Ieri Obama, Netanyahu e Abu Mazen si sono incontrati negli Stati Uniti. Vi avevamo parlato in precedenza della possibilità che tra l'assemblea generale dell'Onu e il G-20 di Pittsburgh Obama pronunciasse un discorso "risolutivo" sul processo di pace. Non è stato così e non sarà così a breve. Ecco la sintesi dell'incontro fatta da Ha'aretz: Obama si è mostrato molto nervoso con le parti e ha avvertito che la "finestra di opportunità" si sta chiudendo. Forse però la strategia dell'amministrazione sta semplicemente mostrando la corda (ecco il riassunto di quanto fatto finora). Questa prevedeva da una parte di bloccare la crescita degli insediamenti israeliani e dall'altra di ottenere i primi gesti di riconoscimento da parte del mondo arabo. Obama però, dopo aver vinto le sue elezioni, ha perso alcune di quelle importanti in Medio Oriente: non solo in Iran è andata male ma anche in Israele si è formato un governo molto spostato a destra, il cui primo ministro ha basato la sua carriera politica sul rigetto dello Stato palestinese. Non c'è più il campo della pace israeliano da cui difendersi se si vuole bloccare il processo negoziale. Anzi, come fa notare l'editorialista Akiva Eldar, il quadro politico israeliano è ostile agli accordi: Netanyahu deve guardarsi dal movimento dei coloni e dall'estrema destra che sostiene il suo governo. I palestinesi, dall'altro lato, pagano un decennio di errori: la seconda intifada, la consegna di Marwan Bargouti agli israeliani, la corruzione e l'incapacità di rinnovare Fatah dopo la morte di Arafat e infine il colpo di Stato a Gaza che ha diviso in due i territori. Il cambiamento sta arrivando ora, forse troppo tardi: l'inclusione della nuova guardia nella leadership del partito nazionalista laico, la creazione (con l'aiuto americano) di forze di sicurezza efficienti e un debole progresso economico in Cisgiordania. L'unico lume di speranza in questo quadro è il progetto del primo ministro (della Cisgiordania) Fayyad che mira alla costruzione di strutture statali entro due anni. Chissà che i palestinesi non imparino dagli israeliani la politica dei fatti compiuti.
23 settembre 2009
Un vertice (quasi) fallimentare
Pubblicato da mattia toaldo alle 08:18
Etichette: israele, Medio Oriente, palestina, politica estera
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