6 giugno 2009

Ancora su "Obama va a Maometto". Parla Daniel Levy

Daniel Levy è una delle menti brillanti della Washington di oggi. E' un giovane ma esperto ricercatore della New America Foundation, a cavallo tra America (dove vive), Europa e Israele. LE radici sono in tre luoghi diversi, e questo aiuta (qui un suo profilo). Attualmente è direttore della Prospects for Peace Initiative della The Century Foundation e direttore della Middle East Initiative della New America Foundation. Levy è stato uno dei nostri interlocutori nel nostro viaggio americano del 2008.

In questo link trovate un'analisi che noi condividiamo sul discorso di Barack Obama al Cairo. Non è il caso di cercare nelle pieghe di un discorso del genere le "prescrizioni di policy" che possano individuare il percorso che dovrebbe portare alla pace in Medio Oriente. Levy sottolinea giustamente come si tratti di un raffinato esercizio di accumulazione di capitale politico (quella che noi chiamavamo in questo post "la campagna elettorale globale di Barack Obama"), indirizzato alla costruzione di una spazio politico - quello del campo della pace - che non è scontato esista e non è scontato esista grazie all'impegno americano (abbiamo già un'icona di questo processo, l'immagine inventata da Hamas nella quale si vedono i propri miliziani che sono si a volto coperto e con il fucile, ma sono rappresentati nell'atto di ascoltare Obama).

Levy presenta 10 tesi - che vi invitiamo a leggere seguendo il link qui sopra - la prima delle quali è intitolata "The Mother of All Resets". Anche lui, come noi, sottolinea l'abilità di Obama di spiegare le "ragioni degli altri" non con fare ecumenico ma come strumento politico. Lo ha fatto spiegando il suo punto di vista - e quindi dell'America - sull'11 settembre, al fine di ricordare agli arabi cosa effettivamente abbia significato nella vita degli americani; ha mostrato piena comprensione per il senso di umiliazione che pervade le vite di milioni di palestinesi. Scrive Levy: "recalling the 60-year “pain of dislocation,” the “wait in refugee camps” (without in the same breath emasculating the refugees of any rights). He spoke of humiliation, occupation, and an intolerable situation – in other words, Palestinian daily reality".

E' una tecnica oratoria prettamente Obamiana: raccontare la vita degli altri, raccontarla anche a chi non la capisce (e lo stesso ha fatto raccontando al mondo arabo le ragioni di Israele). Quando finirà l'accumulazione di questo capitale politico osserveremo la capictà di passare dalla "politics" alle "policy", come dicono gli americani (scrive Levy: for everyone the proof of the pudding will be in the eating, what comes next and whether policy changes on specific issues). Ora però era il tempo della politica.

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