Ritirarsi dall'Iraq è un po' più difficile del previsto, e allora Barack Obama precisa meglio le sue promesse: gli USA se ne andranno dall'Iraq ma solo dopo una consultazione tra presidente e militari. Politico fa il confronto tra queste dichiarazioni e quelle precedenti: un cambiamento c'è stato e i repubblicani cominciano ad avere più di qualche argomento per sostenere che il senatore è ondivago (per gli americani: "flip-flopper"). A proposito di Iraq, Douglas Feith sul Wall Street Journal ci racconta come si arrivò alla decisione dell'attacco e quali altre opzioni vennero prese in considerazione. Interessante la tesi dell'inevitabilità della guerra visto il build-up negli anni di Clinton.
Nel frattempo si parla sempre con più insistenza di un attacco americano o israeliano all'Iran: Dana Milbank sul Washington Post oscilla tra la conferma di questi piani e l'idea che si stia solo facendo la voce grossa. Per i militari si tratterebbe di un "terzo fronte" dopo l'Iraq e l'Afghanistan dove già si soffre la sovraestensione. Normale che non ne siano entusiasti. George W. Bush e i suoi amichetti di Tel Aviv non si stancano di mandare segnali poco amichevoli agli invasati di Teheran, il New York Times mette tutto in fila e fa un po' paura. Ma la strategia USA potrebbe essere vecchia come il cucco: far pensare al nemico che c'è un "uomo pazzo" alla Casa Bianca disposto a distruggere tutto se non ci si dimostra più disponibili. Ma è ancora credibile quest' "uomo pazzo" qui?
3 luglio 2008
Una guerra ma anche un ritiro
Pubblicato da America2008 alle 22:24
Etichette: iran, iraq, Obama, politica estera
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