Le cose non vanno tanto bene in Afghanistan che rischia di essere per Obama quello che il Vietnam fu per Johnson secondo un articolo del Corriere della Sera che riprende il New York Times. Certo, puntare su questa guerra potrebbe non essere stata una gran furbata da parte del presidente, ma era common sense anche nei think tank progressisti come si vede da questo articolo di Korb, del Center for American Progress. Ma non finisce qui: a gennaio si potrebbe tenere un referendum in Iraq che chieda il ritiro immediato del contingente americano. Tecnicamente, il quesito proporrebbe di stracciare l'accordo sullo status delle forze americane nel paese, rendendo la loro presenza illegale. Non un bel modo di realizzare quel ritiro che il presidente aveva proposto in campagna elettorale. Infine, ma potremmo continuare, c'è l'Iran: Khamenei potrebbe non essere interessato a perseguire il dialogo sul nucleare con Washington. Gli americani tra l'altro potrebbero essere indeboliti nella loro strategia da una benevolenza russo-cinese verso Ahmadinejad combinata con la scarsa voglia degli europei di applicare le sanzioni con un loro grande partner commerciale quale l'Iran è. Su tutta la politica mediorientale di Obama aleggia lo spettro del fallimento, ma potrebbe ancora provare a venirne fuori con un primo accordo sul processo di pace che dia a tutti l'illusione che le cose stanno migliorando e che sia merito suo. Sarebbe poco, ma sarebbe già un po' meglio per lui di quanto non faccia presagire la situazione attuale.
24 agosto 2009
I grattacapi del Grande Medio Oriente
Pubblicato da mattia toaldo alle 13:55
Etichette: Afghanistan, amministrazione Obama, iran, iraq, israele, Medio Oriente
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