Beh? Come è andato il discorso di Obama? Ecco un David Brooks dal Nyt che rimanda il tono delle parole usate da Obama allo stile della politica di Chicago, pragmatica più che altrove. Brooks è spesso critico, stavolta il discorso sembra essergli piaciuto. Dal Guardian, Ahdaf Soueif ci spiega perché l'aver messo al centro la fede (le fedi) sia, per una parte dell'auditorio - donne? giovani? laici? - una grande delusione. E' la più classica delle tensioni tra realismo e idealismo: dire in faccia tutto a tutti o non dire nulla? In fondo Obama ha detto qualcosa a molti, nominato dei problemi - il tema delle donne e quello della democrazia - in forma nuova per un leader ospite in un Paese dittatoriale. Politico ci spiega che il discorso era mirato anche a spuntare le armi di Osama, smontare alcuni luoghi comuni della retorica qaedista (la basi permanenti in Iraq e Afghanistan, ad esempio).
Qui un commento “tecnico", quello dell'ex ambasciatore in Siria e Israele Edward P. Djerejian dal council on foreign relations. E qua l'articolo di Tzipi Livni sul discorso. Una opinione furiosa? Quella di Krauthammer dal Post. L'idea sembra un po' Israele non si tocca: “L'America deve smettere di dare diktat, dice Obama - spiega il columnist - e allora perché non usa la stessa tecnica con Israele?". Abraham Yehoshua sulla Stampa, spiega invece che Obama è l'amico che lui vorrebbe al fianco. Uno che, quando fai degli errori, te lo dice. Noi siamo d'accordo con lui.
5 giugno 2009
Obama al Cairo, the day after
Pubblicato da America2008 alle 17:49
Etichette: cairo, israele, Medio Oriente, Obama, politica estera
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