Mentre l'America (e anche un po' il mondo) attende il discorso di stasera sulla riforma sanitaria, è bene fare il punto sulle attività dell'amministrazione sul processo di pace. E' questo uno dei pochi fronti sui quali il presidente può sperare di raggiungere qualche limitato successo che produca poi un sensibile miglioramento della posizione nella regione. Massimo Calabresi su Time ci spiega perchè Obama è così interessato a portare a casa qualche risultato: la minaccia di sanzioni contro l'Iran, nel caso piuttosto probabile che fallisca l'apertura al dialogo proposta dagli Usa, non è credibile se gli arabi filo-occidentali non la sostengono. Ma allo stesso tempo è difficile che questi paesi sostengano la politica americana se questa si dimostra inefficace nel bloccare gli insediamenti israeliani in Cisgiordania, una vera ipoteca contro qualsiasi speranza di nascita di uno Stato palestinese. Il quotidiano conservatore Jerusalem Post la vede in un'altra maniera: Obama si è alienato le simpatie del mainstream israeliano con la sua campagna contro gli insediamenti con il risultato che ora il ministro laburista (ma piuttosto guerrafondaio) Ehud Barak ha approvato una nuova ondata di costruzioni. Il fatto è, però, che l'asse si è veramente spostato negli Stati Uniti. Basta vedere l'editoriale di oggi del New York Times: un imprenditore palestinese spiega come la politica dei posti blocco israeliana abbia fermato lo sviluppo palestinese e che, nonostante quest'anno il PIL sia cresciuto del 7% (ritmi cinesi o indiani) è solo un rimbalzo momentaneo rispetto al meno 34% registrato dal 2000 in poi. Insomma, conclude l'editorialista-imprenditore, non esiste l'alternativa tra sviluppo economico e processo di pace. E' proprio per questo che sarà cruciale l'iniziativa americana che verrà pubblicizzata o durante il G-20 di Pittsburgh oppure all'assemblea dell'Onu: dalla velocità con cui procederà il processo di pace dipenderà in parte il negoziato con l'Iran e, a cascata, le possibilità di successo americano in Afpak.
9 settembre 2009
Un altro fronte difficile: il Medio Oriente
Pubblicato da mattia toaldo alle 17:22
Etichette: Afghanistan, israele, Medio Oriente, palestina, politica estera
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