Non tanto tempo fa gli Usa ed Israele erano una coppia perfetta, altro che Silvio e Veronica. Ora le cose sono cambiate: Obama ha grandi progetti per il Medio Oriente e Netanyahu si sente trascurato. La scorsa settimana si sono visti alla Casa Bianca, avrete già letto com'è andata. Quello che conta però è il cambiamento di clima nell'establishment di politica estera: in pochi a Washington sono ancora disposti a sopportare l'eccezionalità israeliana mandando in rovina il ruolo americano nella regione. Steven Cook, del think tank bipartisan Council on Foreign Relations, spiega perchè le posizioni di Netanyahu possono far deragliare il piano di Obama: non parla ancora di Stato palestinese; vuole una scadenza per i colloqui con l'Iran, cosa che li farebbe fallire da subito; "punisce" (parole testuali) la popolazione di Gaza. Se pensate che sia troppo duro, guardate cosa dicono gli altri. Cominciamo da chi è sempre stato parecchio filo-israeliano: Martin Indyk è passato dalla lobby AIPAC al think tank bipartisan Brookings. Ora scrive che Netanyahu - sugli insediamenti e sui colloqui con la Siria - sta mettendo Obama in una posizione impossibile. Conclude piuttosto duramente: "Non è il modo di costruire una nuova relazione Israelo-Americana basata sulla pace". Richard Murphy invece faceva l'Assistente Segretario di Stato, udite udite, con l'amministrazione Reagan. Senza troppi giri di parole ha detto già alcuni mesi fa che "è inevitabile" che si parli con Hamas. E non lo dice solo lui.
27 maggio 2009
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