30 settembre 2008

Di chi è la colpa per il naufragio del Bailout (e un ricordo sul '29)

Oggi è il giorno degli insulti, dove tutti si incolpano a vicenda. Questo editorale di David Brooks, un moderato conservatore, dice che i repubblicani non capiscono più nulla e stanno seppellendo il loro partito. Se la prende anche con la leadership democratica, ma molto meno. McCain, che è davvero in difficoltà, dopo aver annunciato il voto favorevole si trova il partito di cui è attuale leader che gli vota contro, attacca Obama (?!?).
Di editoriali ce n'è decine. Ecco l'intervento di Dennis Kuchinich, tra i democratici che hanno votato contro (viene eletto a Cleveland, città più colpita dalla crisi dei subprime ed è il membro più di sinistra della Camera). Ed ecco un commento sui repubblicani da Slate. Robert Reich (Segretario al lavoro della prima amministrazione Clinton) fa la sua previsione su cosa succederà. In un suo libro sulla crisi del '29, l'economista Charles Kindelberger, famoso per la teoria della stabilità egemonica, spiegava che in quella crisi gli Stati Uniti, che di colpo scoprivano di essere il centro del mondo (prima c'era Londra), risposero senza voler prendere in mano la guida politica e senza dare risposte immediate (bisognò aspettare Roosevelt). Oggi è lo stesso per la scarsa attitudine alla leadership della classe politica Usa (e anche dei candidati). Sulla leadership globale, che gli Usa nn vogliono cedere, sono Cina e India che si rifiutano di fare passi in avanti. E di questo Washington si lamenta spesso. Forse non sapendo che il giorno che i due giganti asiatici diventeranno anche giganti politici, per gliamericani comincerà un altro mondo.

29 settembre 2008

E ora?

E' una situazione intricatissima. Per adesso i leader del Congresso si sono attivati per un secondo voto; e' difficile che i democratici (che hanno la maggioranza) proseguano senza avere la certezza che i repubblicani si impegnino per far passare il bailout. Alla Camera dei rappresentanti due terzi dei repubblicani hanno votato contro il provvedimento; tre quinti dei democratici si sono espressi a favore (nel post qui sotto l'eco del dibattito politico/ideologico che ha accompagnato il voto).

Come ricordavamo in questo post (dove segnalavamo l'intervento di Reich), senza una soluzione gli scenari sono imprevedibili: quello più fosco, la catastrofe, era stato annunciato dal capo della FED Ben Bernanke e dal Segretario al Tesoro Henry Paulson; siccome si tratta delle massime autorità economiche americane la profezia potrebbe autoavverarsi ("se lo hanno detto, sarà vero": e così si aggiunge panico al panico). Oppure verrà approvata un'altra legge che concede al Tesoro una quantità di denaro a disposizione molto minore (non oltre i 150 miliardi, poi si vedrà; adesso si partiva da 250 subito, il resto dei 700 miliardi dopo). La legge è molto impopolare, ma non si può far crollare troppo la borsa (dove hanno una qualche forma di interesse il 50% degli americani). Abbassando l'asticella forse un accordo è possibile.

Il problema, comunque, sarà la contrazione mondiale del credito e la fuga da chiunque, a ragione o a torto, sia considerato a rischio. Come funziona l'economia globalizzata se nessuno si fida di nessuno?

Repubblicani contro Bush: bocciato il piano Paulson, democratici furiosi


La notizia la sapete tutti. La maggioranza dei repubblicani e una parte non indifferente dei democratici ha bocciato il piano salva banche. Le borse sono crollate come solo dopo l'11 settembre 2001. E scriviamo che ancora scendono.
Paulson è corso da Bush e ila leadership democratica davanti alle telecamere. Il commento è semplice: mettono l'ideologia davanti agli interessi del Paese (è una frase di Barney Frank, capo della commissione credito, uno dei negoziatori). Una deputata della California gli aveva dato ndirettmente ragione durante il dibattito in aula: "State sotterrando Reagan", aveva più o meno urlato. L'accusa del GOP è anche a Nancy Pelosi, che illustrando la legge, sarebbe stata troppo ideologica. I negoziati del fine settimana avevano infilato controlli sulla spesa prevista e l'operato del Tesoro, diviso in tre tronconi il finanziamento, posto un limite ai premi per i manager, consentito allo Stato di fare profitti nel caso i titoli spazzatura acquistati ne avessero prodotti (cosa possibile, venivano acquistati sotto prezzo) e persino pevisto qualche aiuto a chi non riesce a pagare il mututo (si prevedono due milini di pesone a rischio sfratto entro l'anno). Troppo per l'ideologia mercatista di alcuni repubblicani, troppo poco (o troppo, a seconda) per un terzo dei democratici. Per i commenti della stampa Usa aspettiamo domani. Non credo nessuno sappia bene cosa dire. certo, la campagna presidenziale più appassionante da decenni, lo diventa, purtroppo, ancora di più.

Quando il candidato è uno di noi

L'articolo del New Yorker è molto lungo, ma chi ama studiare e capire l'America lo leggerà con piacere. Si chiama "Il problema degli Appalacchi" e ci racconta come va la campagna elettorale in un angolo di Virginia che ruota attorno alla città di Lebanon: zona di montagne, campagne e miniere dove i discendenti degli scozzesi e degli irlandesi hanno da sempre fatto a botte (politicamente ma non solo) con i discendenti degli schiavi africani. Mentre questi ultimi non votavano, ai primi il partito repubblicano di Karl Rove ha detto: “It’s just three things: He’s not like you, he doesn’t understand you, you can’t trust him. Our guy is like you, our guy understands you, you can trust him."Oggi Jim Webb e altri democratici "veraci" hanno cominciato ad invertire questa tendenza, attraverso un messaggio populista che rimanda alle radici del partito democratico e che oggi fa presa bene, nella contrapposizione tra Main Street e Wall Street. Obama ha imparato bene la lezione, basta leggere cosa ha detto un po' di tempo fa proprio a Lebanon: “They call it the ownership society in Washington. What they really mean is, You’re on your own. Your plant closes up and you lose your job, you’re on your own. You’re sailing along, trying to look after your kids, if you want to go back to college, you’re on your own. You’re a poor kid, lift yourself up by your bootstraps, you’re on your own. . . . Now, I guess if you think that somebody making four million dollars is still middle class, maybe you think it’s worked. But if you’re like an ordinary person, making thirty or forty or fifty thousand dollars, then you realize how tough things are. And that’s why I’m running for President, because that’s what I come from, that’s where I’ve been.”
E questo è quello che dovremo stare a guardare, se una volta tanto nell'era della televisione "la gente comune" volterà le spalle alla destra.

Che s'ha da fa pe' campa..

Sabato 27 settembre era la giornata nazionale della Caccia e della pesca. E quindi si promettono mari e monti anche a cacciatori e pescatori: ecco come Obama dimostra la sua sensibilità riguardo il tema.

“Hunting and fishing are not just recreational pursuits, they are part of our national heritage. America’s hunters and anglers uphold a tradition that connects generations and brings families and friends together across our great nation. Today, we celebrate this tradition and the conservation legacy of hunters and anglers.

“National Hunting and Fishing Day is a time to reaffirm our commitment to America’s sportsmen. As President, I will protect the right to bear arms, increase access to places to hunt and fish, take on polluters and clean up our streams and lakes, and protect our nation’s important wildlife habitat and wetlands. I will enhance programs that encourage young people to hunt and fish and respect and protect the outdoors.

“Our nation’s sportsmen have made sure that this and future generations can enjoy our natural resources and wildlife. As President, I will stand with them and ensure that America’s hunting and fishing heritage endures.”

The next bailout

25 miliardi di dollari in favore del settore automobilistico americano. La lobby di Detroit - la città dell'automobile - è riuscita a ottenere un aiuto record per l'industria dell'auto, al fine di sostenere la riconversione ecologica del settore. Un assaggio, da parte del senato democratico, di come potrebbe comportarsi Barack Obama in caso di vittoria: denaro pubblico (sempre che ne rimanga a sufficienza..) per investimenti su produzione e ricerca per un'economia più verde. McCain, in realtà, su questo punto non farebbe una politica molto diversa.

Il provvedimento si trova all'interno di una legge di spesa che raggruppa voci della più varia natura, approvata in fretta e furia prima della chiusura del Congresso, prevista per questo martedì (poi tutti in campagna elettorale). Si tratta di 634 miliardi in totale, la maggior parte dei quali diretti al Pentagono. In quest'articolo di Newsweek trovate il dettaglio di come l'America spende in una sola legge quasi 450 miliardi di euro.

27 settembre 2008

Chi ha vinto??

Come è andata? I pareri sono discordanti, ma di certo non è stato il dibattito Reagan-Carter del 1980, quando il futuro presidente demolì quello in carica. Era il dibattito sulla politica estera, quello in cui McCain doveva sperare di prendersi un vantaggio. Non andata così. I sondaggi dei grandi networks dicono che Obama ha vinto di un po'. I commentatori parlano di pareggio o di lieve vantaggio per McCain, che è sceso di parecchio nei sondaggi e deve recuperare - almeno quando si parla di Russia, Iran, Afghanistan. Per questo il senatore dell'Arizona è stato più aggressivo, incalzante. Obama doveva mostrare di essere uomo di Stato credibile e non ha colpito duro. Il risultato è stato un dibattito noiosetto. Qui il commento video di Chris Cilizza del Washington Post, sulla stessa pagina i video degli scambi sull'Iraq e quelli sull'economia (e anche tutti i 96 minuti di dibattito). Ecco Tomasky di Guardian America. Ecco The New Republic, giornale dei democratici liberal (qui il secondo), con due punti di vista diversi. E per finire, Andrew Romano, political blogger di Newsweek. Inutile dire che andando su NYT, Politico o qualsiasi altro sito segnalato in questo blog, troverete montagne di live coverage commentato e, tra qualche ora, riflessioni più accurate. Qualsiasi cosa dicono, l'ora e mezza di stanotte non sembra segnare una svolta. Il prossimo dibattito è quello Palin-Biden. Visti i personaggi sarà sicuro più divertente. E se Biden fosse in forma e Palin impreparata, quello potrebbe essere un momento clou. Viceversa, se Biden si rivelerà troppo aggresivo, Palin potrà giocare la carta della madre di famiglia aggredita.

Il problema Palin

Così è titolato il pezzo di Kathleen Parker sulla National review. Non è la prima colonna che pone il problema dell'inadguatezza della vice di McCain, che "gioca in un campionato non suo", come scrive Parker, che era stata entusiasta all'annuncio della sua candidatura (dalla notizia di Cnn i link ad altri pezzi simili). Alcuni suggeriscono il ritiro. Improbabile, per McCain sarebbe un contraccolpo eccessivo.

26 settembre 2008

I colloqui sul Bailout continuano, McCain sarà al dibattito

Le trattative si sono fermate e poi sono riprese. Reid, capo democratico al senato, ha dichiarato che "andranno avanti per tutto il tempo necessario". La responsabilità dello stallo è repubblicana, i motivi sono due post più sotto. All'una americana, otto ore prima del dibattito, McCain ha fatto sapere che ci sarà. Non sta uscendo bene dalla situazione bailout-crisi economica-confronto con l'avversario.
Sulla crisi, ecco l'articolo di Krugman sul NYT, ci piace perché è critico quasi verso tutti. In sostanza dice, c'è qualcuno disposto a non intervenire, pur sapendo che si aiutano quelli che hanno prodotto il disastro? Nessuno presta e nessuno prende a prestito, nel '29 era successo proprio questo. Per questo bisogna far ripartire la macchina, ma non dando pieni poteri a Paulson. La crisi è molto anche colpa sua. Ecco il riassunto di Politico sulla giornata di ieri.

Liquidazione comunista

Grande solidarietà a Martino Mazzonis e ai suoi compagni di lavoro dai due colleghi di blog Toaldo e Diletti. Dopo il crack di Wall Street arriva il turno di "Liberazione", dove i giornalisti sono in sciopero da ieri: un po' colpa del governo, un po' dell'editore/partito (qui le ragioni della loro protesta). In Italia e soprattutto a sinistra, se qualcuno ti vuole uccidere si risponde con l'autoghettizzazione.

Siamo sicuri che Martino se la caverà brillantemente grazie ai suoi investimenti in Lehman Brothers e Washington Mutual. Da oggi a mezzogiorno presidio in solidarietà con i lavoratori del giornale "Liberazione" a Viale del Policlino 131, a Roma.

http://liberaliberazione.splinder.com/

Anche la Washington Mutual

E' andata giù un'altra banca, la acquisisce la J.P. Morgan Chase: è il più grande fallimento bancario della storia americana. Leggete queste poche e lucide righe di Robert Reich, tanto per spaventarvi un po'..

If Congress doesn't pass a bailout bill, Bernanke and Paulson warn the economy might go into a deep and prolonged recession or worse. The mere fact that the two people who essentially run the American economy have issued such a warning is itself enough to generate a self-fulfilling prophecy of economic meltdown if the bailout doesn't come through -- at least in the weeks leading up to Election Day. Congress knows this, and doesn't want to be held responsible. So it's almost certain that a bill of some sort will pass, and probably by Friday. But what happens if by some twist of political drama it doesn't pass? A 5 percent chance of major meltdown of capital markets in the US and around the world.
"Meltdown"è il verbo che si usa per illustrare una fusione nucleare. Già ora, nessuno presta più soldi a nessuno (soldi veri, non pensate al debito con zio Carlo): il baratto potrebbe essere presto molto trendy.

Alta tensione: bailout e primo dibattito appesi a un filo

Nella notte americana è saltato l'accordo sul pacchetto di salvataggio per Wall street. La maggior responsabilità, sembra di capire, è dei repubblicani. Il pacchetto Paulson, che non è un bel pacchetto, pone più problemi a loro. Sarà un'amministrazione repubblicana a spendere soldi a palate, creando un precedente e rompendo con l'ideologia (ipocrita quando si guardano i conti lasciati da Reagan e Bush) dei conservatori. Il piano Paulson è brutto perché concede potere discrezionale al Tesoro, perché salva coloro che hanno prodotto la crisi e perché è un tentativo di tornare, per quanto possibile, alla situazione preesistente. Un tentativo di Pelosi e Frank democratico di spostarlo troppo, diciamo a sinistra, lo farebbe saltare (su questo i dem hanno posizioni diverse, perderebbero qualche voto e in Senato non possono). Ora il G.O.P. ha presentato una controproposta targata McCain. Così costringerebbero i dem a votare con Bush, prendendo loro le distanze. Le cronache narrano di una notte di urla al Congresso e alla casa Bianca.
Sullo sfondo ci sono le presidenziali. Questo atteggiamento repubblicano si spiega con la necessità di distanziarsi da Bush, non farsi dire dall'elettorato fedele che spendono e far prendere la responsabilità del pacchetto Paulson ai democratici. Se non funzionasse potranno accusare, se funzionasse, Paulson è dei loro e loro non hanno speso. Ancora in forse il dibattito - che si farà - anche questo un segnale delle difficoltà repubblicane, ampiamente registrate dai sondaggi. McCain prova a buttarla in caciara. Il Weekly standard, organo della destra, spiega che la sua è una mossa presidenziale. Ma dopo la figura fatta con David Letterman (vedi il video qua sotto), l'atteggiamento del senatore è poco credibile. Più tardi aggiornamenti e una qualche rassegna degli articoli sul web.

Come ti salta l'accordo

La paura fa 90. Il teatro di ieri (raccontato qui sotto) non ha funzionato. Un blocco di repubblicani non vuole l'accordo, anche molti democratici sono scontenti (se volete leggere una critica al piano di salvataggio proposto da Paulson, ecco il blog di Robert Reich). I democratici non si assumono da soli l'onere di appoggiare il piano di Paulson, per quanto emendato dalla mediazione del Senato, e cercano di cambiare alcuni elementi di contenuto e di dare al Congresso un potere di controllo dell'operato dell'esecutivo (sul Washington Post una ricostruzione delle diverse posizioni. Per inciso, come in Iraq, il modello della soluzione per l'amministrazione Bush è sempre la stesso: la situazione è gravissima, datemi carta bianca).

In sostanza, il piano Paulson era il seguente: prendo 700 miliardi di dollari dai contribuenti americani, il li giro a Wall Street (come mi pare: il piano è lungo tre pagine) perché aggiustino le cose e poi incrociamo le dita. Nelle ricostruzioni giornalistiche pare che McCain fosse più contro che a favore dell'accordo, comunque non ha parlato; i democratici non vogliono restare con il cerino in mano, cioé a difendere un piano impopolare nel quale sono loro e il presidente contro un gruppo di repubblicani. Quanti guai e quanto è seria la situazione.

Come ti incastro il giovanotto

Quella foto non va bene. Ancora teatro: siccome ci sono guai grossi, i grandi invitano il giovanotto a partecipare alla loro discussione, lì nell'angolino. Il vecchio zio dall'altra parte in fondo è già a casa sua, gli occhi sono comunque sul ragazzo. E' un momento di una difficoltà enorme: bisogna sbrigarsi a trovare una soluzione - almeno provvisoria - prima che il Congresso si fermi per le elezioni; bisogna (per un presidente repubblicano) far dimenticare che il candidato del suo partito ha assunto come consiglieri alcuni responsabili di questa crisi (non è retorica, è proprio così).

E quindi tutti allo stesso tavolo, il ragazzino e il nonno che addirittura è corso a casa perché c'era bisogno di lui (qui il racconto del Washington Post che spiega l'irrilevanza di John McCain nella discussione di ieri al Senato attraverso la quale si è cercato l'accordo sul bailout: o forse McCain non vuole l'accordo, chissà). Obama, lì in mezzo, ha solo da perdere. Prima la campagna elettorale, prima vincere.

Ci sarà tempo (se si vuole, se ha senso) per essere magnanimi con questa piccola gente che sta facendo i bagagli lì alla Casa bianca. Non bastavano i leader democratici del Congresso per andare nella villetta di Bush? Obama è troppo attento ai simboli per non capire che in certi momenti apparire vicino a Bush è peggio che stare accanto al reverendo Wright.

E leggete qui un articolo apparso su Politico sul processo di normalizzazione dei candidati: da "diversi" a "John Kerry II e George W. Bush III".

25 settembre 2008

Candidati in fuga/2

La reazione di David Latterman all'annuncio di che John McCain non avrebbe partecipato al suo programma per dedicarsi ai problemi dell'economia. Molto divertente.

Candidati in fuga/1

McCain fugge. Punto. Il suo ritorno al Senato non comporta nulla di importante: è Chris Dodd, Chairman del Senate Banking Committee, ad avere ora il pallino in mano. McCain starebbe lì al Senato ad aspettare la proposta di legge di Dodd: se vuole proporre degli emendamenti lo può fare anche dal Mississippi, dove avrebbe dovuto incontrare Barack Obama nel primo faccia a faccia presidenziale. Più importante, per un candidato presidenziale, spiegare al paese come risolverebbe quei problemi una volta in carica. Se non fosse stato candidato, da senatore McCain in questa vicenda avrebbe avuto un ruolo secondario: ecco perché il suo ritorno a Washington suona ridicolo.

Come giustamente mette in evidenza Electoral-vote.com (la sua ricostruzione della giornata di oggi è perfetta), l'interruzione della campagna elettorale per dedicarsi ai problemi dell'economia è solo un colpo di teatro: in più gli permette di risparmiare soldi (si parla comunque molto di lui, ma non spende per gli spot elettorali previsti in questi giorni). E s Obama si presentasse lo stesso al dibattito? Come si comporterebbe la Commissione sui dibattiti?

Quando il gioco si fa duro.. si gioca in pochi campi

Prima di tornare sull'unico, vero grande tema di questa fine di campagna elettorale (la crisi e il crollo di Wall Street) una nota importante: in passato avevamo accennato all'ambiziosa strategia dei 50 stati di Obama, che richiamava quella del presidente del partito democratico Howard Dean.

Una strategia per competere in tutti gli stati, anche quelli dove i democratici sono naturalmente perdenti, con diversi obiettivi: impegnare i repubblicani su più fronti, avendo dalla propria più soldi, volontari, entusiasmo; guardare al futuro, a un partito più "compatto", più omogeneo nel messaggio e nell'identità in tutti gli stati; rafforzarsi dove i trend demografici mostrano grandi potenzialità per il partito democratico, come accade nell'ovest. Più in generale si trattava una strategia di rafforzamento "dell'apparato di partito democratico" (gli americani non userebbero mai un espressione del genere), non condivisa da tutti: una parte crede che risorse ed energie vadano utilizzate in pochi e strategici collegi elettorali che tradizionalmente garantiscono la vittoria in uno stato. Con l'avvicinarsi del 4 novembre si torna a questo approccio.

La notizia di un paio di giorno fa è che lo staff elettorale di Obama lasciava il Nord Dakota per spostarsi altrove, dandolo per perso dopo averci provato; osservando gli spostamenti di truppe e gli investimenti nella campagna elettorale (gli indicatori migliori della strategia elettorale di un candidato) si intuisce che nel prossimo mese e mezzo la campagna si concentrerà su: Michigan, Pennsylvania, New Hampshire, Virginia, North Carolina, Florida, forse la Georgia, ovviamente l'Ohio, Colorado, New Mexico e Nevada. Comunque non sono pochi gli stati nei quali si sceglie di giocare, ma ormai il dado è tratto. La strategia dei 50 stati, però, pagherà soprattutto al Congresso.

24 settembre 2008

Allora sai che facciamo? Un bel sondaggio

Un giornalista del Washington Post lancia la provocazione: le elezioni noi americani non riusciamo ad organizzarle perchè partecipa poca gente, perchè il "collegio elettorale" favorisce le minoranze organizzate rispetto alle maggioranze schiaccianti e perchè le macchine per votare semplicemente non funzionano. E allora qual'è la soluzione? Fare un bel sondaggio, scegliendo per benino il campione e facendogli fare anche un corso per capire veramente i problemi su cui dovrà votare. Secondo lui è un sistema molto più democratico e rappresentativo di quello attuale. E' una provocazione, si sa, ma vale la pena rifletterci su e leggersi le risposte che gli danno i lettori. D'altronde, la fobia della truffa elettorale produce anche conversazioni radiofoniche come questa, dove si paventa la cancellazione per legge del voto dei 12 milioni di nuovi democratici iscritti al voto. Promettiamo di verificare se le cose che sono scritte lì sono vere anche solo in parte. Perchè se sono vere c'è da avere parecchia paura.

Aiuto, Obama ci toglie la pistola. La Nra scende in campo

Ecco uno degli spot pagati dalla National rifle association. In questo parla un veterano, poi c'è il cacciatore della Pennsylvania e quello della Virginia. Se volete vederli tutti, andate pure sulla pagina NRA di Youtube. Buon divertimento (si fa per dire)

Ancora sui sondaggi (la teoria del cellulare)

Abbiamo già scritto che quest'anno i sondaggi sono difficili da fare (qui l'ultimo post con un po' di analisi). In questi giorni si è di nuovo spostato tutto dalla parte di Obama. E' la crisi economica e la risposta data dalle due campagne. Tanto meglio. Ma le forbici di distacco nei singoli Stati sono così piccole che niente va dato per scontato. Tanto più che...i sondaggi quest'anno sono difficili da fare. Ecco Una ricerca del Pew research institute che spiega come il risultato di ciascun rilevamento cambi leggermente a seconda se si includono i cellulari o meno. La differenza è di due punti: in un caso i due candidati sono pari, nel secondo vince Obama. Due punti in molti Stati possono essere la differenza. Se si prendono solo i cellulari il dato è sproporzionatamente a favore di Obama. Poi, ma qua entriamo in un campo che non conosciamo, servirebbe un super esperto, c'è da chiedersi se nella costruzione del campione si tiene conto dell'uso del cellulare. Una volontaria di Obama di Denver raccontava che quando chiami i cellulari fai molte più telefonate a vuoto, la gente vede un numero sconosciuto e non risponde (molte contratti sono a pagamento anche se si riceve). Viene valutata questa variabile? E come?

23 settembre 2008

Il pacchetto Paulson, ovvero guai per tutti

In estrema sintesi il pacchetto proposto oggi al Congresso da Paulson e Bernanke (i due sono stati grilled, come si dice, dai senatori): prevede super poteri al Tesoro per comprare titoli a rischio dalle banche. Queste farebbero cassa e lo Stato americano si troverebbe con tanti titoli spazzatura. Già, ma chi fa i prezzi dei titoli? E perché Paulson chiede poteri così assoluti da violare la Costituzione? E basterà il pacchetto a far tornare la fiducia? Nessuno sa rispondere, ma tutti hanno problemi a votarlo. I democratici vogliono anche nuove regole e controlli per il mercato, soldi per l'economia e per le famiglie che non riescono a pagare i mutui, tetto di premi per i manager delle finanziarie. Alcuni repubblicani alcune di queste cose, altri si oppongono alla spesa da 700 miliardi. Tutti, ma proprio tutti hanno paura di votare una cosa che se non funzionasse aggraverebbe ancora la situazione delle casse federali. McCain e Obama sono nei guai. Cosa devono votare? Prendere le distanze dai loro partiti, nel caso le cose non andassero come gli conviene, o votare con il partito e prendere il rischio? I sondaggi indicano che in pochi si fidano del pacchetto Paulson. Ma l'elettorato non è esperto di finanza, risponde con la pancia, pronto a cambiare idea qualora il pacchetto funzionasse o, una volta votato, si rivelasse una catastrofe. Una cosa sicura è che i democratici non voteranno la legge senza il sostegno repubblicano. Sarebbe un rischio troppo grande da correre. Proveranno, magari, a votare un testo pieno di aiuti alla gente di Main street (opposta di volta in volta a Wall street e K street, la borsa e la politica). Se poi Bush deciderà di mettere il veto, la responsabilità sarà la sua. Il passaggio è di quelli delicati per tutti.

22 settembre 2008

Già partiti?

Per chi pensasse che manca ancora tanto tempo per le elezioni, beh, non è proprio così. In 244 hanno già votato nella contea di Fairfax, in Virginia, poco distante dalla capitale e da oggi in tutto il loro stato, in Georgia e in Kentucky si può cominciare a votare, sia per posta che di persona. E' quello che si chiama "Early voting": è permesso in 34 stati, in moltissimi non bisogna neanche spiegare perchè si decide di votare un mese e mezzo prima. Se nel 2000 voto così il 15% degli elettori, quest'anno la cifrà potrebbe raddoppiare. In Florida, dove sono molto bravi a contare i voti come imparammo nel 2000, l'Early Voting potrebbe coinvolgere il 40% degli elettori. In pratica, come ci spiega USA TODAY, le elezioni sono già cominciate e per circa un elettore su 3 tutta la campagna che ci sarà da ora in poi sarà sempre più inutile.

Numeri della crisi: i pensionati e Wall Street

Da un articolo di Anna Guaita sul Messaggero:

Gli americani sull’orlo della pensione che decidono di restare al loro posto aumentano a vista d’occhio. Il 16,4 per cento degli ultra 65enni continua a lavorare, la cifra più alta da 40 anni a questa parte. E buona parte della colpa di ciò è del crollo del mercato. E’ vero che un peso su questi trend l’hanno avuto anche l’inflazione e il crescere dei costi medici (è aumentato il ticket che si paga sui medicinali). Ma a causare l’ondata di ripensamenti è la botta che tanti hanno subito per colpa della crisi del mondo finanziario: i 401k, i piani di risparmio individuali che negli Usa hanno preso il posto delle pensioni aziendali, hanno registrato una perdita, e questo causerà un calo nel tenore di vita dei futuri pensionati. O meglio: chi non ha fretta e può continuare a lavorare, può sperare di vedere il mercato riprendersi e anche gli investimenti che hanno sofferto risalire la china.

I 401k sono di fatto un sistema di risparmio a tassazione differita in cui il lavoratore e il datore di lavoro depositano una parte dello stipendio (in genere si tratta del 5-8 per cento ciascuno). I piani di risparmio sono investiti in diversi settori: titoli di Stato, mercato monetario, azioni. Quando questo sistema ha cominciato a subentrare alle pensioni aziendali, negli anni Ottanta, si e raccomandato ai lavoratori di diversificare gli investimenti in modo da non riportare perdite eccessive nel caso - come succede adesso - alcuni settori entrino in crisi. Per anni i 401k hanno funzionato bene, al punto che George Bush nel 2005 aveva lanciato una campagna per privatizzare anche la Social Security, cercando di convincere gli americani che quel 12,5 per cento che depositano mensilmente nelle casse federali per avere una pensione sociale da anziani poteva essere investito a Wall Street. Inutile dire che oggi sono molti a rallegrarsi del fatto che il progetto di Bush sia affondato nella diffidenza generale.

Attenzione, oggi potrebbe essere cambiato (un po') il mondo

La notizia è quella che ciascuno saprà: i due giganti rimasti in piedi tra le cinque grandi investment banks (Morgan Stanley e Goldman Sachs) cambiano natura, apriranno sportelli normali, con i conti normali, per partecipare anche loro alla distribuzione dei pani che Paulson metterà in piedi e per raccogliere risparmio da impiegare nelle operazioni finanziarie. Il grande, enorme, problema di questa crisi è infatti che le banche non si fidano più le une delle altre e che il pubblico (investitori, risparmiatori) non si fida più di loro. Nessuno infatti sa più quali siano i veri bilanci, quanti investimenti sbagliati siano stati fatti, quanti mutui scoperti ci sono.
Questi colossi, normalmente, si prestano soldi tra loro, scambiano capitali, eccetera, in un flusso continuo che consente di correre al ritmo folle della finanza. Oggi non è così e il tasso di interesse per i prestiti tra banche, di solito uno 0,2 più alto del tasso della Banca centrale, è oggi più 2 virgola qualcosa. Ovvero, prendere soldi a prestito da una banca, costa anche ad un'altra banca. Ovvero, per manovrare di continuo masse di denaro si spende molto di più che non ieri.
Il panorama della finanza mondiale è mutato completamente nel giro di una settimana e questo avrà conseguenze enormi sul futuro dell'economia. 1. Prima o poi avremo delle regole; 2. La finanza occuperà ancora un posto enorme, ma non come negli ultimi anni; 3. Ci sarà di nuovo spazio per forme di intervento pubblico in economia. Questo se la crisi non si porterà via tutto prima (quella del '29 non ebbe delle conseguenze esaltanti in Europa).
Comunque sia, per far parlare gente più autorevole e tornare alle notizie: ecco Krugman sul piano Paulson e un'analisi del Financial Times del 19 settembre. E' interessante anche la bibbia del capitalismo prende atto che il mondo bancario è cambiato. C'è da chiedersi, lo fa Krugman, dove fossero gli analisti quando la barca galleggiava ancora ma si capiva benissimo che stava imbarcando acqua. Anche l'Economist ha domande da fare a Paulson, mentre The Nation è molto critica: questo piano lo chiede la finanza, gli stessi che ci spiegavano fino a ieri di essere più intelligenti degli altri. Obama, da ieri picchia duro sulla necessità che il piano preveda misure anche per Main street, la strada dove vive e produce la gente normale. Se i democratici riusciranno nell'impresa di votare una legge di spesa dove ci siano anche misure per le persone normali, metteranno a segno un colpo pesante.

21 settembre 2008

Tasse, chi guadagna e chi perde: le proposte McCain e Obama a confronto

Ecco uno schemino semplice, semplice basato sulle analisi prodotte dal Tax Policy center. Il piano di Obama è tutt'altro che estremo, tra 226mila e 603mila dollari di reddito non cambia nulla. Sopra si paga parecchio di più, sotto si ha un taglio non clamoroso. Con McCain ci guadagnano tutti, ma la percentuale scende al calare del reddito. Se il quadro è questo, con i repubblicani più guadagni e meno paghi. Lo schema non dice nulla del gettito previsto: quanti soldi in più o in meno entreranno nelle casse federali? Con McCain per forza meno, con Obama bisognerebbe calcolare quanti sono quelli che pagheranno di più per valutare se basteranno a coprire il buco aperto da coloro che pagheranno meno. Il problema per entrambi è che con i fantastiliardi spesi in questi giorni da Bernanke e Paulson di quattrini ne serviranno.

Chi si rivede, il razzismo dem


A chi parla Sarah Palin? Solo al blocco conservatore che andava compattato dopo la vittoria di un divorziato come John McCain? Forse, quel 2,5% dell'elettorato che ha risposto a questo sondaggio di Associated press, si lascerà affascinare dallo specchio della famiglia Palin: America profonda e un po' zotica che ce la fa. Il 2,5% è la quota di elettorato democratico che non voterà Obama perché è un nigga. Quel due e mezzo è lo scarto tra Bush e Kerry. Naturalmente, perché serva a McCain deve essere distribuito in Stati cruciali. Se in Alaska qualcuno sceglie dinon votare democratico perché il candidato è nero, non è un problema, Obama perderebbe comunque, l'Ohio potrebbe essere fastidioso in questo senso: il razzismo abbonda al Sud e in alcuni Stati dove la minoranza afroamericana è consistente e concentrata nelle aree urbane (Cleveland e Cincinnati contro la campagna).

20 settembre 2008

In economia diventiamo tutti "neo-keyn", in politica estera tutti "neo-realist"

Oggi Repubblica ci prende (mica capita tutti i giorni). Intervista molto interessante al Capo di stato maggiore delle forze armate italiane Vincenzo Camporini. Mentre la Rice due giorni fa alzava la voce con la Russia, gli italiani continuano a dire tutti la stessa cosa: Mosca deve essere assolutamente un nostro partner, e le missioni all'estero della Nato vanno gestite in modo diverso (si evince bene dalle parole di Camporini, c'è addirittura un abbozzo di sociologia del talebano). Interesse nazionale e realpolitik sbandierata ai quattro venti: ma questi americani non contano proprio più nulla? La Rice dice una cosa e il nostro Capo di stato maggiore se ne infischia? che divertimento. Dice Camporini:

nessuno studioso, nessun osservatore delle vicende contemporanee può disconoscere il fatto che la Russia dovrà diventare nei prossimi 20/30 anni il partner essenziale per il mondo occidentale se si vuole che il mondo occidentale abbia ancora un peso e un ruolo nel sistema globalizzato. Un sistema dove le grandi masse cinesi, le grandi masse indiane, la pressione demografica che arriverà dall'Asia tenderanno a minimizzare e marginalizzare l'Europa (...) La Russia è in una fase della sua evoluzione politica, in cui si sta riappropriando della sua identità e credo che sia essenziale, perché soltanto un paese che ha un'identità sua può dialogare con altre realtà. Un discorso che vale in qualsiasi settore, e quindi anche in quello politico internazionale, o geopolitico. Avere una visione di chi siamo ci permette di dialogare, altrimenti inevitabilmente saremo assorbiti dal passato, paralizzati dalle nostre vecchie identità, che non ci permettono di guardare avanti".

Giustamente Camporini ha la sua agenda, che non può essere quella della Rice. E' già qualcosa: almeno si può discutere della sostanza delle cose e non di ideologia. "L'esportazione della democrazia" American Style è finalmente morta. Aspettiamo che anche a Washington arrivino tempi migliori.

La battuta più divertente..

..sulla conversione a U di George W. Bush da alfiere del mercato libero a keynesiano sostenitore del deficit spending l'ha fatta, per ora, Vittorio Zucconi, dicendo che Bush è passato da "neo-con e neo-keyn". Il mercato è una finzione, e ogni tanto la storia ce lo ricorda.

ps. pensieri in libertà: viene da pensare che Obama non possa che divenire il candidato di (quasi) tutti i poteri forti o vagamente strutturati del paese: dal sindacato alle banche di investimento voi dareste il futuro economico del paese in mano a McCain e Palin? Siccome potrebbero anche vincere, il terrore deve spargersi ovunque. Dai poveracci che hanno perso la casa ai banchieri che hanno perso i miliardi tutti vogliono "lo stato". E forse preferiscono un nero pieno di secchioni dell'università nello staff che due schegge impazzite. Forse.

19 settembre 2008

Piccoli significativi cambiamenti di colore?

In questo lungo articolo, il politologo Larry Sabato fa un punto piuttosto serio sulla mappa elettorale e ne deriva la cartina che vedete qui accanto. Le sue previsioni sono un po' più serie del normale perchè si basano non solo sui sondaggi ma anche sulla serie storica. La sostanza è che secondo lui non ci sarà quel grande ridisegno di cui si parlava: 42 se non 45 stati in totale non cambieranno campo. Però, aggiungiamo noi, se i democratici strappassero New Mexico, Colorado o Nevada ci sarebbe un primo sfondamento nell'Ovest, per non parlare della Virginia dove i sondaggi dell'ultima settimana danno pareri contrastanti. Ieri una valanga di sondaggi su tantissimi stati ha rimesso in discussione certezze nell'uno e nell'altro campo. La verità, come ci spiega Sabato, è che oltre a tutti i fattori c'è anche quello razziale: assolutamente imponderabile. Intanto, il rimbalzo di McCain post-convention si è oramai esaurito anche a livello nazionale. Ma bisogna guardare al collegio elettorale, e lì ci sarà da palpitare fino all'ultimo.

18 settembre 2008

Una svolta a sinistra negli Stati chiave??? Un sondaggio dice così

Abbiamo raccontato poco sotto (e molte altre volte) di come i sondaggi vadano presi con le pinze. Ce n'è uno interessante sul National Journal che indaga cinque Stati - Colorado, Florida, New Mexico, Ohio e Virginia - e ci segnala alcune cose. Il National Journal è serio e non schierato e il risultato è per questo sorprendente. Secondo questa rilevazione i due candidati sono alla pari nel Sunshine state che costò le penne a Gore e, due per uno, in leggero vantaggio l'uno sull'altro nel resto degli Stati indagati. La cosa interessante sono le risposte sui grand temi della campagna elettorale. Alla domanda: qual'è la miglior politica energetica? La risposta “Sviluppare energie alternative" prevale nettamente ovunque su “trivellare le nostre coste" (c'è poi una minoranza intorno al 10 per cento estremista che pensa che bisogna consumare di meno). Alla domanda “Come si salva l'economia?" spendere in educazione e sanità batte i tagli alle tasse (ovvero la maggioranza, in teoria è a sinistra di Obama, ma se la risposta fosse spendere di più e, di conseguenza aumentare le tasse, le percentuali non sarebbero queste). Sul terreno preferito di McCain, la sicurezza, la maggioranza degli intervistati in questi cinque Stati ritiene che “Costruire legami cn altri Paesi" sia meglio che non aumentare la potenza dell'esercito. Sono risultatai sorporendenti. Se fossero realistici, la domanda che molti editorialisti si fanno - "Perché Obama non è mostruosamente in testa?" - peserebbe ancra di più di quanto non pesi già.

Avete tempo da perdere? Leggete questi

Noi non ne abbiamo ancora avuto abbastanza. Ma di certo i due articoloni della New York Review of Books sul dopo convention varranno la pena di essere letti. Qui quello sui repubblicani, qui i democratici

Una bella croce e la matita no?/2

In questo caos chiamato America manca solo un'altra elezione contestata, dopo di che il prestigio degli Stati uniti nel mondo sarà pari a quello di Antigua e Barbuda (senza offesa per quest'ultima). Ripetiamo, ma croce e matita no? Ecco il punto da electoral-vote.com:


With a huge number of new voters registered this year and new equipment and procedures in use in many states, the potential for chaos on election day is great. Nine million voters will use equipment that has changed since March. Statewide voter data bases in many states are in place to weed out voter fraud, but these data bases are known to contain many errors, which will lead to fights on election day about who is allowed to vote. Premier Election Systems (formerly called Diebold) has admitted that the software used in their machines in 34 states could cause votes to be dropped. The company has no solution. Both candidates are assembling teams of lawyers to deal with challenges. The last thing the country needs in the middle of an economic crisis with two wars going on is another disputed election with legal battles over faulty voting machines in multiple states.


Un articolo più lungo su questo tema lo trovate qui. E riguardatevi la storia di questo post dell'altro ieri.

17 settembre 2008

Phil Gramm, McCain, i subprime e Carly Fiorina

Dimmi con chi vai e ti dirò chi sei. Phil Gramm, ex deputato del Texas ed ex capo della campagna mcCain è uno che non sa stare zitto. E nemmeno Carly Fiorina, la donna che ha disegnato la politica economica del senatore. L'ultima battuta sbagliata, ripetuta in due interviste consecutive, recita più o meno: "Né McCain, né Palin sarebbero mai in grado di gestire una corporation". Non è detto sia un difetto in assoluto, ma detto nei giorni dei fallimenti e del crollo di Wall street.... L'ha detta ieri e Cnn racconta che da oggi in poi non la faranno più vedere in pubblico. Gramm, invece, ha occupato di recente la scena spiegando che l'economia va bene ed è solo che gli americani "Sono un Paese di piagnoni". Una gaffe peggiore di quella di Obama sui colletti blu che si aggrappano alla croce. Ma meno reclamizzata. Il nome di Gramm torna di moda in questi giorni perché fu lui, nel 1999 a proporre di far decadere una legge dell'epoca del New Deal (ovvero del post crisi del 1929) che regola il settore bancario. Più tardi Gramm è diventato lobbysta del settore ipotecario e finanziario a Washington. McCain, prima del caos finanziario di questi giorni, diede segnali sulla possibilità che Gramm diventasse il suo Segretario al Tesoro. Dimmi con chi vai...
Parlando di economia, c'è da leggere l'editoriale del Wall street journal, è interessante perché è distante dalle posizioni di Obama, che dipinge come liberal, e sostiene che McCain non ha nessuna visione di economia e di come rispondere alla crisi.

Ciao Enrico

Di nuovo lasciamo temi pubblici per temi privati, perché abbiamo perso un altro amico. Questa notte è morto Enrico Melchionda: una persona di grandissimo valore, umano e intellettuale. Il dispiacere più grande è per Marina e Lara, e poi per tutte le carissime persone a cui era legato. Più di una volta con lui abbiamo detto che avremmo fatto questo o quell'altro, ricerche, studi o progetti non portati a termine per motivi futili o per il caso. Adesso il rimpianto di non aver passato quel tempo insieme a lui è enorme. Dedichiamo a Enrico il nostro lavoro.

16 settembre 2008

I sondaggi, la mappa elettorale e il post qua sotto

La mappa elettorale cambia o no? Qui sotto ci sono dei commenti a un post sul quale abbiamo opinioni leggermente diverse. Nessuno è in grado di dirlo comunque e i sondaggi dicono tutto e il suo contrario - salvo dare un buon trend a McCain nel dopo convention, un trend che da due giorni sembra scemare: oggi quattro sondaggi, due concedono un punto al repubblicano, uno quattro punti al democratico e il quarto è commissionato da Daily Kos, vince Obama a +4, ma non fa testo. La mappa elettorale di oggi rimette la Virginia in ballo - è stato così per mesi, per due giorni McCain se l'era presa - e anche la Pennsylvania. Sarebbe strano. Ma guardiamo dentro a un sondaggio Associated press conclusosi il 10 settembre per capirci qualcosa. La fonte è tra quelle più autorevoli e il risultato era 48 McCain, 44 Obama. Un secco +4. Gli intervistati erano 1217, 812 tra questi erano likely voters, persone che ritengono che andranno a votare. Il bello viene quando guardiamo cosa, gli 812, avevano votato nel 2004: il 50% aveva votato Bush, il 44% Kerry e il 6% qualcos'altro. Ma nel 2004, Kerry ha preso il 48,27, Bush il 50 e qualcosa e gli altri le briciole che restano. Ovvero, il campione non corrisponde alla divisione elettorale di allora. Non solo, gli elettori del 2004 sono 800. Il dato sull'età non viene fornito, ma si potrebbe pensare che quei 12 siano i non in età elettorale del 2004. Ovvero, meno del 2%. Vado a memoria, ma mi pare che dal 2000 al 2004 circa 14 milioni di persone abbiano raggiunto l'età per votare. Sempre nel 2004 gli elettori 18-24 furono il 47% degli aventi diritto, il 9,3% del totale dei voti espressi. 18-24 è un intervallo di sei anni, non quattro come il ciclo elettorale, ma comunque meno del 2% è troppo poco per valutare l'impatto del voto giovanile. Tanto più se si tiene conto che nelle ultime tre elezioni di fila questa quota è aumentata e che, tutto lascia presagire, aumenterà ancora e molto. Quel sondaggio, quindi, non funziona granché. Per non parlare della partecipazione dei neri, dei latinos e di altri elementi difficili da valutare.
Che vuol dire tutto questo? Che usiamo i numeri per raccontarci che i sondaggi sono fuffa e che Obama vince a spasso nonostante i numeri? No. Un esempio opposto è quello già fatto del governatore dela Virginia nel 1989, democratico e nero. Aveva un vantaggio di 12 punti nei sondaggi, ha vinto per il rotto della cuffia. Ci si vergognava a dirlo, che non si votava per il politico migliore e più popolare perché era nero. Un lungo discorso, insomma, serve a dire che i numeri dei sondaggi non valgono troppo. Noi comunque, continueremo a giocarci.

Largo ai giovani

Chi non vuole credere ai sondaggi in questi giorni batte su un tasto in particolare: le inchieste di opinione sottostimano i giovani, che saranno la vera sorpresa di queste elezioni. Le primarie, soprattutto quelle democratiche, hanno visto una partecipazione in massa della cosidetta "Millenial Generation" e cioè quelli tra i 18 e i 29 anni. Tradizionalmente questa fascia vota pochissimo (meno del 50%), ma già nel 2004 e nel 2006 ha fatto registrare per la prima volta un aumento che è stato molto significativo soprattutto dove ci si è lavorato di più. Sono più di 40 milioni di elettori potenziali, e giustamente The Nation gli dedica un'inchiesta tutta da leggere: sono tantissime le organizzazioni, soprattutto democratiche, che lavorano alla registrazione e al coinvolgimento della Millenial Generation. Cominciano ad investirci anche i think-tank, date un'occhiata al progetto Campus Progress. E i risultati si vedono: chi scrive questo post insegna politica italiana agli studenti americani e ha appena scoperto che 18 dei suoi 20 studenti hanno partecipato alla campagna elettorale. E 16 lo hanno fatto per Obama, alcuni sacrificando le vacanze estive.

Una bella croce e la matita no? Le macchine elettorali non funzionano!

Ecco il video dei ricercatori dell'Università della California a Santa Barbara che lo dimostra. E un articolo da Alternet sulla faccenda. Non è il primo e non sarà l'ultimo. La prima democrazia del mondo ha un sistema di voto grottesco.

Cambia la mappa? Forse non tanto

Ecco la mappa aggiornata stato per stato da Real Clear Politics. Se va così Obama vince di poco ma vince. Rispetto al 2004 si prende l'Iowa, il Colorado e il New Mexico. Il problema, come nota Andrew Romano su Newsweek, è che non sembra esserci quel ridisegno della mappa elettorale americana di cui tanto si era parlato. Anzi, dai sondaggi post-convention repubblicana emerge come molti stati repubblicani dichiarati prematuramente in bilico (es. Montana e Georgia) sono ora più rossi mentre il vantaggio di Obama in stati come la Pennsylvania o il Michigan si assottiglia. Questi ragionamenti però si basano molto sui sondaggi immediatamente post-convention, il bounce non è detto che duri per sempre. Basta vedere ai dati sulla Virginia (stato rosso) per capire che più passano i giorni e più la partita torna aperta. Forse, poi, dopo l'effetto Palin ci sarà anche quello dovuto alla crisi economica. E.J. Dionne scrive giustamente che la lotta anti-elite è stata prima un'arma di Roosevelt (alcune sue frasi citate nell'articolo andrebbero ricamate sul cuscino) e poi delle guerre culturali dei repubblicani. Funziona ancora riproporre quel modello lì in un momento in cui fallisce tutto il fallibile?

La crisi finanziaria, il voto e il populismo americano

In questo bell'articolo Dionne ricorda che da circa un secolo le campagne elettorali si vincono utilizzando l'arma del populismo culturale; i democratici attaccano l'élite economica e i repubblicani i liberal delle università e di Hollywood. La scelta di Sarah Palin ha rafforzato la solita immagine repubblicana: il popolo vero dell'America contro i saputelli di Harvard che usano il governo per applicare le loro teorie astruse. Anzi, l'inesperienza è il vantaggio della Palin, perché è incorrotta, una ragazza pura che non conosce i trucchetti di Washington, esattamente come tanti milioni di americani. Dionne, insieme ad altri, sostiene che questa storia (in grado di spostare il tema del "change" dal campo di Obama a quello di McCain - i repubblicani evidentemente sono ancora i più bravi a inventare le sceneggiature per il pubblico elettorale) potrebbe finire con la crisi di Wall Street, così grande da riportare la realtà nel dibattito elettorale.

Ieri McCain (che adesso guida il gioco) è andato bene e male allo stesso tempo: bene perché è stato il più veloce ad attaccare le lobby corrotte di Wall Street (guardate assolutamente questo spot nel quale appare il palazzo della Lehman), male perché ha raccontato che "i fondamentali dell'economia vanno bene", e per gli elettori i fondamentali sono il loro portafogli, che è assai più vuoto di prima. Secondo Gaggi, sul Corriere di oggi, la velocità di McCain nell'attaccare Wall Street rafforza la sua immagine di repubblicano "diverso"; è l'occasione per presentarsi ancora una volta come Maverick, anche se i democratici dovrebbero trovarsi più a loro agio sui temi economici. Nei sondaggi McCain va ancora molto bene, ma sono precedenti al fallimento della Lehman (qui un altro link, a un articolo di Balz, sul ritorno dell'economia come tema principale della campagna elettorale).

15 settembre 2008

L'amministrazione Bush e il fallimento della Lehman

Paul Krugman descrive il legame tra la mancata regolazione del sistema finanziario americano e il fallimento della Lehman: ecco, insomma, perché la politica c'entra. Andate a leggervi tutto l'articolo.

Like many financial institutions, Lehman has a huge balance sheet — it owes vast sums, and is owed vast sums in return. Trying to liquidate that balance sheet quickly could lead to panic across the financial system. That’s why government officials and private bankers have spent the weekend huddled at the New York Fed, trying to put together a deal that would save Lehman, or at least let it fail more slowly.

But Henry Paulson, the Treasury secretary, was adamant that he wouldn’t sweeten the deal by putting more public funds on the line. Many people thought he was bluffing. I was all ready to start today’s column, “When life hands you Lehman, make Lehman aid.” But there was no aid, and apparently no deal. Mr. Paulson seems to be betting that the financial system — bolstered, it must be said, by those special credit lines — can handle the shock of a Lehman failure. We’ll find out soon whether he was brave or foolish.

The real answer to the current problem would, of course, have been to take preventive action before we reached this point. Even leaving aside the obvious need to regulate the shadow banking system — if institutions need to be rescued like banks, they should be regulated like banks — why were we so unprepared for this latest shock? When Bear went under, many people talked about the need for a mechanism for “orderly liquidation” of failing investment banks. Well, that was six months ago. Where’s the mechanism?

And so here we are, with Mr. Paulson apparently feeling that playing Russian roulette with the U.S. financial system was his best option. Yikes.


La Lehman Brothers dichiara fallimento?

Lo dice il Wall Street Journal, è apparsa la notizia sul sito del New York Times. Se accade davvero è un fatto enorme, di quelli che dici "potrebbe essere.." ma non ci credi finché non lo vedi. Niente Palin, niente uragano Ike: la campagna elettorale virerà violentemente sulla crisi e l'economia (anche la Merryl Linch è a rischio).

UPDATE ore 11: come sapete, sta fallendo. Un articolo di Politico immagina come influenzerà la campagna elettorale un evento di questa portata.

14 settembre 2008

Pure il Congresso?

Secondo un sondaggio Gallup, si riduce fortemente anche il vantaggio democratico al Congresso che finora era stato dato per scontato: magari McCain poteva anche arrivare alla Casa Bianca ma si sarebbe dovuto confrontare con una camera, e soprattutto con un Senato, a forte maggioranza democratica. Fino a poco tempo fa si discuteva solo se il partito dell'asinello avrebbe raggiunto quota 60 senatori, così da poter bloccare l'ostruzionismo repubblicano. Oggi il vantaggio tra gli elettori registrati è sceso al 3% (era a doppia cifra fino a poche settimane fa) ma, ancora più preoccupante per i democratici, tra i "likely voters" cioè quelli che con più probabilità andranno a votare, i repubblicani sono in vantaggio di 5 punti. Per ora però, come si vede da electoral vote di cui riproduciamo la tabella qui a fianco, non ci sono ripercussioni sulla ripartizione dei seggi. Come si evince da questo articolo di RealClearPolitics più che altro i candidati repubblicani stanno riducendo il fossato che prima li separava dai loro avversari. In realtà, molto più semplicemente, l'elettorato repubblicano torna ad essere mobilitato e si comincia a vedere nei sondaggi. Bisognerà capire se durerà fino a novembre.

13 settembre 2008

McCain in vantaggio vero. Altre porcherie elettorali in Ohio

Come potete osservare dalla mappa sulla destra dello schermo, il bounce di McCain dopo la convention ha prodotto risultati veri. Non solo ha raggiunto Obama nei sondaggi a livello nazionale, ma ha superato il democratico nei sondaggi Stato per Stato (che è la cosa che conta). Quanto sono buoni i sondaggi quest'anno è un dubbio che tutti hanno per vari motivi di cui abbiamo parlato spesso su questo blog, ma di certo la tendenza in questo momento favorisce il senatore dell'Arizona. E questo è male.
Se poi, è la seconda notizia così in due giorni, il Grand Old Party gioca al gioco in cui è molto abile, quello di aggirare le regole elettorali e barare al tavolo da gioco, i rischi sono maggiori. Ecco una storia dall'Ohio di schede elettorali che non tornano. Nel 2006 lo Stato è passato in mani democratiche e dunque l'ufficio elettorale vigila anziché aiutare (come avvenne nel 2004). A proposito di trucchi, c'è un film HBO sui giorni immediatamente successivi al voto presidenziale del 2000 in Florida che non niente male, il titolo è Recount.

Le donne e il partito repubblicano (52 anni fa)



Uno spot per il presidente Eisenhower nel 1956 (quando uno spot poteva durare 4 minuti e mezzo). Parlano le donne che amano Ike.

12 settembre 2008

Zitto zitto, George allarga il conflitto

Questa qui accanto è una foto del Waziristan, l'area "tribale" del Pakistan dove pare che siano le nuove basi di al-Qa'ida. Nel quasi disinteresse della stampa internazionale, Bush ha autorizzato dei raid americani nella zona anche senza l'autorizzazione del nuovo governo pakistano. Stai a vedere, si chiede il free-lance Judah Grunstein, che ancora una volta l'amministrazione Bush non sa come comportarsi con un governo democratico di un paese alleato. Il think tank progressista American Progress si occupa parecchio di Pakistan, sarà un caso?
Nel frattempo le cose in Iraq potrebbero andare per il peggio, visto che i "figli dell'Iraq" e cioè i sunniti filo-americani non vengono integrati nel nuovo esercito iracheno. Erano uno dei pilastri della pacificazione del paese.

UPDATE: Anche il Council on Foreign Relations ultimamente si è occupato del Pakistan con grande attenzione, e oggi diffonde in rete il suo report sull'argomento. Qui il link al testo.

Factcheck, Consulente di McCain in economia: il prossimo presidente dovrà alzare le tasse

Ecco un breve articolo dal sito del Time. La cosa è semplice: Douglas Holtz-Eakin, consulente di McCain sostiene che il piano Obama per le tasse rappresenta un taglio in dieci anni della pressione fiscale e che, per come sta messo il budget federale, chiunque vinca dovrà raccogliere più tasse.


Douglas Holtz-Eakin, a former Director of the Congressional Budget Office and current chief McCain economic advisor, is an honest man--which means he's something of a liability on the Straight Talk Express. A few months ago, he admitted to my colleague, Michael Scherer, that Barack Obama's economic plan would reduce taxes for most people. And now, in a forthcoming book by Fortune columnist Matt Miller, he makes it clear that the next President is going to have to raise taxes.

"If you do nothing on the spending side, you're going to have to raise taxes whether you're a Republican, a Democrat or a Martian," he tells Miller...and then he immediately makes it clear that the "spending side" part of the argument is nothing more than a political fig-leaf.

"It's arithmetic." Federal revenue today is 18.8 percent of GDP and federal spending is 20 percent. Holtz-Eakin observes that "the pressure are there" to lift spending [on entitlement programs, mostly] and taxes to 23 or 24 percent of GDP by around 2020, and to as much as 27 percent if health costs remain out of control.

Miller does the arithmetic: that's an annual tax hike of $550 to $700 billion, well beyond the range of any spending cuts that McCain has or might propose. (Those vaunted earmarks cost about $20 billion per year.)

It should be noted that Obama's proposed middle class tax cuts are nearly as foolish--and unlikely, in the long term--as McCain's, although Obama claims to pay for them by closing corporate loopholes and raising the top marginal tax rates to Clinton-era levels.

But it's John McCain who has opposed any and all tax increases, sort of--as I reported yesterday, McCain would tax employer-provided health care benefits. (He would also raise energy costs significantly with his cap-and-trade carbon emissions reduction program.)

Miller concludes:

So why does tax-cutting mania persist among Republicans, I asked Holtz-Eakin, the McCain adviser--given...that, as Holtz-Eakin himself explain to me, taxes soon have to go up substantially in any event?
"It's the brand," he said, "and you don't dilute the brand."


Il mondo di Sarah Palin

"Non dobbiamo pregare perchè Dio sia al nostro fianco, dobbiamo pregare perchè noi siamo al fianco di Dio". E' tutto da guardare il pezzo dell'intervista di Sarah Palin all'ABC sul ruolo del Divino negli affari internazionali. Leggendo il resoconto complessivo dell'intervista che fa il Los Angeles Times viene fuori un quadro più completo. Primo, Bush ha fatto degli errori di gestione ma ora lei e John (McCain) proseguiranno la stessa guerra con maggiore efficacia. Poi quando le chiedono se è d'accordo con la dottrina Bush (la guerra preventiva) rimane perplessa e sembra non capire di cosa si sta parlando. Secondo, se Israele attacca l'Iran gli USA non dovrebbero intervenire. Terzo, bisogna allargare la NATO a Georgia e Ucraina e se la Russia le attacca stare al loro fianco. Non è detto che Sarah Palin sia destinata ad avere un ruolo rilevante in un'amministrazione McCain, ma le sue affermazioni rispecchiano quello che molti advisor repubblicani confessano di pensare in privato, e a volte in pubblico. Sempre sul Los Angeles Times, una rassegna dei temi legati alla guerra al terrorismo dove i due candidati concordano: sono parecchi. La lotta tra il mainstream realista e gli "estremisti" di entrambe le parti sarà il tema della prossima presidenza, chiunque vinca. Non molto diverso dal passato.

11 settembre 2008

Giochi sporchi? Eccone uno davvero schifoso

Il Michigan messenger riporta la seguente notizia sui repubblicani dello Stato: vorrebbero fare in modo di non far votare gli afroamericani che hanno perso la casa con la crisi dei subprime. Con i loro osservatori elettorali si preparano a tentare di negare la scheda a chi, a loro modo di interpretare la legge, non è chiaramente residente nella città o quartiere perché è stato sfrattato. Anche il 2008 potrebbe diventare un'infernale battaglia legale.

La demografia democratica

Oggi è l'11 settembre e i due candidati faranno i bravi senza attaccarsi, come avrebbe sempre voluto la grande stampa (vedi il Washington Post) e come prometteva Obama agli inizi della sua campagna. Poi ci si è accorti che non si porta la gente a votare senza parlare mai male dell'avversario: un po' com'è successo in Italia dove il centrosinistra che non ha mai chiamato per nome Berlusconi ha perso milioni di voti verso l'astensione, ma ancora non se n'è accorto. Negli USA invece le notizie sono di tutt'altro segno. L'ex stratega della campagna elettorale di Mondale (democratico che perse piuttosto male negli anni '80) ha imparato a fare i conti e in un magnifico articolo ci spiega che: l'effetto Palin sparirà presto; non bisogna guardare i sondaggi post-convention; se vanno a votare anche solo un po' più di giovani e neri in alcuni stati chiave Obama può colmare il gap che Kerry aveva con Bush 4 anni fa; che le nuove registrazioni in massa ai democratici ci sono proprio negli stati chiave (come Ohio e Pennsylvania) dove la battaglia per le primarie è stata più dura. Certo, bisogna proprio non guardarli i sondaggi post-convention: per esempio in New Mexico sembrerebbe che Obama si sia mangiato un grosso vantaggio nei confronti di McCain nel corso dell'estate, in Virginia la situazione è sempre in bilico ma ora pende un po' di più verso McCain. Il campionato è lungo e ci sono ancora molte partite da giocare.

10 settembre 2008

Will I vote? Qualche nota sul voto giovane


Potrebbero essere una chiave per la vittoria democratica alle elezioni, ma, fa notare Slate, dovevano già esserlo nel 2004. Non fu così, perché allora i giovani votarono di più, ma anche i non giovani. Andrà così anche stavolta? Forse no. Questo articolo su Slate dice, tra le altre cose che: nel 2006, un midterm carico di significato, ma pur sempre un midterm, i giovani hanno fatto la differenza in Montana e Virginia (due terreni cruciali anche stavolta); che spesso in molti non si registrano per difficoltà e dimenticanza, ma stavolta Obama ha messo su un'operazione apposta. Ecco una ricca analisi di Time (un numero di febbraio, quello della foto), una di E. J. Dionne e, per finire, il sito di Circle, organizzazione che si occupa di educazione civica e voto giovanile. Molti dati specifici e sintetici.

Un libro da leggere sul post 9/11, l'ultimo Woodward

Sarà uscito adesso per influenzare la campagna elettorale o perché sono gli ultimi mesi di Bush? Bob Woodward, che per i più giovani è uno dei due giornalisti che ha fatto scoppiare il Watergate e determinato le dimissioni di Richard Nixon, ha appena pubblicato (o forse il libro esce a giorni, goddamit, a Minneapolis non c'era ancora) The War within. Non c'entra con l'11 settembre, ma è in qualche modo la storia del dopo, di quello che l'attentato alle Torri gemelle ha prodotto e di come ha caratterizzato gli otto anni della presidenza bush. Ecco lo speciale del Washington post, dove lavora. Ci sono quattro ampi articoli e un'intervista video.

Amenità elettorali/2

Esistono solo due stati nei quali il sistema "winner takes all" non si applica, il Maine e il Nebraska. I voti elettorali di questi due stati (rispettivamente 4 e 5) possono essere divisi tra più partiti, anche se questo nella pratica non è mai accaduto. C'è uno scenario nel quale potrebbe essere importante provare a conquistare almeno uno dei 5 voti elettorali del Nebraska, ovvero se le elezioni si concludessero in pareggio (269 a 269). Può accadere se Obama conquista esattamente gli stessi stati di Kerry più Iowa, New Mexico e Nevada (scenario possibile). Per questo i democratici hanno aperto un ufficio elettorale a Omaha, la città più multiculturale del Nebraska. Sai mai..

Amenità elettorali

Negli Stati uniti votare a volte è complicato. Le organizzazioni a difesa dei diritti civili hanno spesso denunciato i trucchi attraverso i quali le minoranze vengono disincentivate ad andare al voto nel giorno delle elezioni (per esempio, la collocazione di poche macchine per il voto nei quartieri più popolari).

Civil rights groups fear that an unprecedented minority voter turnout due to Democratic presidential nominee Barack Obama might be countered by efforts to intimidate or otherwise block people who seek to cast their ballots.

Ieri 42 associazioni hanno incontrato il Segretario alla giustizia per ottenere rassicurazioni (anche se i suoi poteri in materia sono limitati) rispetto al corretto svolgimento delle operazioni di voto nei quartieri più "a rischio". Ecco il link all'articolo dell'Associated Press che racconta dell'incontro di ieri.

9 settembre 2008

Dedicato ai democrats de' noantri

Su la testa, scrive il New York Times: ciò che c'è di buono oggi in America lo si deve ai liberal, che oggi si vergognano anche di definirsi tali. Leggetevi l'elenco di conquiste liberal d'oltreocano e pensate quanto sarebbe più lungo se si facesse a proposito della sinistra in Italia. La conclusione è valida forse anche da noi: "Odiare se stessi è una cosa terribile. I Liberal dovrebbero smetterla".
Tutto questo mentre la destra ci crede, e dati alla mano scrive che "porca miseria, ce la possiamo fare in realtà". La realtà però sta cambiando e anche i salvataggi non sono più quelli di una volta: ecco una spiegazione da manuale dell'Economist di come il governo Bush ha salvati i due giganti dei mutui americani.

Preoccupati per Obama?

Siete preoccupati? Pensate che alla fine le armate del partito repubblicano riusciranno a prevalere comunque e a imporre di nuovo la legge della paura e della tenebra? Siete di quelli che paragonano Karl Rove al Sauron del Signore degli Anelli e immaginano che gli elettori evangelici siano più feroci degli orchetti? Cerchiamo qui di rassicurarvi, anche se un mese e mezzo fa si era tutti più sereni. Nel link trovate un articolo di tre importanti specialisti di questioni elettorali, che hanno scritto il 24 luglio una breve analisi per sostenere, numeri alla mano, perché queste sono le elezioni nelle quali vincerà un democratico, persino uno nero (e qui il link alla lunga riflessione della New York Review of Books proprio su questa faccenda della razza).
Rispetto ad allora le cose vanno meglio per McCain, ma l'analisi sembra reggere (anche su Marco Polo trovate oggi dei riferimenti ai fondamentali elettorali che in queste elezioni favoriscono i democratici): insomma, sta a Obama non fare il solito democratico e perdere le elezioni da solo come un Dukakis qualsiasi.

8 settembre 2008

Ancora Virginia e sondaggi

Qui accanto c'è una mappa elettorale con i dati stato per stato. E' aggiornato ogni giorno. Non riprende i sondaggi nazionali. Nei quali, oggi, McCain supera Obama per la prima volta. Presto per dire se è l'effetto convention, quello Palin o una tendenza destinata a durare. Vedremo tra una settimana se c'è da preoccuparsi - il GOP che abbiamo visto a Minneapolis era vecchio, di destra e senza idee, non sarebbe un bene trovarselo di nuovo al potere. In Virginia la registrazione è andata così, a livello nazionale, invece, ci sono 2 milioni di democratici in più e 340mila repubblicani in meno rispetto al 2004.

Paradossi della storia: il New Deal, i repubblicani e la nazionalizzazione di Fannie e Freddie

Tra le cose per cui verrà ricordata la presidenza di George W. Bush ci sono la tortura, la guerra, gli scandali di ogni genere, lo sfondamento oltre ogni limite del deficit pubblico e... l'intervento pubblico in economia. Il paradosso dei paradossi e la dimosrazione di come le teorie ribadite a Minneapolis fino a due giorni fa dal suo partito, valgano solo come strumento per garantirsi iconsensi dell'America profonda. Il governo americano ha comprato miliardi in azioni di Fannie Mae e raddie Mac, giganti della garanzia ipotecaria che assicurano lo scoperto bancario per prestiti immobiliari di diverse banche e dunque una porzione enorme dei mutui che le famiglie Usa non riescono a pagare. Ovvero, Washington ha operato il più imponente intervento in economia dai tempi di Franklin Delano Roosevelt e del New Deal. Bel paradosso. Anche se non del tutto nuovo: per i contractors in Iraq, per Halliburton e Blackwater il mercato non è mai esistito. Campano di commesse pubbliche.
Non si poteva fare altrimenti, certo. Ma alla convention ci è stato spiegato che era ora di tagliare la spesa, che Washington e la burocrazia non si devono mettere sulla strada delle forze del mercato. Oggi il mercato vorrebbe che chi ha prestato soldi senza garanzie fallisca, chi se li è fatti prestare e non può pagare finisca per strada e così via. E così è stato fino a quando la crisi non è arrivata alle istituzioni finanziarie e a mettere a rischio Wall street. Aspettiamoci di sentire strepiti e urla quando il Congresso democratico - quello è una certezza - approverà spese per infrastrutture che hanno disperato bisogno di essere rinnovate o costruite (i treni, ad esempio). Non siamo mica l'Unione sovietica, incalzerà qualche senatore repubblicano.
E come si recupereranno i soldi spesi? Con le tasse? A Minneapolis abbiamo sentito dire che le tasse verranno tagliate, a prescindere dal deficit e dalle esigenze di bilancio - compresi i soldi per l'Iraq che se verrà eletto McCain continueranno a prosciugare le casse. Una strana, incoerente, improbabile teoria economica. Più ideologica del piano quinquennale bulgaro e altrettanto inefficace.

E poi ci sono queste cose..

Altro che Sarah Palin o le folle da stadio di Denver. Le battaglie elettorali si vincono, soprattutto, con la bassa cucina e l'organizzazione. Mentre in Ohio si cambia la legge per la registrazione al voto allo scopo di favorire la partecipazione (e quindi i democratici, in questo caso, che nel 2004 persero lo stato per 100 mila voti), in Virginia (altro stato in bilico) si discute sulla registrazione al voto degli studenti che risiedono nel loro campus: i democratici li stanno registrando in massa, ma è in corso una battaglia sull'interpretazione della legge che permetterebbe di farlo (alcuni pensano che i ragazzi dovrebbero tornare a votare a casa nello stato dei genitori, altri no). Tra poco il Board of Election della Virginia farà conoscere le nuove guide linea sulla questione: la penna che le scriverà sarà democratica o repubblicana?

7 settembre 2008

Si chiama Schmidt, Steve Schmidt

E' lui l'uomo dietro lo stile aggressivo della convention repubblicana. Steve Schmidt è un allievo di Karl Rove ed è il direttore della campagna di John McCain. Ecco un suo ritratto sul New York Times. Su New Republic invece un bell'articolo ci spiega perchè, ad un certo punto, Barack Obama abbia smesso di fare il Community Organizer e si sia buttato in politica: non per proseguire il suo lavoro ma per fare qualcosa di radicalmente diverso.

6 settembre 2008

Il trash corre sulla rete

Questa foto circola da qualche giorno. Il fatto di averla ricevuta già tre volte, dimostra che con la scelta di Sarah Palin, McCain ha toccato un nervo scoperto.

The party's over...rassegna del mattino

Sei e mezza del mattino, l'abitudine a non dormire si è cronicizzata. Ecco lo score di Michael Tomasky sulle due convention, da Slate un divertente confronto dei quattro discorsi di accettazione fatti dai quattro candidati e un fact check interattivo del New York Times (dopo la retorica le cose come sono) e un'intervista di confronto da American a James Humes che ha scritto discorsi per cinque presidenti. l'editoriale di The Nation ("un partito bianco con un'agenda dettata dall destra, contro un partito diverso come non mai"). E poi LA Times sui due vice ("Non scelti perché servono a vincere in uno Stato, è una novità) e due New Yorker su McCain prigioniero di guerra del suo partito e la big night di Obama nello stadio dei Broncos. E per finire l'editoriale del Washington post: candidati non convenzionali, agenda troppo convenzionale.

5 settembre 2008

Biden su McCain (e le cifre sulla disoccupazione)

La disoccupazione cresce. Di nuovo. Più disoccupati a lungo termine, più a breve, meno gente sul mercato del lavoro, più doppi lavori. Vedo un comizio di Biden su C-Span. Bravo, un bel lottatore, furbo retore. "McCain è mio amico, davvero mi ha chiamato, quando ho ricevuto la nomination, siamo stati insieme in Grecia e mi ha portato a mangiare al porto" e così via. Ma sulla politica? Beh "Non andiamo d'accordo". Cosa ho sentito dalla convention? "Il problema è quello che non ho sentito: la parola middle class, la parola sanità, la parola lavoro, la parola ambiente. Le cose che contano per the american people". E sul lavoro, spiega quanto è grave: "il lavoro definisce una persona, le da identità". Non credo, ma posso sbagliare, che la convention repubblicana funzionerà. Ci sono più volontari e arrivano più fondi da quando Sarah Palin ha parlato. Sono i conservatori religiosi. Ma quella è una fetta della società americana, che pesa meno di quanto non pesasse nel 2004.

Un discorso moscio: i commenti a MCain

E' piaciuto più a me - per la costruzione, non i contenuti - che non alla maggior parte dei commentatori politici. I liberal, la sinistra, ridicolizzano McCain per aver rubato lo slogan a Obama ed averlo condito con una ricetta scialba e invecchiata. Ecco John Nichols da The Nation, e il liberal The New republic. Ed ecco la pagina dei commenti del Washington Post, tutti negativi: noioso e vuoto, e per uno che rincorre, il business as usual non basta. Un bel dibattito sulla National review - delusi , neutri, mi pare nessun entusiasta - e il blog di Mother Jones, che spiega che McCain ha nominato 43 volte la prigionia e 8 gli anni al Senato.

Retorica marziale e cambiamento, the Mack prende le distanze dal partito


Niente cattiverie nella nottata di Saint Paul. Non è roba per McCain. Ma un po' di furbizia sì. In un discorso molto retorico e indovinato, McCain completa il lavoro fatto dai suoi il giorno prima. Lui è il maverick, il cane sciolto. Il suo partito fa schifo? Otto anni di Bush sono un disastro? Che problema c'è? Il senatore dell'Arizona porterà il cambiamento a Washington, caccierà le lobbies, governerà a prescindere dalle appartenenze di partito e, naturalmente, difenderà la primazia degli Stati Uniti d'America.
"Il partito di Reagan e Roosevelt (Theodore), torna alle origini", ha detto, dopo aver criticato implicitamente i suoi. Con chi oltre a lui, che, e questo è un dato incontrovertibile, ha lavorato in maniera indipendente, spesso meglio con gli avversari che con i suoi? Qui in Minnesota non si sono viste facce nuove tranne una, quella della vice Palin, che non ha niente di nuovo, ma rappresenta anzi la parte peggiore della coalizione che sostiene il Grand Old Party. Certo, McCain è uno che fa da solo, ma questo, da un punto di vista razionale e del governo di un Paese come gli Stati Uniti, non è tranquillizante. Un Paese non è una squadriglia di aerei.
E poi, di nuovo, sulla sua storia personale, bella e terribile, che però non rende McCain uno pronto per comandare più di quanto quella di Obama non renda adatto lui. Può servire però a parlare agli elettori, a farsi conoscere, anche se per quello c'è già stata una giornata intera.
Il messaggio di cambiamento non era all'origi
e della campagna McCain, che ha saputo però riprenderlo e renderlo digeribile alla sua base. Programmi? Poco o niente, sappiamo che la sua presidenza farà tornare grande gli US of A ma è evidente che nemmeno lui sa come: a un certo punto si è infilato in una spiega sul fatto che c'è la globalizzazione e ci sono le nuove tecnologie imbarazzante. Non è roba per lui. E non sarà Sarah Palin a spiegargliele. Cosa vuol fare se presidente? Centrali nucleari, meno tasse che creeranno benessere - tremate disoccupati dell'Ohio, ve lo raccontano da otto lunghi anni - trivellazioni ("we are going to do it and we are going to do it now"), botte sull'Iran, la Russia. E poi qualche attacco non scorretto a Obama, che però caratterizza come un liberal anni 70.
McCain sarà un osso duro. Anche i suoi strateghi sanno fare il loro lavoro e l'impressione dalla serata di ieri, non da stasera, è che Karl Rove o qualche suo adepto ci abbiano messo lo zampino. Ma non nel discorso di oggi. Quella sembra farina del sacco di McCain.