Il presidente Obama ha lanciato una politica estera di "diplomatic engagement": si parla con tutti quelli con cui Bush non voleva parlare perchè la situazione è grave e bisogna uscirne in maniera realistica. Cominciano però ad affiorare dei dubbi e l'evolvere della situazione non è dei migliori. Time fa il punto della situazione di potere a Washington: Dennis Ross (di cui abbiamo già parlato qui) è l'uomo che si occupa di Iran al Dipartimento di Stato. Non è un gran fautore del dialogo vero e proprio ma solo in funzione strumentale per costruire consenso verso sanzioni più severe e, chissà, magari anche un attacco militare. Almeno così aveva dichiarato ai coniugi Leverett (leggete qui il loro articolo), due che hanno lavorato all'NSC proprio sull'Iran e che, dal loro ufficio alla New America Foundation, hanno sempre propugnato un "grande accordo" con Teheran sul modello di quello fatto da Nixon con la Cina. Secondo loro Obama non sta facendo abbastanza e il risultato sarà che gli iraniani si sentiranno messi nell'angolo e faranno saltare il tavolo. Anche Newsweek ha dei dubbi: in giro per il mondo mancano gli interlocutori mentre i nemici sono sempre più forti dalla Corea del Nord all'Iran passando per Pakistan e Afghanistan. Intanto i "cattivi" potrebbero avere la loro prima vittoria già tra qualche giorno nelle elezioni libanesi (si vota lo stesso giorno delle Europee): la coalizione tra Hizbullah e i cristiani anti-americani di Aoun è data per vincente. Anche se gli accordi di Doha obbligano tutti i concorrenti a fare un governo di unità nazionale, un maggiore peso dei fondamentalisti sciiti farebbe pendere l'ago della bilancia verso Teheran e Damasco. Gli americani hanno già fatto sapere che non è detto che gli aiuti al Paese rimangano invariati. Sarebbe un po' come ammettere la propria sconfitta.
29 maggio 2009
E se il dialogo fallisse?
Pubblicato da mattia toaldo alle 09:05
Etichette: Medio Oriente, politica estera
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