay, potentissimo Congressman dell'era Bush - è stata avida fino ad arrivare a danneggiare se stessa - troppa corruzione rende ciechi. Già dalle elezioni del 2006 il tema della corruzione è stato parte della campagna elettorale dei democratici, una risorsa efficace e utile.
La strategia sembra chiara. Smontare l'aura di santità di Obama e dire che è tutto come prima: è un amico di corrotti moderato e opportunista. Anche in Italia c'è chi utilizza la stessa strategia, pur di dire che in fondo dai tempi di Bush non cambierà molto. Poveri struzzi: il mondo si capovolge - a prescindere da Obama - e loro non sanno che sono cambiate le politiche, le persone, l'ordine di ciò che è possibile pensare e fare è rovesciato rispetto a quello del 2003. La famosa frase di Reagan per il quale "lo stato è il problema, non la soluzione" oggi fa sorridere per la sua inconsistenza. Erano meglio i comunisti di una volta: almeno, quando perdevano, facevano autocritica. Oggi la sconfitta storica dell'ideologia conservatrice è l'unico, vero punto che gli stessi conservatori dovrebbero tenere in agenda.
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L'Afghanistan e le vie d'uscita
Joe Klein, che ha seguito come firma di punta la campagna Obama per Time, è stato in Afghanistan di recente. Ecco il suo articolo, il titolo è La guerra senza scopo, e la dice tutta sulla difficoltà che gli Usa stanno incontrando. Ecco un commento sulla politica estera da The Guardian ed un lungo reportage tra e su i talebani dallo stesso quotidiano. E, per i più volenterosi, un saggio da Foreign affairs dal titolo Oltre l'Iraq, l'agenda mediorientale di Obama. Quali sono i nodi, le questioni aperte, come e con chi trattare? Il direttore del Foreign policy institute e quello del programma Medio oriente della Brookings institution mettono in fila domande e (le loro) risposte. Con Teheran si parla, ma li si minaccia anche un po', è una delle tesi.
Un tema di grande dibattito è anche se, come e con ch discutere in Afghanistan. Ahmed Rashid, tra i più ascltati giornalisti-esperti di Pakistan, Afghanistan e talebani, sostiene nel suo ultimo libro (Caos Asia, Feltrinelli) che è giunta l'ora di parlare con gli studenti di religione che ne hanno voglia. Ce ne sono di molto diversi tra loro e molti, con aiuti e impunità, sarebbero pronti a tornare a casa. Per Salon.com, Obama ha un mal di testa afghano.
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Il presidente pragmatico secondo The nation
Ecco un lungo articolo da The Nation sul pragmatico Obama. Il giornale della sinistra Usa si chiede se e come il pragmatismo sia una strada per stare fermi, vendere - come ha fatto Greenspan - un'ideologia ammantata di neutralità o altro. Inutile dire, che a The Nation chiedono un pragmatismo rooseveltiano.
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17 dicembre 2008
L'uomo dell'anno, stavolta, non è una sorpresa
Né Putin, né “You", l'uomo del 2008, ma non poteva proprio essere altrimenti, è il presidente eletto. Ecco lo speciale di Time, per chi non la avesse già visto. Segnaliamo solo una cosa, la risposta alla prima domanda di una lunga intervista. Cosa vorrebbe che guardassero gli elettori tra due anni, nell'anno delle elezioni di mezzo termine? I temi sono quelli di cui abbiamo parlato in campagna elettorale: Sul fronte interno, siamo usciti dalla peggior crisi dal 1929 in poi? Ci siamo dotati di regole che impediscano il ripetersi di situazioni simili? Abbiamo creato abbastanza lavoro pagato in maniera che le famiglie ce la facciano a tirare avanti? Abbiamo ridotto i costi della sanità e allargato la copertura? Siamo partiti con un piano che faccia transitare l'America verso una nuova politica energetica? Abbiamo cominciato a rivitalizzare il nostro sistema di educazione. E in politica estera, abbiamo chiuso Guantanamo responsabilmente, messo da parte la tortura e ricostruito il giusto equlibrio tra la nostra sicurezza e la Costituzione? Abbiamo ricostruito alleanze efficaci? Ho portato via le truppe dall'Iraq e rafforzato il nostro approccio all'Afghanistan - non solo militarmente ma anche dal punto di vista diplomatico e dello sviluppo? Siamo stati capaci di restituire slancio alle istituzioni internazionali per affrontare le grandi questioni che non siamo in grado di affrontare da soli come il cambiamento climatico? Se ci riesce, la prossima volta lo votiamo.
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16 dicembre 2008
C'è una lobby dell'inquinamento, eccola qua
Ecco la sintesi video del discorso del CEO di Massey energy e capo della Camera di commercio degli Stati Uniti: il riscaldamento del pianeta non esiste e Pelosi è una greeniac (verde-maniaca). Il conflitto sulla conversione dell'economia esiste. Ecco un articolo (e accanto i link al dossier) da Mother Jones
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15 dicembre 2008
Plouffe: Come abbiamo vinto
Ecco una lunga intervista al genio della campagna democratica (chissà, tra qualche anno sarà vituperato come Karl Rove, anche se non ha lo stesso ruolo). Un esempio interessante: le campagne tradizionali spendevano 70 per la comuncazione e 30 per le ground operation, Obama ha speso 50/50. Sono tanti soldi, cambiano molte cose.
Il blog è un po' a secco, stiamo finendo il libro sulle elezioni, Obama e l'America e siamoo più che impegnatissimi. Presto approfondimenti di politica estera: quest'Iraq e questo Afghanistan sono di grande interesse.
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10 dicembre 2008
Il presidente parla: un'intervista al Chicago Tribune
Giurerà come Barack Hussein Obama, difende la scelta di Gates e altro ancora. Ecco una delle prima interviste del nuovo presidente. La trovate qui. E, a proposito di nomine, Barack Obama ha scelto il vice sindaco di Los Angeles, Nancy Sutley, come responsabile del Consiglio della Casa Bianca sulla Qualità ambientale. Lo hanno rivelato fonti democratiche, ricordando che la Sutley - schierata con Hillary Clinton alle primarie e militante del movimento omosessuale - è la prima nomina per quanto riguarda l'ambiente e sarà seguita nelle prossime settimane dalla scelta del segretario all'Energia e del capo dell'Agenzia di protezione dell'ambiente.
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9 dicembre 2008
Chicago è sempre Chicago
Chicago è sempre un bel posto per fare politica. Ora bisognerà capire cosa sapeva Obama di tutta la faccenda. Sta di fatto che il Segretario alla Sanità è diventato qualcun altro.
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7 dicembre 2008
Il più grande finanziatore di questa campagna
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6 dicembre 2008
Becerra for President
Finalmente i progressisti americani tirano un sospiro di sollievo: pare proprio che il deputato della California Xavier Becerra diverrà lo "Us Trade Representative" dell'amministrazione Obama (qui l'articolo di The Nation). Prima considerazione: due ispanici nei posti chiave che riguardano il commercio, Becerra e Bill Richardson, futuro Segretario al commercio. America latina, preparati.
Becerra è amato dai sindacati e dalla "sinistra" del partito: in quelle classifiche stilate da ogni gruppo per osservare la prossimità con i propri eletti, Becerrà raggiunge il 100% con l'Afl-Cio, entusiasta del suo lavoro da congressman. Fa parte del Congressional Progressive Caucus, ha votato a favore del Nafta appena arrivato in Congresso per poi fare autocritica, rappresenta una rottura netta con gli ultimi 20 anni di politica commerciale degli Stati uniti ma in realtà è anche un pragmatico, in pieno stile obamiano (non è Sherrod Brown, per intenderci, il bellicoso senatore dell'Ohio sulle barricate contro molti accordi commerciali americani). La nomina di Becerra sarebbe un sospiro di sollievo da parte dei sindacati, a fronte delle notizie sempre più preoccupanti a proposito della disoccupazione che arrivano dagli Usa.
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5 dicembre 2008
"Il partito di Obama" e la riforma della sanità
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4 dicembre 2008
Ci eravamo tanto odiati
Il Boston Globe ci ricorda le tappe delle polemiche feroci tra Obama e Clinton durante le primarie a proposito della politica estera. Una bella carrellata di testi d'archivio e immagini fotografiche. E' la politica, bellezza..
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3 dicembre 2008
Stiamo lavorando al libro
Come i nostri lettori e le nostre lettrici più affezionati/e avranno notato siamo stati un po' più assenti del solito nell'ultimo periodo. Tranquilli, non ci hanno cooptato nella Casa Bianca ma stiamo lavorando anche per voi. Stiamo scrivendo un libro per la casa editrice "gli asini" proprio su questo anno elettorale e sul nuovo presidente. Vi diremo chi è secondo noi Barack Hussein Obama, perchè e come ha vinto, come funziona (male) la democrazia americana e quali sfide in politica estera e in economia si troverà a fronteggiare il nuovo presidente. Infine, cercheremo di capire quali domande pone a noi italiani la vittoria di Barack Obama e quanto sia stato incompreso questo fenomeno dai nostri "maccaroni". Non spegneremo il blog perchè c'è ancora tanto da dire, ma abbiate un po' di pazienza. Usciremo il 20 gennaio e speriamo di non deludervi.
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2 dicembre 2008
Ancora analisi del voto
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Il Medio Oriente che aspetta Hillary
Ecco in un articolo abbastanza schematico di RealClearWorld le sfide che impegneranno da subito Hillary Clinton sul processo di pace: dal 9 gennaio per esempio la legittimità della presidenza di Abu Mazen sarà quantomeno dubbia, un mese dopo le elezioni israeliane potrebbero portare al potere Benjamin Netanyahu. In poco tempo, potrebbe ritrovarsi senza interlocutori veri. Ecco che la scelta di un buon inviato per il Medio Oriente è cruciale. Huffington Post propone Colin Powell e vede come la peste Dennis Ross, troppo vicino ad Israele. Il giornale israeliano progressista Ha'Aretz parla invece di Daniel Kurtzer che noi intervistammo in forma riservata la scorsa estate: è uno che ha fatto tesoro degli errori dell'amministrazione Clinton e anche solo per questo sarebbe una buona scelta. Infine, David Corn di Mother Jones ci invita a non sottovalutare un'altra figura della nuova amministrazione Obama e cioè il generale Jones, nuovo consigliere per la Sicurezza nazionale: un militare ma anche un diplomatico, potrebbe far funzionare di nuovo l'apparato di intelligence e diplomatico che è fermo dall'epoca d'oro dei neocon.
Pubblicato da America2008 alle 08:49 1 commenti
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1 dicembre 2008
Ecco la politica estera di Obama
Come previsto da giorni, Barack Obama ha presentato oggi il suo team di politica estera. Niente sorprese: co sono Clinton e Gates, poi Napolitano alla sicurezza interna, l'ex generale Jones come advisor del presidente, Rice (Susan) all'Onu. Nel suo discorso Obama ha parlato di restaurare la leadership americana usando più diplomazia, facendosi più amici e meno nemici. Ci sono parole interessanti e grande abilità politica nelle scelte del futuro presidente. Tutti coloro che hanno avuto la parola sul palco di Chicago hanno parlato di ambiente, povertà, diplomazia e Onu. La presenza del futuro Attorney general è anch'essa un segnale: la Giustizia verrà amministrata seguendo i principi della costituzione.
Il tema del giorno era, come è ovvio, perché Hillary? La risposta d Obama, oltre agli elogi, è stata più o meno: "Molte delle persone di questo gruppo hanno già lavorato assieme. Non avrei chiesto loro di far parte di questa amministrazione se non condividessimo un’idea di comune di quale debba essere il nostro ruolo nel mondo. Dalla forza del nostro esercito alla saggezza della nostra diplomazia. E’ venuto il momento di riconquistare la leadership su tutti i terreni. Credo molto nelle personalità forti e nelle opinioni forti. Un pericolo alla Casa Bianca è che nessuno obietti alle idee degli altri. Ma io darò la linea politica, mi aspetto che la implementino e mi prenderò la responsabilità che ciò accada". Sul palco, in teoria, sembravano tutti d'accordo. E, come ricordano tutti gli osservatori, in fondo alle primarie lo scontro è stato sul voto all'Iraq e l'esperienza, non sulle cose vere. Il senatore Feingold, il più liberal del Congresso, l'unico a votare contro il Patriot Act, parlando con The Nation, si è detto impressionato della preparazione di Hillary durante un viaggio in Iraq e Afghanistan, spiegando così, lui che non ha appoggiato nessuno alle primarie perché non entusiasta dei candidati in lizza, la scelta di Obama. Ecco il video della conferenza stampa. E' istruttivo, l'unico che non parla quasi è Gates, che in qualche modo viene miracolato dal nuovo presidente.
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Ahmed Rashid su Mumbai, Obama e il caos in Asia centrale
Ci sono poche persone che conoscono la situazione afghano-pakistana come Ahmed Rashid, giornalista che con il suo "Talebani" - venduto come il pane in tutto il mondo dopo l'11 settembre 2001 - ha spiegato l'ascesa degli studenti coranici afghani. Rashid è da qualche settimana in tour per il mondo a presentare il suo "Caos Asia, il fallimento occidentale nella polveriera del mondo". Il suo è anche un ruolo di esperto per i governi, l'ultimo numero di Foreign Affairs pubblica un suo saggio scritto con Barnett Rubin che tematizza la questione centro-asiatica. La sua preoccupazione è che la crisi afghana tracimi e trascini l'Asia centrale nel caos. Impossibile non partire dall'attentato di Mumbai. "Credo che dietro ci sia al Qaeda. Sembra di capire che si tratta di pakistani che hanno viaggiato fino a Mumbai, ma potrebbero esserci anche complici indiani. Ma la strage è negli interessi strategici di al Qaeda. Le regioni dove è insediata vengono attaccate dai raid americani e dalle operazione dell'esercito di Islamabad su fronti opposti. L'unica arma che i taelebani e al Qaeda hanno a disposizione per far calare la pressione e far spostare le truppe pakistane. Come? Facendo crescere la tensione tra India e Pakistan, in maniera che l'esercito di Islamabad ridislochi le sue truppe in Kashmir. E' lo stesso metodo usato nel 2002, quando le due potenze nucleari finirono sull'orlo della guerra dopo un attentato al Parlamento indiano. E' molto importante che India e Pakistan siano abbastanza intelligenti da non cadere in questa trappola. Non credo che stavolta ci sia il coinvolgimento del governo pakistano o dell'Isi (i servizi segreti militari ndr ). L'esecito sta combattendo i gruppi terroristici e questi, solo un mese fa, hanno compiuto un attentato all'hotel Marriot di Islamabad uccidendo circa cento persone. La questione vera è che il Pakistan è il centro del terrorismo globale. Nelle regioni tribali di confine vengono addestrate persone che vengono dall'Europa, dall'Asia centrale e da altri Paesi".
Nel suo libro Rashid descrive errori e fallimenti dell'occupazione Nato e dell'amministrazione Bush, gli chiediamo di riassumerli. "Il più grande errore americano è stato l'Iraq. Quella guerra ha significato sottrarre energie, soldi, risorse all'impegno primario. Ha assorbito tutto, lasciando niente per l'Afghanistan, che doveva essere il centro degli sforzi americani. Il secondo errore è lo scarso impegno messo nella ricostruzione, nel cambiare le vite degli afghani quando una parte maggoritaria di questi era ben disposta verso le truppe. Le menti e i cuori degli afghani sono stati asciati ai talebani. Il terzo errore è il mancato confronto con il Pakistan e con l'atteggiamento di Islamabad che dava e dà ospitalità ai talebani nelle regioni di confine. L'amministrazione Bush si è rifiutata di vedere cosa facevano i pakistani e ha negato per anni che i talebani fossero una minaccia altrettanto pericolosa che non al Qaeda. L'ultimo errore è aver lasciato per anni tutto il potere ai signori della guerra quando non c'era un esercito afghano in grado di controllare il territorio".
Cosa dovrebbero fare gli Usa allora? "La mia tesi è che l'amministrazione Obama si dovrà preoccupare di studiare una soluzione regionale. I talebani non sono più un fenomeno locale. Ce ne sono in Afghanistan, in diversi Paesi dell'ex Urss e presto scopriremo se anche in India c'è qualche gruppo che sceglie quell'etichetta e quei legami. Per trovare una soluzione la pace in Afghanistan da sola non basta. La guerra è già nella regione nel suo complesso e, dunque, serve una soluzione regionale. Da dove cominciare? Da un dialogo serio sulla questione del Kashmir. L'esercito pakistano è ossessionato dal Kashmir, ritiene che quello sia il suo confine vulnerabile e che la minaccia più grande per il Paese sia l'India e non l'Afghanistan. Perché l'esercito di Islamabad scelga di spostare truppe verso le regioni di confine e sigillarle, deve essere rassicurato sul Kashmir. Questa è la prima parte della soluzione, la seconda è il coinvolgimento del'Iran. Sono molto contento del fatto che Obama abbia parlato di dialogo con l'Iran e che ci sia la volontà di parlare dell'Afghanistan con Teheran come si fa da molti mesi sull'Iraq. Quando parla di inviare più truppe, il nuovo presidente, parla anche di ricostruzione e aumento della presenza del governo afghano. Oggi non possono essere che segnali, frammenti di una politica delineata in campagna elettorale. Ma sono frammenti incoraggianti. Obama ha parlato di soluzione regionale come anche il generale Petraeus. Sono novità incoraggianti. Ad oggi, chi è rimasto in silenzio è l'Europa".
E perché mai potenze regionali con interessi divergenti dovrebbero sedere a un tavolo regionale? "L'ironia di questa situazione è che nessuna delle potenze locali (Pakistan, India, Russia, Iran, Cina) ha interesse ad un Afghanistan instabile. Eppure ciascun Paese promuoverà l'instabilità per tenere lontani gli altri. L'Iran lavorerà contro i pakistani mentre la Russia farà lo stesso per tenere gli americani sotto pressione. Ma nessuno vuole l'instabilità generata dalla presenza dei talebani il cui ultimo segnale è proprio la terribile vicenda indiana di queste ore. Iraniani e russi sono terrorizzati dalla prospettiva che le migliaia di centro-asiatici che oggi combattono tra Afghanistan e Pakistan tornino a portare il caos in casa loro. Occorrerà quindi confrontarsi con i mutui sospetti degli uni verso gli altri. Ma per questo serve un "pacchetto", non si può sperare di arrivare alla pace mentre la Russia e l'India continuano ad armare i loro rispettivi clienti in Afghanistan. E non puoi chiedere a Mosca di smettere di fornire armi ai suoi o agli iraniani di non armare gli sciiti pakistani senza una soluzione complessiva. Una cosa difficile, forse impossibile da raggiungere, ma bisognerà provare".
Un primo passo, per gli Usa è quello di cominciare a trattare con i talebani. "C'è un nucleo della leadership - quella che ha accolto e protetto Osama - che non è assolutamente disponibile a trattare. Molti talebani, però, combattono per ragioni non religiose: per fedeltà al clan o alla famiglia, perché gli americani hanno bombardato il loro villaggio o ucciso un parente. Questa gente non è necessariamente legata all'ideologia della jihad globale. Combatte perché arrabbiata. Con questa gente si può e deve parlare. C'è chi lo fa già: gli italiani ad Herat o gli olandesi nell'Uruzgan. Occorre dividere il fronte e isolare la parte più estrema, dimostrare che non ci sono alternative al negoziato. Gli Usa devono farsi un'idea di come raggiungere questo risultato. Oggi non ce l'hanno. Se domani un comandante talebano si arrendesse finirebbe a Guantanamo. Serve un'amnistia generale, rieducazione, aiuto a ritornare ai villaggi, serve che a chi lascia le armi venga data una formazione. Insomma, serve un piano. Compito degli americani è averne uno".
L'altro grande problema è la politica pakistana: "C'è tensione tra la nuova leadership politica e l'esercito. Su questo non ci sono dubbi. Certamente, se vogliono davvero impegnarsi a combattere l'insurrezione armata delle regioni di confine, dovranno unire gli sforzi. Ma non lo faranno per conto loro. Stati Uniti ed Europa ci dovranno lavorare".
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27 novembre 2008
L'India e Al Qaida
Il New York Times è tra i primi a sostenere che Al Qaida non sia implicato nell'attentato di Mumbai. O meglio: ritiene molto improbabile un suo coinvolgimento. Un attentato di quel tipo ha ripercussioni su tutta l'area; è una tragica abitudine per l'India (in altri casi la cifra delle vittime è stata anche più drammatica) ma l'onda di instabilità che questi eventi portano con sé preoccupa in modo particolare: per dove è stato compiuto l'attentato, per come è stato compiuto. Da chi esattamente?
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26 novembre 2008
Inquietudini liberal
Addio alla Rubinomics con i protegé di Rubin. E' possibile? Le parole dicono di sì, i fatti non sappiamo. Obama si difende dalle critiche che gli piovono da "sinistra" dicendo che sarà lui, in persona, a garantire il cambiamento. Riporta Politico:
Obama referred to his team of advisers as "fresh thinking," adding that the “vision for change comes first and foremost…from me.” (...) “That's my job, is to provide a vision in terms of where we are going and to make sure, then, that my team is implementing it,” he said. “I think that when you ultimately look at what this advisory board looks like, you'll say this is a cross-section of opinion that in some ways reinforces conventional wisdom, in some ways breaks with orthodoxy in all sorts of ways.”
Una carrellata di dubbi, quelli che invece credono che sia "la corte a fare il re" (la battuta è di Vladimir Putin, ma era stata usata per Bush): Robert Borosage su Huffington Post; una rassegna di giudizi anche da Marco Polo, dove si esprime giusta preoccupazione su Christina Romer (la più a destra della nuova comitiva); David Corn su Mother Jones parla di Larry Summers.
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Etichette: amministrazione Obama, economia
24 novembre 2008
Agire subito, per il deficit si vedrà. Obama dice addio alla Rubinomics
Sembra proprio che il pareggio di bilancio sia scomparso dall'agenda. Che i democratici (ma c'è anche il governo laburista britannico, che ieri ha presentato una finanziaria di spesa e indebitamento) abbiano deciso che sia giunta l'ora di non pensare al deficit ereditato ma di spendere per rilanciare l'economia, adesso e prgettare il futuro. Ieri presentanto la sua squadra economica, una task force che lavorerà da oggi a un piano d'emergenza e di lungo periodo, Barack Obama sembra proprio aver detto questo. Il team sarà composto da Timothy Geithner, futuro Segretario del Tesoro della sua amministrazione, Larry Summers futuro direttore del Consiglio economico nazionale, Christina Romer, presidente del suo Consiglio economico e di Melody Barnes, direttore del Consiglio di politica interna. Quest'ultima carica non è direttamente economica, ma il fatto che Barnes sia nel team indica un'idea molto rooseveltiana. Nel complesso Ecco la conferenza stampa del futuro presidente dalla Msnbc. Obama ha avuto anche parole per l'industria dell'auto: che va salvata ma deve presentare idee su un futuro sostenibile (in senso ecologico).
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Etichette: crisi economica, Obama
La politica estera di Obama
Sarà molto pragmatica, per nulla innovativa e in continuità con gli ultimi due anni dell'ammini- strazione Bush (che erano già in discontinuità con quelli della follia neoconservatrice del primo mandato). Si tratterà di gestione attenta delle crisi, forse solo sull'Africa possiamo aspettarci qualcosa di diverso. Parentesi: la priorità sarà il lavoro e Wall Street. Salvare capra e cavoli, i propri elettori e i propri finanziatori, per essere brutali. Ci riuscirà? Dovrà buttare qualcuno dalla torre? Riconquisterà la fiducia del mondo verso l'economia americana o preferirà una buona dose di protezionismo? Potrà permettersela, visto il legame finanziario che lo lega alla Cina? Anche questa è politica estera..
Insomma, il primo obiettivo è che l'Afghanistan e l'Iraq non scoppino definitivamente; in Afghanistan ci saranno le elezioni politiche il prossimo anno. Per le elezioni del 2012 (alle quali Obama starà già pensando come qualsiasi presidente al primo mandato) anche l'Afghanistan deve apparire più tranquillo, ma per gli americani c'è anche il rischio di rimanere invischiati ancora di più. Insomma: gestione della crisi senza colpi di testa, ne' "umanitari", ne' di altro tipo. Vi aspettavate di più? Obama non è un pacifista. Molto utile l'analisi del New Yorker (fin troppo positiva, forse) a proposito della probabile scelta di Obama per il posto di National Security Adviser, il Generale James Jones. La lettura è istruttiva.
Pubblicato da America2008 alle 09:55 1 commenti
Etichette: politica estera
23 novembre 2008
L'economia e Obama. Il lavoro è il tema del primo mandato
Sappiamo che Obama presenterà un piano contro la disoccupazione che, evidentemente, è il primo punto della sua agenda presidenziale (al netto, sempre, di drammatici e incalcolabili eventi). Si chiamerà Economic Recovery Plan e avrà come centro propulsivo, ovviamente, la Casa bianca. Il governo sceglie dei settori dove investire e favorire investimenti privati: infrastrutture, scuole, economia verde, automobili più moderne che non utilizzino il petrolio
We’ll put people back to work rebuilding our crumbling roads and bridges, modernizing schools that are failing our children, and building wind farms and solar panels; fuel-efficient cars and the alternative energy technologies that can free us from our dependence on foreign oil and keep our economy competitive in the years ahead.
Queste righe sono la sintesi di un piano di sviluppo economico ancora da svelare completamente, a quante pare almeno 300 miliardi di dollari subito (forse il doppio, e vanno comprese le riduzioni delle tasse per salari bassi e middle class). Certo, una bella differenza con la "ownership society" di Bush o altre idee liberali e liberiste dal sapore ormai naif. Obama dice che creerà 2 milioni e mezzo di posti di lavoro, ma noi italiani abbiamo pessimi ricordi in fatto di promesse del genere.
Ma insomma, dove va questo Obama? Nella discussione su Obama "che governerà dal centro" dobbiamo considerare: 1) il centro si è spostato a sinistra; 2) la Right Nation è ormai culturalmente minoritaria e consumata, e questo in economia conta. Obama è un pragmatico, uno piuttosto furbo e prudente. Per esempio, pare potrebbe non cancellare la legge di Bush sui tagli alle tasse (per i ricchi), lasciandola andare a conclusione nel 2011, quando scadranno. Così potrebbe fare un bel po' di compromessi con la base parlamentare repubblicana. Le domande ora sono: quanto è veramente ambizioso? per cosa vuole passare alla storia? Forse c'è ancora molto da aspettare, e i segnali vanno cercati anche in piccole notizie. Una su tutte: Obama ha promesso di creare un White House office per le politiche urbane. E' una novità da seguire con attenzione.
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22 novembre 2008
Altre probabili nomine
Di Janet Napolitano, governatore dell'Arizona, alla Homeland security si dice da giorni. Scelta assennata, Napolitano ha gestito la frontiera più calda, è nuova, è donna, piace alle associazioni più grandi per i diritti dei migranti e alle reti nazionali di latinos (abbiamo ricevuto un paio di comunicati stampa questa mattina). Forse Bill Richardson andrà al commercio. Una scelta buona anche questa: il Segretario al commercio ha un ruolo cruciale in politica estera, tratta con i Paesi difficili - Cina, India, Brasile - sui temi attorno ai quali c'è tensione (con l'Asia il contrasto è commerciale, non geopolitico). Richardson è un diplomatico esperto, un grande mediatore ed è latino: un Nafta, più equo, per l'America latina tutta?
Quanto alla scelta più importante, quella che sembra fatta di Tim Geithner al Tesoro...boh. Il prescelto ricopre quel posto nello Stato di New York, ovvero è stato nell'occhio del ciclone in questi mesi. Garantisce una transizione senza scossoni. Ma che idee ha? Ecco un suo ritratto. Nei prossimi giorni o ore, cercheremo meglio.
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Perché Hillary? Qualche risposta (e molte domande)
La discussione su Hillary Clinton va avanti da una settimana. Sembra di essere tornati ai giorni delle primarie. Chi la odia, chi la ama, chi non capisce. Noi siamo più o meno tra questi. Una spiegazione buona è quella della necessità di costruire un'amministrazione mostruosamente solida per provare a ridefinire l'America del XXI secolo. Una cattiva è che per farsi eleggere Obama ha fatto troppi accordi e oggi paga le cambiali. La verità sarà nel mezzo. Certo, senza Clinton e con un paio di suoi uomini al posto dela senatrice e di se stesso, il Senato sarà più facile da gestire. Nei giorni scorsi sono stati usati fiumi di inchiostro, vediamo i commenti di oggi. Cominciamo con le notizie dal Washington Post: il senso è, per la politica estera un'amministrazione centrista e pragmatica. Di solito in America, sono queste quelle che hanno funzionato. Di questi tempi pragmatismo dovrebbe essere dialogo, diplomazia, nuovi rapporti con le grandi potenze emergenti. Vedremo.
Ecco una spiegazione elogiativa da Time: c'è lo stile Lincoln dietro alla scelta. Addio alle divisioni, in tempi bui come questi. Non è d'accordo il Times di Londra, che come gli inglesi, è più cinico e ci ricorda che i Clinton non sono esattamente oggetti poco ingombranti. Averli nell'amministrazione farà ombra al presidente? Michael Tomasky del Guardian, evidentemente deluso, ci ricorda che uno dei temi principali di scontro tra Obama e Clinton fu proprio la politica estera. Il Washington Independent si chiede: chi piazzerà Hillary nei posti chiave? Costruirà una sua casamatta o lavorerà per l'amministrazione? Ecco un Tom Engelhardt sdegnato (da The Nation). John Nichols, dallo stesso sito esprime qualcosa di simile al nostro punto di vista: Clinton è esperta, capace, conosciuta e rispettata dai leaders del mondo, ma né lei, né Obama devono dimenticare chi ha avuto il mandato a governare e perché. E' Obama ad aver vinto, non Hillary e non John McCain.
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A noi piaceva lui
Bill Richardson, governatore del New Mexico, era uno dei papabili per il Dipartimento di Stato. Dovrebbe finire al commercio. riguardatevi questi spot delle primarie democratiche (nelle quali era candidato): molto divertenti.
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Come Prodi e D'Alema
Ok, un titolo così non si fa per scaramanzia. Però la politica americana è molto più gerarchica, e il presidente è veramente anche il capo del partito (vedi il post qui sotto). Debolezza o forza di Obama nella scelta di Hillary Clinton? Sono le solite domande che riguardano Obama: scaltrezza, pragmatismo o cosa? Più tardi un po' di rassegna sul tema.
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21 novembre 2008
Il partito di Obama
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20 novembre 2008
Forse serve la "Quarta Via"
L'articolo lo consigliamo anche al nostro PD che, l'abbiamo sentito di persona qualche giorno fa, promette per uscire dalla crisi meno tasse e meno spesa pubblica. Auguri.
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Come prendere la vittoria di Obama in Italia - consiglio ai navigatori
Lo avevate già visto? Non importa
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19 novembre 2008
Ambiente, Paulson e Detroit. Di questo si discute
1. I democratici sono furiosi con il Segretario del Tesoro Paulson che non sta rispettando i patti. Incassati i 700 miliardi da spendere, Paulson si sta adoperando per salvare le banche (la sua lobby, quella da dove viene) e non sta rispondendo alle richieste di investire anche in salvataggio dei mutui, delle case automobilistiche. In più fa tutto con poca trasparenza. Quando tutto sarà finito - ovvero dopo il 20 gennaio - ne scopriremo delle belle, c'è da starne sicuri. Ecco la cronaca dell'audizione di Paulson in Congresso dal Washington Post.
2. L'amministrazione Bush sta provedendo a lasciare più guai possibili e a fare qualche altro danno. Di ieri la notizia di assunzioni di decine di dirigenti politici passati a posti di alto funzionariato. Da giorni si parla delle modifiche a una serie di normative ambientali per abbassare i limiti di inquinamento imposti dalla legge. Se le norme resteranno così sarà più facile aprire nuove miniere, trivellare, costruire strade nei parchi e, da ieri, anche inquinare l'aria. L'Epa, l'agenzia per l'ambiente di questo si sta occupando in questi giorni. Nonostantele proteste dei suoi funzionari locali. Ecco la cronaca del Post. Allo stesso tempo - e per fortuna - ieri Barack Obama, durante una conferenza con governatori di entrambi i partiti promossa da quello della California Schwarzenegger ha avvisato che l'ambiente resta la sua priorità. Crisi o non crisi. Dal Congresso, i repubblicani avvisano che faranno un'opposizione durissima a restrizioni eccessive.
3. Detroit: i capi dell'industria automobilistica Usa davanti al Congresso (sulla pagine del NYT anche i video dell'audizione) e la governatrice del disastrato Michigan chiedono che lo Stato presti 25 miliardi. Non sembrano essere riusciti a ottenerli in breve tempo. In molti sostengono che sarebbe una scelta sbagliata e che è meglio far fallire le big three (GM, Ford e Chrysler) per riaprirle e rilanciarle su basi nuove. Le opinioni sono bi partisan, l'ultima contro è di Mitt Romney, che dopo la sconfitta di McCain sta giocando molte carte per prendere la testa del suo partito (sta spendendo anche molto in Georgia per aiutare la corsa senatoriale ancora aperta). Qui il suo articolo: Fatele fallire, dal NYT.
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Etichette: agenda, crisi economica, economia
Carriera finita per Ted Stevens. Democratici a quota 58 in Senato
Il nuovo conteggio dei voti in Alaska ha determinato la vittoria di Mark Begich, sindaco di Anchorage, Alaska, sul vecchio bandito Ted Steven. Appena condannato per corruzione, si era ripresentato e ce l'aveva quasi fatta. Stevens, ma ce ne sono altri, su entrambi i fronti, è quanto di più simile ci sia nella politica americana ai nostri re delle preferenze. Gente radicata su territori marginali, potente, corrotta e capace di far piovere soldi sul proprio collegio. Stavolta ha perso, era ora. Ecco il quadro di The Nation sulla maggioranza democratica al Senato. Con due seggi ancora in ballo (recount in Minnesota, dove l'ex comico Al Franken ce la potrebbe fare e nuovo voto in Georgia, dove quando un candidato non supera il 50% si va al secondo turno), teoricamente c'è la possibilità di superare i 60 voti e rendere la maggioranza a prova di filibuster (il nostro ostruzionismo). Molto improbabile, a dire il vero.
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Etichette: Congresso
Ancora Clinton e poi un procuratore generale afroamericano
La notizia è che Hillary Clinton potrebbe decidere di non accettare il posto da Segretario di Stato. La senatrice di New York sembra propendere per l'idea di rimanere al suo posto e lavorare alla riforma della Sanità e di altre questioni interne. Così raccontano degli anonimi del Clinton camp a Politico (stessa frase la ripete il New York Times). Il leone dem, Ted Kennedy, è il presidente della commissione Sanità ed è tornato al lavoro. Ma quanto durerà ancora? E poi, lavorare agli esteri è un posto di grande onore ma non al centro della bufera. Almeno di qui a un paio d'anni, quando la crisi profonda nella quale gli Usa sono precipitati passerà. Oppure, come spiega Politico, l'idea è quella di mostrare che il posto non le interessa perché ha paura che non le venga dato. E poi ci sono i mal di pancia della campagna Obama: "Questa gente non ha lavorato 18 mesi per consegnare il governo ai Clinton" è una frase riportata da Politico.
L'altra notizia quasi certa è che Eric Holder jr. sarà l'attorney general, il ministro della Giustizia. Ha fatto il vice negli anni di Clinton, è afroamericano - sarebbe il primo - e considerato una figura di prestigio. Anche per lui, dicono dal transition team, le cose non sono fatte. Sia Clinton che Holder non erano i nomi che circolavano all'inizio. Continuiamo ad aspettarci sorprese.
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18 novembre 2008
I temi del giorno (Hillary, McCain e GM)
1. Che presidenza sarà quella Obama? L'incontro con John McCain ci dice qualcosa. "Hanno parlato di come portare il cambiamento a Washington" hanno detto i collaboratori. Overo: McCain avrà una chance di tornare thre real McCain, lo scavezzacollo del suo partito, uno che pensa con la testa sua - continuando forse a litigare ferocemente con Obama sulla sicurezza e la guerra. Obama avrà spesso un voto influente in Senato e mostra, prima ancora di assumere la presidenza, di voler essere uno che unifica il Paese (prima Clinton, poi McCain). Entrambi hanno da guadagnarci, se poi il repubblicano, d'accordo con il presidente, introducesse nuovi strumenti di controllo e regole di funzionamento del Congresso, avrebbe da guadagnarci anche a democrazia americana.
2. Che fine farà Hillary Clinton? La stanno bruciando? Si dice che gli interessi del marito potrebbero portare alla perdita della poltrona da Segretario di Stato. Sarebbe un colpo, ma nessuno sa cosa si sono detti, che altre opzioni ci sono e che tipo di accordo c'è tra Obama e la senatrice. The Guardian sostiene che il posto è quasi suo.
3. Dove va General Motors? Il Congresso darà soldi anche all'industria dell'auto? Forse si, ma, come riporta il NYT, sia il management dell'ex gigante di Detroit che i sindacati si prenderanno parecchie bastonate. La dirigenza perché ha puntato tutto sui SUV con una miopia degna di Mr Magoo - ma a differenza del personaggio dei cartoni, che si salva sempre per caso, sta precipitando dal grattacielo nel quale lavora - i sindacati perché non hanno rinegoziato dei contratti eccessivamente buoni in tempi in cui il tracollo era alle porte: Chi è rimasto a GM, Ford e Chrysler guadagna di più e ha più garanzie di qualsiasi altro operaio americano, Toyota e Hyundai aprono fabbriche lontano da Detroit e ringraziano.
4. Qualche articolo da leggere per chi ha tempo: Noam Scheiber su The New Republic scrive dei pro e contro di aver fatto scelte inaspettate per alcuni posti chiave (Emmanuel è l'esempio chiave). A Obama piace chi lo contesta francamente, la cosa lo aiuterebbe a vagliare le scelte a fondo. Ma questi non sono anche la vecchia Washington? Richard Cohen sul Post spinge per una presidenza roosveltiana. Mentre EJ Dionne si chiede, su Tnr e Wp dova stia andando il Grand Old Party. Che sta facendo George W? Riscrivendo più regole possibili e facendolo in modo da rendere difficile ogni modifica. Ecco un commento del New Yorker.
Pubblicato da America2008 alle 07:23 0 commenti
17 novembre 2008
Grand Old Party, quanto è buia la notte?
In due anni hanno perso la Casa Bianca, il Senato, la Camera e molti governatori. E quel che è peggio, non sembrano avere un'idea di dove andare e perché. Il partito repubblicano si è riunito nel fine settimana per discutere. A parlare sono stati i governatori, l'unica cosa rimasta al partito. C'è chi ha negato i problemi, chi ha ripetuto che le cose non sarebbero potute andare altrimenti per colpa della crisi economica e dell'impopolarità di Bush. E poi c'è chi, come il governatore del Minnesota Tim Pawlenty che ha messo qualche po' di sale sulle ferite. La tesi del governatore è che oggi il GOP è un partito regionale: il Sud, compresi i grandi Texas e Arizona e qualche Stato spopolato del West. Poi il nulla. Senza competere nel Nord non abbiamo possibilità, ha detto. Pawlenty non chiede una svolta a destra ma di adeguare il partito ai cambiamenti del Paese, dare risposte concrete ai problemi e smetterla con la guerra di religione. Sarà interessante capire chi e come resisterà a questa ipotersi di modernizzazione. E sarà altrettanto interessante capire come, un partito che in alcuni Stati pesa ed esiste perché sostenuto dal peggio della destra razzista (a Sud) o dall'estremimo religioso riuscirà a fare a meno di quel sostegno e di quelle parole d'ordine. Ecco un riassunto della riunione da Politico e quella del New York Times. La prima mette l'accento sui riformisti, la seconda parla di partito diviso tra tradizionalisti - torniamo ai nostri valoti - e innovatori. Da Washington Times, quotidiano di destra, forse legato al reverendo Moon (ma potrei ricordare male), un'esclusiva su Eric Cantor futuro leader alla Camera dei repubblicani, che sostiene più o meno le idee del governatore del Minnesota e definisce "irrilevante" il suo partito, che, sostiene, non fa altro che enunciare principi senza fornire soluzioni. E' evidente che tutti pensano a David Cameron. Ma i tories non avevano un fardello ideologico culturale come quello del GOP, erano solo anti tasse e anti governo.
Pubblicato da America2008 alle 15:32 0 commenti
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Le guerre di Obama/2
La questione più che altro sarà: di fronte a problemi nuovi e di inaudita portata, quanto cambierà il paradigma della politica estera americana? Noi crediamo in realtà non molto, ma il dibattito è aperto.
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16 novembre 2008
La guerra di Obama?
Pubblicato da America2008 alle 11:26 1 commenti
Etichette: Pakistan, politica estera
15 novembre 2008
Hillary, Al e l'amministrazione corazzata
Sembra che Obama stia per imbarcare Hillary Clinton. Sembra che Al Gore sarà uno zar ambientale - e questo da qualche parte, qualche mese fa, dobbiamo averlo scritto. I nomi che si fanno non sono delle novità clamorose, ma sono di una forza impressionante dal punto di vista politico e della competenza. Obama avrà giganteschi problemi da affrontare, il presidente è lui e, per come funziona il sistema politico americano, è lui che comanda. Mandare un segnale di forza e unità dell'amministrazione e imbarcare tante competenze può essere un rischio politico, ma anche una grande trovata sia in termini simbolici che pratici. Se Hillary verrà usata per la politica estera come le fonti giornalistiche informate fanno supporre, potrebbe non essere una scelta fantastica. Michael Tomasky spiega molto bene perché: il rapporto con il presidente, che dovrebbe essere cristallino e non lo sarebbe, la scarsa capacità di Hillary di gestire il personale, che sembra essere cosa vitale al Dipartimento di Stato. Tomasky sostiene anche che la voce potrebbe essere esagerata dai clintoniani del transition team. Politico vede invece in Clinton un valore aggiunto: lascerebbe tempo a Obama per l'agenda interna e mostrerebbe il suo aspetto non conflittuale (imbarca la rivale). New York Times spiega che Clinton sa di non poter diventare capo della commissione Sanità del Senato fino a quando non morirà Ted Kennedy. Ecco sette buone domande su Clinton ministro degli Esteri da The New Republic. Se dovessimo scegliere noi, forse nomineremmo Bill Richardson, esperto, ispanico (ci sarà da lavorare con l'America Latina no?), grande mediatore e sostenitore a sorpresa di Obama.
Al Gore è popolare a sinistra, ha avuto idee - l'autostrada informatica era roba sua, non di Bill, e qualche cambiamento nella vita di tutti e ciascuno l'ha portato - sono anni che lavora su quello che sarà il tema dei temi per questa amministrazione. John Nichols di The Nation racconta che Joe Corzine, governatore del New Jersey ed ex senatore, potrebbe fare il Segretario al Tesoro, sarebbe qualificato e rappresenterebbe una rottura e una sorpresa sul terreno più delicato.
Sarà un'amministrazione clintoniana? Bah, è un'illusione dei soliti corrispondenti italiani che hanno ancora il cellulare di Podesta e sono felici dell'idea. Clinton, sarà bene ricordarlo, venne eletto con una piattaforma e cambiò sotto i colpi dell'assalto vincente repubblicano. Stavolta, non sembrano esserci i presupposti per una piccola rivoluzione conservatrice alla Gingrich. Serve però produrre risultati da day one.
Pubblicato da America2008 alle 06:50 0 commenti
13 novembre 2008
I democratici e la crisi
Questo post è una piccola antologia delle opere di Alessandro Coppola, nostro "corrispondente" da Baltimora e dai disastri sociali americani. Partiamo dalla geografia: Obama ha vinto anche nel Midwest e nella "cintura della ruggine" della deindustrializzazione. Si diceva che gli operai non avrebbero mai digerito un candidato nero e "intellettuale". Forse da questo viaggio nel Midwest si capisce perchè non è andata così. La sintesi del programma ufficiale del partito democratico (americano) è una cosa che va letta perchè da l'idea del cambiamento di paradigma che c'è stato soprattutto sui temi economici e sociali. Sembra che se ne stiano accorgendo anche i democratici nostrani, quelli dello "shock riformista" - sù, smettetela di ridere. Perchè da ridere non c'è proprio nulla, la situazione economica americana è proprio nera ma nel terzo articolo capiamo perchè la crisi dell'industria automobilistica potrebbe diventare un'opportunità gigantesca per una riconversione ecologica dell'economia.
Pubblicato da America2008 alle 18:44 0 commenti
Etichette: economia, partito democratico
12 novembre 2008
Plouffe al posto di Dean??
Howard Dean sta per lasciare la testa del Dnc, a chi il posto? Huffington e Mother Jones pensano al campaign manager della campagna Obama, David Plouffe. Magari con la faccia televisiva alla senatrice McCaskill, tra i primi sostenitori di Obama.
Pubblicato da America2008 alle 17:55 0 commenti
Nei panni del presidente
Ecco il giochino del Nyt, scegliete tra i nomi disponibili per gli incarichi chiave nell'amministrazione, scoprite chi vince e leggete le bio. Oddly enough, Richardson, ex candidato, sostenitore della seconda ora di Obama e grande esperto di diplomazia è in testa per la Segreteria di Stato. E se tutte le prvisioni dei pandits e i nomi che circolano fossero sbagliati (in effetti il Nyt, che qualche cosa saprà, mette nell'elenco gente non sentita). Un altro esempio interessante? Wesley Clark alla Difesa.
Pubblicato da America2008 alle 06:32 1 commenti
Il ritorno di Reagan e quello di McCain
Michael Reagan è il figlio di Ronald, ha una trasmissione radio e da ieri ha lanciato un sito, Reaganaction.com, dove delira del ritrono della Reagan era e chiede soldi. La lettera sul sito si apre con: L'America ha eletto il primo presidente socialista. La colpa è di Bush e dei repubblicani che hanno nominato John McCain. I democratici hanno condotto una campagna bugiarda, i moderati repubblicani (che Michael chiama liberal) che hanno provato a uccidere il partito, e così via. L'idea è quella di raccogliere fondi per una crociata conservatrice. Se è questo lo stato del G.O.P. prepariamoci a tanto odio e molte sconfitte (per lo stesso partito repubblicano). Lo scontro tra moderati e ala dura è aperto.
Dal canto suo, John McCain è sereno e felice che l'incubo sia finito. Ieri notte era al Jay Leno show, dove si è divertito, a parlato bene di Sarah Palin e dei governatori giovani (Bobby Jindal, indiano della Louisiana, Tim Pawlenty del Minnesota) ed escluso che tornerà a correre (è ora di una nuova generazione). McCain sembra aver capito, probabilmente è l'unico. Intanto sta già facendo campagna in Georgia, dove per il seggio al Senato si vota al secondo turno. Non avrebbe vinto comunque, ma se avesse fatto la sua campagna, il senatore dell'Arizona, si sarebbe divertito di più.
Pubblicato da America2008 alle 06:06 0 commenti
11 novembre 2008
Obama nel Grande Medio Oriente
Pubblicato da America2008 alle 09:05 3 commenti
Etichette: crisi economica, maccheroni, politica estera
10 novembre 2008
Gli parla come se potesse capire.. proprio un brav'uomo
Pubblicato da America2008 alle 21:13 1 commenti
Diamo a Larry quel che è di Larry
In questo post avevamo segnalato la previsione del politologo americano Larry Sabato rispetto all'attribuzione di "grandi elettori" per i due candidati: ha sbagliato di uno solo (non aveva previsto la conquista di un "seggio" del Nebraska, dove l'attribuzione avviene in modo proporzionale. Finezze). A Larry Sabato il premio "America2008".
In realtà Sabato, in questa pagina del suo "Crystal Ball", ci tiene a riproporre un articolo che noi avevamo segnalato a luglio che testimonia l'accuratezza della sua analisi, non solo in termini di sondaggi, ma anche di comprensione del sommovimento sociale, culturale e demografico che attraversa gll Stati uniti oggi. L'articolo era firmato assieme ad Alan Abramowitz e Thomas Mann della Brookings Institution.
Pubblicato da America2008 alle 13:19 0 commenti
Dati elettorali/1 - i bianchi e le città
Da oggi pillole di dati di riepilogo: informazioni brevissime per tenere a mente cosa è accaduto in queste elezioni, e quindi ragionare sui margini di tenuta della coalizione democratica nel prossimo futuro.
Tra l'elettorato bianco delle città Obama ha preso il 9% di voti in più rispetto al Kerry del 2004, rendendo il blu dei centri urbani ancora più blu. In questa chiave si legge la vittoria in Nevada e Colorado, dove Las Vegas e Denver sono divenute la base elettorale del nuovo presidente. Lo stesso vale per la Pennsylvania: la strategia repubblicana di "infiltrarsi" in uno stato democratico ha avuto qualche esito nelle zone rurali, ma è stata resa vana dalle performance di Obama a Filadelfia. 82 milioni di americani vivono in aree urbane che superano i 100 mila abitanti, contro i 6o delle aree rurali; della suburbia parleremo più in là.
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Etichette: statistiche
9 novembre 2008
Continuavano a chiamarli media
La Rai ha commentato con La Russa e Fassino la notte elettorale, Repubblica ha titolato l'America cambia pelle, Corriere e Repubblica hanno aperto il giornale e riempito pagine su due complotti due per uccidere Obama. Non vi bastava? Da stamattina (ieri per chi legge, ora non sarà più la) il sito di La Repubblica apre con il titolo: "al Qaeda minaccia gli Usa". La notizia parla di un nastro che sostiene che l'organizzazione terroristica sta preparando un attentato peggiore dell'11 settembre. Preoccupato - umanamente e professionalmente, oggi non ho lavorato - cerco di capire e cerco. Sul New York Times nulla, almeno non tra i titoli. Sul sito della Bbc una notizia c'é. E' abbastanza in disparte, ma c'è. Il titolo? Il messaggio morbido di al Qaeda. In sostanza c'è scritto che al Qaeda apre a una qualche forma di trattativa con un nastro. Poi parla di diversi siti islamisti e di toni diversi. La minaccia? Non c'è. Nemmeno su Cnn. Leggete pure, giudicate voi.
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8 novembre 2008
Dopo la prima uscita
Sul sito del New Yorker un bel commento di George Packer: è ora che gli Obamas si mettano in testa che parlare con i media è bene, che controllare il messaggio nella maniera ossessiva in cui lo hanno fatto in questi mesi è male. Packer ha ragione, il livello di interlocuzione delle campagne presidenziali (e di quelle delle primarie) era basso: Biden ha tenuto una conferenza stampa, Palin nessuna. La stampa al seguito, affascinata dal candidato, era una legione di adoratori e gli altri non avevano granché accesso, specie dopo che la nomination è apparsa cosa fattibile. Chi scrive - che scrive per un giornale sfigato e straniero - ha avuto accesso a una sala stampa una volta sola. Conferenze stampa? Forget about it. Il problema non è il candidato ma il personale adorante. E' pericoloso, non fa bene al futuro presidente. Se la corte ti racconta che va tutto bene, non ti accorgi quando la luna di miele è finita.
Su The Nation, un'analisi di Nicolas Von Hoffman, la prima frase è, Obama distruggerà il partito democratico o questo distruggerà lui. Che vuol dire? Che i meccanismi di Washington triturano e che i giochi tra Congresso e Casa Bianca impediscono l'approvazione di riforme efficaci (spesso nelel leggi con un titolo x sono previste spese per titoli w, y, z). Von Hoffman suggerisce si andarci giù pesante e di usare la base che lo ha sostenuto come strumento contro il Congresso. Può essere un'opzione interessante, ma attenzione, la legione degli adoratori contro il Congresso è un rischio - salvo mettere in moto delle dinamiche organizzative diverse, tipo MoveOn, più staccate dalla campana stessa.
Pubblicato da America2008 alle 18:25 0 commenti
Etichette: diario, Obama, partito democratico, propaganda
Tutti ne parlano: la lista dei 30 obamiani
Pubblicato da America2008 alle 11:25 0 commenti
Etichette: Presidenza
Interpretare la storia per fare la storia
La chiamano storia del presente, e con essa si cimenta Michael Lind, intellettuale della New America Foundation. L'America si nutre di miti e nel 2008 si confronta con quello della fenice, rinascendo nuovamente dalle ceneri. Mentre Harold Meyerson, ancora una volta, spiega con sintesi ed efficacia perché potremmo trovarci di fronte alla nascita di una coalizione democratica che potrebbe durare, Lind evoca cambiamenti ancora più epocali.
Invece di utilizzare una periodizzazione tipica degli scienziati politici - l'America avrebbe visto l'avvicendarsi di periodi di dominio elettorale di un partito sull'altro lunghi all'incirca trent'anni - Lind fa ricorso all'immagine delle "repubbliche" americane, alla francese. A Parigi sono alla quinta, l'America è all'alba della quarta. Si lega a due importanti studiosi americani, Bruce Ackerman e Ted Lowi, e intreccia fattori istituzionali con fattori economici e di sviluppo. La lettura è interessante, un assaggio - supponiamo - di un lavoro ben più articolato.
Il dubbio? Che questa storia del presente così attenta a parlare di una nuova era stia svolgendo anch'essa una funzione politica e simbolica: ricordarci che l'America rinasce per riconquistare di nuovo la leadership globale, a partire dal rinnovamento delle sue istituzioni e del suo tessuto produttivo.
Pubblicato da America2008 alle 10:57 1 commenti
Etichette: Presidenza
La prima uscita: l'intervento pubblico non è più tabù
Barack Obama ha tenuto la sua prima conferenza stampa dopo la vittoria elettorale. Poco più di un quarto d'ora. Il messaggio è: ci stiamo occupando di voi. Ieri una nuova serie di dati sull'occupazione, le vendite di auto e i bilanci di big three (Gm, Ford e Chrysler) hanno gettato nel panico il Paese. Obama si è riunito con i suoi consiglieri economici ed è uscito ripetendo che serve un intervento immediato ("Se non vorranno approvarlo adesso, sarà la prima cosa che farò"). Sussidi, aiuto agli enti locali e ai piccoli imprenditori - una costituency che non è la sua, quella dei Joe the Plumber, almeno in teoria. I suoi lavorano a un piano generale, quello di lungo periodo.
Nessuna novità clamorosa, solo un tentativo di dire a Bush: se vuoi facciamo assieme, altrimenti faremo noi. Non ci saranno trattative vere, sembra di capire. La vulgata è cambiata, il presidente spiega che bisogna intervenire in economia. Non è il socialismo, è il ritorno del buon senso.
Obama era un po' teso e stanco. Non un grande performer. L'idea sembrava, fosse quella di rassicurare e di apparire presidenziale.
Pubblicato da America2008 alle 00:19 0 commenti
7 novembre 2008
Rahm Emanuel, chief of staff: uno di Chicago, uno di Clinton e non solo..
Questa scelta è il tipico esempio di estremo e spregiu- dicato pragmatismo obamiano: uno che va bene al partito, perché Emanuel è un leader del Congresso (anche se era considerato l’anti Howard Dean, il capo del Dnc); uno che va bene a buona parte dell’establishment di Washington, perché è un clintoniano già testato e un centrista di chiara fama (aiutò Clinton a sviluppare la proposta americana sul Nafta); è uno di casa, perché è di Chicago. Ci piace? Mica tanto, quasi per niente, ma è uno che porta a termine i compiti: qui un buon profilo da Politico (il senso è: Obama non scherza, ha preso un pitbull che conosce bene Washington). La sua presenza è segno di un accordo pre-elettorale con i clintoniani? no, probabilmente ha più a che fare con l'Illinois e la comune amicizia con Axelrod.
Emanuel ha dichiarato di appoggiare Obama subito dopo la fine della corsa con Hillary, il 4 giugno: ha avuto un ruolo importantissimo nell'introdurre Obama alla corte dell'Aipac, la potente lobby filo-israeliana di Washington. Sul quotidiano israeliano Haaretz si spiega che il padre di Emanuel era membro del gruppo terrorista israeliano di destra Irgun, mentre lui ha servito nell'esercito israeliano prima della Guerra nel golfo del 1991 e poi brevemente nel 1997.
Il gioco sembra questo: un capo clintoniano con intorno gli obamiani, come nel caso del transition team, la squadra che deve guidare la transizione tra le due amministrazioni. Il capo è il fondatore del think tank Center for American Progress, John Podesta, ex Chief of Staff di Clinton. Nel suo lavoro sarà accompagnato da due obamiani di ferro di scuola Chicago, Valerie Jarrett e Pete Rouse.
Obama cercherà di miscelare il suo staff tra chi ha tenuto nelle sue mani il partito democratico per 16 anni e i suoi, quelli del “Change”. Non sarà facile e creerà tensioni, anche se all’inizio al santo di Chicago verrà abbonato tutto. Aspettiamo di vedere cosa accadrà con la scelta del National Security Advisor e del Segretario al tesoro.
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E poi dicono che sono decisivi i giovani
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Berlusconi e Obama
Di rimbalzo dal sito della Fondazione Daje la risposta di Obama alla dichiarazione di Berlusconi:
Mosca - Il presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi, si è detto stupito e irritato per il clamore suscitato nel mondo dai suoi giudizi su Barack Obama, definito “giovane, bello e abbronzato”. “Come al solito”, ha dichiarato Berlusconi, “la stampa di sinistra riporta le mie affermazioni in maniera distorta e soprattutto incompleta. Io avevo aggiunto che Obama ha il ritmo nel sangue”.
Da Chicago, lo staff di Obama getta acqua sul fuoco delle polemiche. “Anzi”, ha dichiarato il portavoce, “al presidente quel nanetto mafioso italiano che pensa solo a cantare e a correre dietro alla figa sta simpaticissimo”.
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