Mentre il mondo parla della morte di Michael Jackson, c'è un paese dell'Asia dove l'America di Obama combatte una guerra che molti ritengono già persa. Uno dei problemi è che quella guerra la sta combattendo anche il nostro paese, al costo di un milione di euro al giorno e di tante vite umane. Vale la pena di leggere l'articolo di Emanuele Giordana (Lettera 22 e Carta) che ci spiega, oltre ai costi, anche i motivi molteplici di imbarazzo: non c'è nessuna "missione di pace", non era così neanche ai tempi del governo Prodi che su questo tema ci stava perdendo le penne; gli americani non sottostanno a nessun accordo e i maggiori bombardamenti fuori bersaglio - con decine di vittime - li hanno fatti proprio nella zona sotto responsabilità italiana; noi non si capisce che missione e quali obiettivi abbiamo ma l'importante, per la sinistra di ieri come per la destra di oggi, è esserci. Insomma, la logica ottocentesca con cui partecipammo alla guerra di Crimea vale ancora per le nostre classi dirigenti. L'editorialista del Guardian Simon Jenkins parla piuttosto chiaro: quella in Afghanistan è un'escalation fin troppo simile nella sua inutilità e mortalità di quella del Vietnam. Con l'unica differenza che noi italiani in Vietnam non c'eravamo mentre lì ci siamo anche se i nostri giornali non ne parlano quasi mai. Sono più importanti le veline a destra e le regole per le primarie per il PD. Evviva.
26 giugno 2009
La guerra di Obama (ma anche la nostra)
Pubblicato da mattia toaldo alle 16:51
Etichette: Afghanistan
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