30 maggio 2008

Chissà se i democratici la fanno finita

Domani si riunirà il comitato del partito democratico che dovrà decidere come far partecipare alla convention di agosto i delegati di Florida e Michigan, i due stati ribelli dove le primarie sono state una farsa. Come ci rispiega per bene il Los Angeles Times, Clinton ha bisogno di quei delegati se vuole avere delle speranze di farcela e Obama non può escludere due stati così grandi se vuole vincere le presidenziali. L'Associated Press, ripresa dall'Herald, fa un'analisi molto approfondita e intelligente di come Obama sia riuscito a sfruttare le regole democratiche a suo vantaggio combattendo distretto per distretto e limitando i danni laddove sapeva che avrebbe vinto la senatrice. La dirigenza del partito, nel frattempo, annuncia che il candidato democratico alle presidenziali ci sarà per la prossima settimana, costi quel che costi. Anche perchè, come ci spiega con la solita maestria l'Economist, ci sono ben 10 stati che saranno decisivi questa volta perchè sono incerti e con molti grandi elettori: nei 5 più grandi alle primarie ha vinto Hillary.

29 maggio 2008

Il libro dell'ex portavoce di Bush sulle bugie irachene scatena l'inferno

Scott McClennan ha lavorato per Bush dal 1999, è stato licenziato con Karl Rove nel 2006 e adesso pubblica un libro (What Happened: Inside the Bush White House and Washington's Culture of Deception) nel quale racconta come la guerra irachena sia stata preparata accuratamente e molti altri episodi che dipindgono la Casa Bianca di Bush come un porto delle nebbie). Ecco l'articolo da Liberazione e gli aggiornamenti da Huffington Post, che definisce quella tra lo staff di Bushe McClennan una guerra.

27 maggio 2008

Che fine ha fatto (farà) l'era del conservatorismo?

Il refrain sulla fine coalizione conservatrice è uno di quelli preferiti dagli analisti politici americani. Alcuni esponenti di spicco della cultura conservatrice si interrogano, altri cercano di ricollocarsi nei meandri della politica pronti a una nuova offensiva (è la scuola neocon), altri ancora sono per conservare, stare fermi. Quel che è certo è che i padri fondatori sono tutti vecchi o morti e che il richiamo a Ronald Reagan come collante comincia ad essere fiacco. Anche sul fronte evangelico, i pastori che hanno costruito la loro fortuna portando in dote segmenti di elettorato (e si sono legati a pià a Washington che al loro ministero) sono in declino. Ecco un lunghissimo articolo del New Yorker sul tema del declino della coalizione che Richard Nixon ha costruito a partire dalla sconfitta contro Jfk nel '60 e la mancata elezione a governatore della California nel '62. A rilanciare la coalizione non sarà McCain, che non è il tipo, anche se nella foto lo vedete appena tornato dal Vietnam con il "Tricky Dick".

Attenti a quei due: per il XXI secolo l'esercito americano lo vogliono cinese

Trattasi di neoconservatori di seconda generazione, Thomas Donnelly e Frederick Kagan (fratello di Robert, quello degli europei che vengono da Venere e gli Americani da Marte. Guardate la foto di Kagan nel link: una vaga e inquietante somiglianza con Veltroni). Questi due intellettuali di stanza all'American Enterprise Institute (Aei) di Washington ieri hanno scritto sul New York Post che l'esercito americano abbisogna di un milione di effettivi, roba da esercito popolare cinese. Le loro tesi sono racchiuse in un libro che hanno pubblicato da pochissimo: "Ground Truth".

L'hanno proprio sparata grossa. Intanto, speriamo abbiano già cominciato a fare una colletta con gli amici dell'Aei, sfruttando la bella terrazza dell'istituto lì sulla diciassettesima: dove li prende il governo americano i soldi di questi tempi.. Vogliono un esercito da guerra fredda, di un milione di effettivi per combattere quella che chiamano la "Long War"; secondo loro servono 240 miliardi di dollari e tutto sarà pronto per il 2017: e voi che non sapete nemmeno dove andare in vacanza.. E comunque, alla fine, se leggete l'articolo vi rendere conto che il punto è sempre lo stesso: i democratici sono dei finocchi senza palle.

ps. questa è gente che bazzica lo staff di McCain: fanno da soprammobile o possono parlare? Speriamo la prima.

26 maggio 2008

E il comandante disse: "Basta con la politica"

Quanto è stata messa sotto stress in questi anni la macchina militare statunitense? Non i poveri soldati in guerra, che hanno visto i loro turni prolungati e hanno combattutto in un ambiente ostile senza capirlo e senza che chi li comandava facesse qualcosa per migliorare la situazione politica sul terreno, ma la testa dell'esercito. Dopo il 2003, quasi ogni generale andato in pensione - e sono tanti - ha scritto, parlato, dichiarato, per protestare contr la conduzione della guerra irachena. Ci sono state prese di distanze esplicite, critiche dure contro il potere politico e accuse indirette contro colleghi che reggevano il gioco all'amministrazione Bush. Sarà per ristabilire un poco di calma e non invischiare l'apparato che comanda in una concione politica che si preannuncia durissima che, con un atto inusuale, il capo del Joint Chiefs Of Staff, Mike Mullen, ha preso carta e penna per scrivere ai suoi sottoposti chiedendo loro di non partecipare alla battaglia politica del prossimo autunno. Quello di Mullen è un gesto informale, ma è una novità. Ecco l'articolo dal New York Times.

24 maggio 2008

A che punto è la corsa democratica?

Ieri, per sostenere la necessità di rimanere in gara, Hillary Clinton ha spiegato che il marito ha vinto le primarie a giugno e che un altro candidato, Bob Kennedy, è stato ammazzato proprio a giugno, mentre era ancora a caccia della nomination. L'esempio non è piaciuto, se c'è un candidato che corre qualche rischio serio, questi non è la senatrice. ed ha scatenato reazioni di ogni sorta. La campagna di Hillary si è scusata. Ma tolte le schermaglie e il balletto sul comitato democratico destinato a decidere cosa fare con le delegazioni di Florida e Michigan, è bene guardare i numeri. Il direttore di Guardian America Michael Tomasky fa i conti di delegati, superdelegati e prossime primarie e senza trarre conclusioni, ci lascia intendere, come sappiamo da mesi, che Clinton ha poche frecce al suo arco (nel pezzo di Tomasky una serie di link a scenari prodotti da diversi bloggers). In estrema sintesi, se la senatrice vincesse di molto a Portorico e Obama di poco in South Dakota e Montana, a Clinton servirebebro comunque il 91% dei superdelegati rimasti (il calcolo precede qualche nuovo schieramento). Nel complesso al senatore dell'Illinois mancano 61 delegati per superare di uno quota 2025, mentre a Clinton ne servono 247. Attenzione: Clinton in Florida ha preso il 50% dei voti, mentre Edwards e Obama, sommati fanno 47%. Il distacco è dunque molto relativo, anche nel caso i delegati dello Stato venissero ammessi (sul Michigan difficile pensare una soluzione identica).

Il grande Satana, Obama e la politica estera

Ricordate? Ci fu un tempo in cui Obama non era abbastanza nero. Poi era troppo liberal e per finire troppo negro, così negro da essere un discepolo di Jeremiah Wright. Che a sua volta è naturalmente un affiliato di Farrakhan. La nuova debolezza, il nuovo punto su cui gli editorialisti americani insistono in questi giorni è quello di voler finire a letto con Ahmadinejad, Assad e Kim Jong il (per non parlare di quel pericolo pubblico di Raul Castro). L'argomento usato è: Obama ha dichiarato di voler dialogare incondizionatamente con i nemici dell'America, un segno di debolezza. Obama, nei giorni scorsi ha corretto il tiro, sostenendo che quell'incondizionatamente significa che l'obbiettivo è il dialogo e che questo va preparato. Peter Wehner sulla National Review gli rimprovera di essere impegnato a far dimenticare tutti gli elementi di novità, di essere come gli altri, di rimangiarsi gli annunci. Charles Krauthammer è ancora più duro sul Washington post di ieri. Lo scontro sul dialogo - e sul modo in cui ad esso si accenna nei comizi - sta diventando il centro degli scambi tra McCain e il senatore dell'Illinois e i suoi alleati politici si mobilitano (ecco la risposta di John Kerry a Krauthammer). Del resto la polemica l'ha cominciata il presidente Bush a Tel Aviv uno che sta progressivamente prendendo un ruolo nella campagna repubblicana. Ecco l'opinione del New York Times in materia e un commento del Christian Science Monitor che formula domande ai due candidati presidente. E poi una riflessione sull'importanza del dialogo di un altro presidente Bush ripreso da Mother Jones. Sullo sfondo, sarà bene non dimenticarlo, la ripresa dei colloqui tra Siria e Israele e la probabile risoluzione della infinita vicenda della presidenza libanese. Questa seconda non è disgiunta dalla prima. Il contesto mediorientale si muove appena, l'amministrazione Bush, come spiega un'analisi informata, sempre da Mother Jones, sta a guardare.

23 maggio 2008

Novembre 2008: chi ce l'ha più americano

Un tema della campagna elettorale di John McCain sarà questo: votate per un americano vero come me, non per quel mezzo americano di Obama. Poi vedremo che toni userà e chi si incaricherà di diffondere il messaggio, ma la sostanza è quella appena enunciata. Serve anche a corteggiare quelli che Marco Polo chiama Angry Democratic White Man, quelli che per esempio hanno dato del traditore a John Edwards (un uomo del sud) per aver deciso di sostenere quel negro di Obama. Come ha sottolineato giustamente Harold Meyerson una settimana fa, in questo modo americano fa rima con bianco, poi fa rima con cristiano ecc. ecc. In questa campagna elettorale si porterà così.

22 maggio 2008

Cosa ne pensa Arianna?

La signora Huffington è uno degli scherzi del destino che dobbiamo a George W. La miliardaria che fonda il blog/portale di notizie radical di enorme successo e pieno di scoop e insights è uno dei paradossi della politica e dell'informazione americana di inizio secolo. Ma tant'è. Arianna Huffington ha appena pubblicato un libro ( Right Is Wrong: How the Lunatic Fringe Hijacked America, Shredded the Constitution, and Made Us All Less Safe ) dove spiega il suo abbandono dei repubblicani, le sue scelte e tutto il suo disprezzo verso la destra che ha guidato il Grand Old Party nell'ultimo decennio. Ecco l'introduzione da Alternet.

Ma conta più Karl Rove o Bruno Vespa?

Esistono figure eterne della politica (o che vivono attorno alla politica): una di loro è certamente Bruno Vespa. Accada quel che accada, loro saranno sempre lì. Karl Rove, l'ex boy genius del Presidente Bush, si sta incamminando in questa direzione. Sempre presente in tv, conferenze, giornali.. E' temuto, rispettato e ascoltato. In campo democratico e in campo repubblicano. Oggi sul Wall Street Journal attacca Obama sulla politica estera e l'incertezza delle sue risposte in merito alle solite questioni: Corea del Nord, Siria, Iran... Obama sarebbe ondivago e istintivamente portato a sottovalutare l'entità dei pericoli che minacciano gli Usa.

Nei giorni scorsi l'Abc ha tirato fuori le mappe elettorali della società di consulenza che appartiene allo stesso Rove, ed è seguito in rete dibattito frenetico tra siti ufficiali e blog: la Clinton vincerebbe a mani basse contro McCain, per Obama invece problemi seri. Il mago dei sondaggi dice la verità o tira, ad arte, una bomba nella competizione democratica? Quale che sia la verità, Rove vive una sovra esposizione mediatica che dimostra quanto in fretta ci si possa rifare una vita.

21 maggio 2008

Un nuovo ciclo per la politica Usa? Un'intervista con Arnaldo Testi



Ecco una lunga intervista con Arnaldo Testi pubblicata stamane su Liberazione (e ribattezzato Armando dal sottoscritto imbecille). Testi è professore di Storia degli Stati Uniti a Pisa ed ha appena pubblicato "Il secolo degli Stati Uniti" (il Mulino). Quali coalizioni, il bipolarismo e la corsa al centro, i partiti e la loro organizzazione sono alcuni dei temi toccati. Ecco il testo completo

Altri dati obamiani (si parla di soldi)

In aprile Obama ha raccolto 31 milioni di dollari. La notizia è che prende un sacco di soldi da gente comune, una forma attiva di partecipazione politica che mostra l'ampiezza incredibile della sua base politica personale. I nuovi dati (da Huffington Post) dicono che:

  • in aprile ha ricevuto denaro da 200 mila nuovi donatori;
  • il 94% di essi erano contributi sotto i 200 dollari;
  • la media delle donazioni è di 91 dollari per singolo sostenitore.
Se si guarda ai quattrini si vede che la strategia di mobilitazione "popolare" di Obama per ora funziona.

Come da programma

Tutto come da programma, Obama in Oregon e Clinton in Kentucky. Ora Obama ha ufficialmente la maggioranza dei delegati, anche se non raggiunge con essi il quorum necessario a vincere Convention. La Clinton deve decidere come vendere la pelle (e ha i numeri per chiedere molto). E ora? Obama parla in Iowa, uno stato che ha votato per Bush nel 2004 e che crede di avere con sé a novembre. Strategia a visionario? L'obiettivo è far sì che a novembre si buttino le carte elettorali usate per capire il voto del 2004. E' la scommessa elettorale di Obama: per vincere deve fare la storia, il vento favorevole ai democratici potrebbe non bastare.

20 maggio 2008

I superdelegati. In soccorso dei vincitori (domani Obama avrà la maggioranza assoluta di delegati)


Quando si capisce che hai vinto? Quando hai tanti amici. Il grafico della Abc (di una decina di giorni fa, ma il trend non muta) mostra il sorpasso di Obama sulla Clinton in termini di superdelegati. Molto efficace per vedere come la vittoria in North Carolina del 6 maggio abbia dato il colpo finale a Hillary (Obama la supera subito dopo questa data). E domani, dopo le primarie dell'Oregon, altri correranno in soccorso del vincitore.

Quanto costa un superdelegato?

Alla fine, business is business. La politica americana è sempre stata soprattutto una faccenda di soldi, quindi la domanda è lecita. In tempi così incerti un superdelegato costa sui 500 mila dollari. In cambio non solo darà il suo appoggio alla Convention, ma organizzerà i suoi caporioni per portare la gente a votare a novembre. A quanto pare Obama ha finanziato (attraverso i tanti strumenti che la legge americana mette a disposizione) almeno 34 superdelegati. Il più grande donatore privato di fondi diretti alle campagne elettorali degli Usa, Haim Saban, avrebbe offerto un milione di dollari all'associazione Young Democrats of America affinché due superdelegati appoggiassero Hillary Clinton. La notizia è riportata dall'Huffington Post. Sul fatto che si tratti di un'azione legale esistono diverse interpretazioni, ma sostanzialmente la questione non è regolata.

19 maggio 2008

Il santo dell'Oregon e la paura dell'uomo nero. Il vero ostacolo che divide Obama dalla Casa bianca


Barack Obama ha messo insieme 75 mila persone a Portland - Oregon - prima del voto di domani (qui sotto il post sulle primarie di Oregon e Kentucky). Per l'America sono numeri grandi: Obama continua a mostrare le sue capacità di organizzatore, attraverso le quali giura che vincerà le presidenziali (riuscirà a organizzare tante persone che ne porteranno tante altre a votare); prepara con un bagno di folla il suo avvento ufficiale per le presidenziali di novembre; si riveste ancora una volta di quell'aura di santità che lo "scandalo" Wright e il bittergate parevano allontanare. Guardate questo buffo video apparso su youtube: lo ha messo in rete un elettore di Obama che rimpiange di non essere andato all'evento politico del mese. Se altri faranno come lui per Obama potrebbe mettersi bene. Adesso è lui contro la paura dell'uomo nero, che negli Usa è ancora all'ordine del giorno (ma non la si confessa agli intervistatori dei sondaggi); solo quello lo divide dalla Casa bianca. Un partito che ha tutto dalla sua (quello democratico: odio verso otto anni disastrosi di Bush; una guerra fallimentare; la crisi economica; tutto imputato al partito repubblicano) può sfidare l'umore antico dell'America profonda? Speriamo di sì.

Bluegrass e Beaver al voto: Kentucky e Oregon chiuderanno la partita?

Altro giro, altra corsa. Lo sanno tutti, Hillary è in enorme vantaggio in Kentucky e Obama ha un buon margine in Oregon. Uno è uno Stato bianco rurale, collocato a cavallo tra il midwest e il Sud. Con tutto quello che questo significa in termini di conservatorismo, diffidenza verso i neri, che a differenza di altri Stati dell'area, qui non sono nemmeno un pezzo rappresentativo dell'elettorato. Il Kentucky è un altro di quegli Stati che era solidamente democratico fino alle lotte per i diritti civili, quando tutto il Sud ha abbandonato il partito di Lyndon Johnson per il Grand Old Party. Ha scelto i suoi democratici negli anni 70 e 90 - l'ex governatore delle Georgia Jimmy Carter e quello dell'Arkansas Bill Clinton - ma poi ha eletto George W. a larga maggioranza. Nei sondaggi sulle presidenziali elegge McCain con più di dieci punti di scarto. Contro Clinton e contro Obama. L'Oregon è il contrario esatto: uno Stato che cambia rapidamente a cavallo tra San Francisco e Seattle, pieno di giovani, università, economia avanzata e tanti produttori di birra. Se ci fosse anche un 20 per cento di afroamericani sarebbe la tana di Obama, ma in Oregon i neri sono solo il 2%. Domenica scorsa, a Portland, il senatore ha radunato 75mila persone. Un record per la città. In Oregon, sebbene con margini relativamente piccoli, Gore e Kerry hanno vinto (il sentimento anti guerra in Iraq è forte). Anche nei sondaggi per il 2008 Obama e Clinton battono McCain.
La partita del voto in questi due stati non è comunque quella di chi e come si vince. A Obama mancano 16 delegati per raggiungere la maggioranza assoluta dei delegati e, comunque vada, la otterrà. Obama ha fatto sapere che comunque vada non si proclamerà vincitore, ma a quel punto altri superdelegati si schiereranno e - forse - l'estenuante esercizio democratico delle primarie sarà finito. A meno che Hillary non decida di andare avanti premendo sul comitato ristretto del partito chiamato a dirimere la vicenda dei delegati di Florida e Michigan. Nel comitato Clinton può contare su molti amici, ma una decisione troppo favorevole all'ex first lady farebbe infuriare i sostenitori di Obama. Il comitato si riunisce il 31 maggio.

18 maggio 2008

I repubblicani al bivio

Le ultime elezioni suppletive non depongono bene per i repubblicani: i democratici ora sfondano anche nel sud profondo dove una volta Bush vinceva a man bassa. Ma l'affluenza delle suppletive non è mai quella delle elezioni vere anche se la crisi del partito repubblicano è oramai oggetto di dibattito interno come ci spiega l'edizione sudafricana del Guardian. Una linea preferisce puntare sugli elementi di novità della piattaforma di McCain come i punti sull'immigrazione e l'ambiente, ed è ben descritta dal Los Angeles Times. Il San Francisco Chronicle racconta delle idee del governatore della California Schwarzenegger su come ridisegnare il profilo dle partito. Inseguiamoli sul loro terreno sembra dire Arnold. E' vero che McCain non è un neocon ed è altrettano vero che non è il repubblicano standard, ma un conto è vincere in California parlando di ambiente e assicurazione sanitaria per tutti (come ha fatto l'ex attore), un conto è portare a casa gli Stati conservatori: i due vincitori sui generis sono Schwarzy e Bloomberg, Sacramento e New York. L'altra linea di condotta repubblicana per provare a vincere fa perno sull'attuale amministrazione Bush e parte dall'idea che un attacco all'Iran spariglierebbe di parecchio le carte della campagna permettendo all'attuale presidente di consegnare, è questa l'idea di Cheney, un'idea diversa di sè ai libri di storia. I piani sono usciti sulla stampa israeliana già da un po', eccone la descrizione sul sito Debkafile.

17 maggio 2008

Obama ammira Bush padre

A leggere le parole di Obama sulla crisi libanese (sulla quale c'è un ottimo speciale di Lorenzo Trombetta) sembra di sentir parlare qualche membro realista dell'amministrazione di Bush senior: dobbiamo abbandonare l'approccio ideologico, bisogna risolvere i problemi e non semplicemente cercare di apparire forti. Per questo Obama propone di adottare una strategia politica che prosciughi il mare in cui nuota Hizbullah, piuttosto che fare una battaglia militare e ideologica contro di essa. David Brooks, sul New York Times, lo paragona a James Baker per il suo realismo. Sarebbe un capovolgimento rispetto all'ideologia globalista e interventista che ha caratterizzato, in maniera diversa, sia l'amministrazione Clinton che quella di Bush junior. I fallimenti di quest'ultimo in Medio Oriente sono analizzati con grande acume da Jon Alterman del CSIS.

Duello Bush-Obama sulla politica estera. McCain avrebbe parlato con Hamas (prima, adesso non più)

La pietra dello scandalo sono le posizioni in politica estera del candidato democratico. L'idea che con i nemici si tratta non fa parte del vocabolario politico della presidenza di George W. Bush che per spiegarlo è andato a Tel Aviv, accusando coloro che vorrebbero dialogare con l'Iran di essere simili ai nazisti. Obama ha risposto a questo siluro in maniera molto netta (qui la notizia Reuters e il video con la risposta del senatore). In questo dibattito sulla politica estera, destinato ad essere cruciale, essendo la carta possibile di John McCain, entra un altro filmato in cui McCain spiega che Fatah non stava facendo bene, che se la gente ha votato Hamas, “prima o poi bisognerà averci a che fare". Una posizione ragionevole, ma non se si deve fare campagna elettorale per diventare presidente cercando di mobilitare la tua base elettorale.

15 maggio 2008

Congresso, i repubblicani aspettano novembre come d'autunno sugli alberi le foglie

Dopo la terza sconfitta consecutiva in seggi considerati feudi conservatori, l'aria nel partito repubblicano si è fatta irrespirabile. La paura di molti che andranno a giocarsi il posto a novembre è quella di finire trascinati in una grande rivolta contro la presidenza Bush. Nelle fila del partito c'è nervosismo e si comincia ad accusare la leadership. Un'analisi del New York Times, il commento dall'interno di Weekly standard e i consigli di Karl Rove.

Il bianco del Sud sceglie Obama

La notizia è semplice e metterà altra pressione su Hillary Clinton. Dopo aver aspettato mesi per scegliere un candidato, l'ex senatore, ex candidato vicepresidente e candidato alle primarie ha scelto di uscire allo scoperto. A malignare si potrebbe pensare che la scelta di Edwards arriva quando i giochi sono fatti e non si rischia più nulla. Ecco la notizia da Politico e la valutazione politica di The Fix. La campagna di Hillary risponde che rispetta Edwards ma che gli elettori della West Virginia hanno parlato. L'annuncio potrebbe - forse - ridurre di poco il distacco di Obama in Kentucky.

14 maggio 2008

Obama, la razza e la testardaggine controproducente di Clinton

Qualcuno se lo è dimenticato, ma prima delle primarie della South Carolina, Obama non era black enough, abbastanza nero e doveva correre contro la moglie del primo presidente nero d'America - uno dei nomignoli di Bill. Fu allora che scese in campo Michelle e che, nello Stato del Sud, Obama di quando in quando accentuava una calata strascicata per ricordare ai fratelli di essere nero. Ora siamo all'estremo opposto. Sarà l'effetto Wright o l'effetto di una efficace quanto pericolosa campagna di Clinton? E poi, siamo certi che in Ohio e Pennsylvania, per citarne due importanti, gli elettori democratici impauriti dal “nigga" sceglieranno il candidato del partito che ha portato il Paese nel punto più basso? La domanda se la fanno anche su New Republic. E' molto presto per sparare sentenze, ma di certo (guardate i numeri dal blog del Washington post) Obama ha un problema. Qui Clinton spiega in un'intervista perché è lei la persona adatta a convincere i bianchi (a destra due tasti con l'audio) e qui un commento stizzito di Mother Jones (Hillary resta in corsa per poter dire: ve l'avevo detto?). Chris Cilizza suggerisce qualche mossa alla campagna del senatore dell'Illinois. Una cosa certa è che l'atteggiamento scelto da Hillary è catastrofico per il partito democratico. E che probabilmente non le servirà se non a danneggiare Obama e se stessa: se perde nessuno la vorrà più come leader al Senato. Come spiega Dana Milbank in questo più che divertente reportage da camp Clinton in West Virginia, Hillary è un ex candidato.

West Virginia: ancora il fardello dell'uomo bianco. Per fortuna che i repubblicani implodono

Neanche queste elezioni fossero un manuale di sociologia, la bianca, povera e rurale West Virginia ha votato in massa Hillary Clinton (67%). Obama non si è nemmeno scomodato per andare in pubblico a commentare il voto. Certo che se vuole passare alla storia dovrà capire come tenere tutti i pezzi assieme e vincere. Ad aiutarlo ci pensano i repubblicani: hanno perso un'altra elezione suppletiva in Mississippi, in un seggio ultra-conservatore. Il vero problema oggi è essere repubblicano, e per questo le elezioni saranno ancora più interessanti: per McCain riuscire a mobilitare una base repubblicana stufa e i cosiddetti "indipendenti" che contende a Obama non sarà facile. Qui l'articolo di Politico sull'implosione repubblicana.

13 maggio 2008

L'eredità di Bush

Un sondaggio della Gallup ci spiega che il peso dell'eredità di Bush per McCain sarà maggiore di quello che le parole di Wright hanno sulle possibilità di successo di Obama. Politico aggiunge altri motivi di preoccupazione per McCain, che si trova a dover rappresentare un partito quanto mai screditato da questa presidenza. Nel frattempo, il candidato nero sembra aver smaltito l'effetto della campagna negativa della Clinton ed è di nuovo sopra nei sondaggi sulle elezioni di novembre rispetto al candidato repubblicano. D'altronde, ci fa notare Reed Galen, c'è più di un aspetto che fa somigliare il senatore dell'Illinois all'attuale inquilino della Casa Bianca: per esempio la "disciplina del messaggio" o il lavoro sul territorio. Non c'è che da eliminare quel fastidioso ronzare della campagna della Clinton, e McGovern, che di sconfitte se ne intende parecchio, da alcuni suggerimenti sul New York Times: un po' come i comunisti di una volta, propone di mettere il partito davanti a tutto.

12 maggio 2008

Sette idee di McCain per battere Obama (che continua ad accumulare superdelegati)

Il Time riassume in sette punti la strategia anti-Obama del senatore McCain. Le differenze programmatiche sono note, ma il modo per rappresentarle e costruire la candidatura passa necessariamente per la nomina del candidato avversario. Intanto il senatore democratico ha raccolto altri cinque superdelegati tra domenica e lunedì (Tom Allen, Maine, Dolly Strazar e il senatore Daniel Akaka, Hawaai, il segretario dell'Idaho Keith Roark e Crystal Strait della California). Sono 22 in quattro giorni, due hanno cambiato campo, abbandonando Clinton che, a sua volta ha ricevuto l'appoggio di due nuovi superdelegati. Anche su questo terreno il vantaggio di Obama aumenta. I vari conteggi vanno da un 277 pari di Nbc al 278 a 271 di Associated press (Cnn da ieri assegna due superdel in più al senatore). Domani si vota in West Virginia, aspettatevi un trionfo di Hillary e un fuoco di sbarramento della sua campagna. La West Virginia è bianca e molto povera e l'argomento sarà il solito: gli operai bianchi votano per me. Sarà a loro che Obama dovrà dedicare la maggior parte delel energie nei prossimi mesi. Del resto dopodomani visita la contea più bianca e reagan-democratica del Michigan, mica l'Oregon o il Kentucky - dove si voterà martedì 20, quando i due candidati vinceranno uno Stato per uno e, dicono quelli che se ne intendono, Hillary Clinton concederà la vittoria.

11 maggio 2008

Gaffe di Edwards in Tv: rivela senza volere di aver votato Obama

“E' possibile che il candidato che lei ha votato sia anche quello che appoggerà alla convention?" chiede la giornalista televisiva di Msnbc a John Edwards, fresco di voto nella sua North Carolina. "Beh, ho appena votato per lui, quindi...". "Per lui???"....imbarazzo. La campagna dell'ex senatore ha diffuso un comunicato che spiega che il candidato populista non ha detto him (lui) ma 'em, (them, loro). Ecco il video di dodici minuti, la battuta è in fondo, valutate voi. Edwards sarebbe molto importante per Obama in North Carolina e non solo, tra l'altro ha un gruppetto di delegati e sposterebbe qualche superdel. Ma aspetta di essere certo della sua nomination: vuole un posto chiunque vinca (e probabilmente ne avrà uno). Ma nei dieci minuti di intervista elogia Hillary a lungo. Suona un po' come l'onore delle armi.

Novembre e gli incubi repubblicani per il Congresso

Nelle ultime settimane hanno perso due elezioni suppletive per seggi alla Camera. Una in Illinois l'altra in Louisiana, Stati molto diversi e distretti elettorali che dominavano da decenni. I sondaggi dicono che il partito repubblicano si appresta a perderne un altro in Mississippi. Se le elezioni del novembre 2006 non erano state uno tsunami ma una sonora sveglia, il prossimo novembre si staglia all'orizzonte come una salita durissima per il partito di McCain. Il numero di seggi vacanti è altissimo e molti sono a rischio per il Grand Old Party, le rilevazioni indicano una propensione pro democratica dell'elettorato inimmaginabile qualche tempo fa e il presidente Bush è meno popolare di Nixon alla vigilia delle dimissioni. In generale tutti gli indicatori (chi si identifica come repubblicano, chi dice che voterà repubblicano) sono ai minimi assoluti da quando questo tipo di inchieste vengono condotte. L'analisi di Politico.

10 maggio 2008

La lunga onda conservatrice e Richard Nixon

Sulla Sunday book review del New York Times l'introduzione e una lunga recensione di "Nixonland, the rise of a president and the fracturing of America" di Rick Perlstein. Un tema di grande attualità ora che sembra che la coalizione conservatrice che governa di fatto gli Stati Uniti da decenni sia arrivata al capolinea - lo sarebbe persino nel caso di vittoria di McCain, che non è un esponente classico di quella coalizione. Il sottotitolo del libro, che fa riferimento alla frattura americana è altrettanto attuale: se Obama sarà il nominato democratico un tema della sua campagna sarà proprio quello di andare oltre quella separazione culturale e politica del Paese. E sempre a proposito di conservatori, ecco l'analisi di David Brooks, ancora dal Nyt sul ritorno dei Tories di David Cameron. L'ascesa è tutta da testare in un'elezione vera, dove a votare vada almeno la metà degli aventi diritto, ma l'interessante dell'articolo sta nella tesi: Cameron vince perché dimentica, va oltre l'icona di Margaret Thatcher, il Grand Old Party continua a vivere nella nostalgia dell'età d'oro reaganiana.

9 maggio 2008

Superdelegati, corsa all'endorsement per Obama

Ieri tre, oggi altri tre: Peter De Fazio (deputato dell'Oregon), Donald Payne (deputato del New jersey, cambia passa da Clinton a Obama) e John Gage (segretario della American Federation of Government Employees). Come prevedibile dopo il risultato di North Carolina e Indiana, la lista dei superdelegati che decidono di appoggiare Obama si allunga. I conti della ABC arrivano addirittura a dire che il senatore ha superato Clinton anche su questo terreno. Ma ogni grande network e media importate ha i suoi conti, che divergono a seconda delle fonti o delle modalità con cui si compone la lista. Qui sotto lo stato della corsa nei conti delle fonti più autorevoli. Il 5 febbraio, dopo che Hillary ha cominciato la sua rimonta per quantità di voti presi, l'ex first lady guardava Obama dal'alto di un vantaggio di 60 superdelegati. All'epoca ragionare di arrivare alla convention aveva senso, oggi meno.

ABC
OBAMA 267
CLINTON 265

CBS
CLINTON 271
OBAMA 261

CNN
CLINTON 268
OBAMA 258

NBC
CLINTON 274
OBAMA 260

Associated Press
CLINTON 271.5
OBAMA 266

New York Times
CLINTON 263
OBAMA 258

Politico
CLINTON 268.5
OBAMA 260

Washington Post
CLINTON 271
OBAMA 256

E' aperto il safari, la preda sono i voti dei reagan democrats


Hillary Clinton proprio non vuole farsi da parte. Stamane la sua campagna ha mandato in giro una lettera di Bill che spiega che la corsa non è finita ("fino a quando non hanno votato tutti") e chiede un contributo finanziario. Ieri in West Virginia l'ex first lady ha ribadito il suo tormentone: i bianchi sono con me. Per dare la caccia al loro voto Hillary ha assunto posizioni che il liberal The New Republic definisce populismo conservatore. Non un buon servizio al suo partito. Sulla necessità di raccogliere quel voto, di strapparlo al partito avversario è tornato Pat Buchanan, già uomo dell'amministrazione Reagan, candidato alle primarie contor Bush padre e conservatore coi fiocchi. Oggi fa il commentatore e in quest'articolo spiega a McCain che se non strappa i voti di quelli che hanno scelto Clinton in Ohio, e in qualche altro Stato, non va da nessuna parte. Buchanan sembra pensare che il compito sarà duro anche per Obama, solo un po' meno. Dopo il buon vecchio caro Newt Gingrich, ora Buchanan. Gli ultimi eroi della rivoluzione conservatrice sono preoccupati. E. J. Dionne, sul Washington Post, segnala che la vittoria di Cazayoux in Louisiana, dove i repubblicani hanno condotto una campagna che collegava Obama e Pelosi al bianco e moderato candidato democratico, è un segnale di dove soffia il vento. E aggiungiamo noi, che ha ragione Gingrich quando dice che non è a colpi di Hussein Osama, Hamas e fango che il G.O.P. può sperare di vincere le elezioni.

Fondamentali elettorali e il fardello dell'uomo bianco

Su questo blog si è parlato più volte del fardello dell'uomo bianco che queste elezioni portano con sé: le primarie demo- cratiche hanno conosciuto una polarizzazione razziale che la Clinton e i suoi riassumono dicendo "i blue-collar bianchi che mi sostengono non voteranno Obama" . Qui e qui alcuni passaggi della campagna elettorale che avevamo segnalato sulla questione, qui altri interventi da Marco Polo Reviews of Books.

Paul Krugman (che non ama Obama) riprende la questioni sul New York Times. Come al solito capacità di sintesi e chiarezza: i "fondamentali" elettorali sono a favore dei democratici, per tre motivi:

  1. l'economia: è la prima preoccupazione degli elettori (si premierà chi vuole cambiare);
  2. lo scontento per Bush è tale che il suo partito verrà punito;
  3. gli elettori si stancano del partito che sta otto anni al potere

Però anche Krugman ha paura dell'uomo nero: se non si occuperà tutto il tempo di economia, che interessa ai blue-collar americani in difficoltà e alla classe media bianca, Obama sarà destinato alla sconfitta. Paul Begala (un altro pro-Clinton) parlava l'altro giorno della "Dukakis Coalition" - perdente a novembre - che oggi sosterrebbe Obama. I clintoniani dovrebbero farla finita, prima che ci si trovi di fronte a una profezia che si autoavvera. Oppure siamo alla minaccia politica spicciola? In fondo, nel gruppo Clinton si cerca di contrattare con Obama la buona uscita dalle primarie: si tratta di soldi e posti di lavoro (a questo proposito leggi l'articolo da "From The Field").

8 maggio 2008

Il Michigan ha trovato un compromesso sui delegati. Hillary lascia entro il 15 giugno?

La telenovela Florida - Michigan continua. Tutti i voti devono poter contare, sostiene da settimane Hillary chiedendo che i risultati delle primarie svolte contro le regole del partito democratico vengano registrati come buoni. La proposta che il comitato democratico del Michigan - che senza trovare soluzioni non vedrà la propria delegazione seduta alla convention - è quella di assegnare 69 delegati a Clinton e 59 a Obama, il cui nome non era sulla scheda, perché si era impegnato, come la senatrice a non concorrere. Con questi numeri si registra la vittoria di Hillary ma le si attribuiscono meno delegati di quanti non le spetterebbero. Vedremo se il partito nazionale o la campagna di Obama saranno d'accordo. Molto dipende da quanti superdelegati si schiereranno in questi giorni. Se Obama sentirà la vittoria in tasca, allora si potrà permettere di essere generoso, sul Michigan nei giorni scorsi David Plouffe, numero due della campagna del senatore, ha detto che un compromesso è possibile. Giorni fa Huffington Post aveva svelato che lo staff di Clinton stava pensando di usare tutto il peso politico della famiglia per far adottare al comitato che dirime le questioni procedurali in vista della convention una decisione tutta a suo favore (far sedere i delegati di Florida e Michigan esattamente per come sono andate le primarie). Era un'ipotesi sporca ma plausibile per ribaltare il risultato delle primarie se il voto di Indiana e North carolina fosse andato diversamente. Adesso, ammesso che Clinton abbia ancora la forza per farlo (e questa analisi del NYT suggerisce che i tempi sono cambiati), suonerebbe talmente male da essere un regalo gigantesco a John McCain. Sempre a sentire il portale finanziato dalla signora Huffington, Hillary sarebbe pronta a mollare prima del 15 giugno.

E i repubblicani?

Adesso che la scure della politica e della stampa si sta abbattendo su Hillary Clinton (un'ultima coltellata on-line alla senatrice, una tra le tante: Douthat su The Atlantic che spiega perché il partito democratico impedirà alla Clinton di provare a vincere nella Convention. Titolo: "Why Hillary Cant't Win"), possiamo cominciare a osservare con più attenzione il campo repubblicano. I democratici hanno i numeri dalla loro: l'economia e la guerra vanno male dopo otto anni di presidenza repubblicana, e la superpartecipazione alle primarie dimostra il desiderio di cambiamento. Nonostante questo i democratici sono terrorizzati dalla possibilità di vedere vincere di nuovo un candidato repubblicano, uno che alla fine sia capace di tenere insieme i pezzi di una coalizione stanca ma ancora in grado di sparare il colpo decisivo (sul clima nel partito democratico - il tema è la paura di una spaccatura nel loro elettorato - leggete ASSOLUTAMENTE la trascrizione del dibattito televisivo della CNN tra Paul Begala e Donna Brazile: qui il video).

E i repubblicani? Hanno più paura dei democratici. Vedono che il proprio candidato ha raccolto molti meno soldi, che si perdono seggi - un tempo sicuri - al Congresso (è appena accaduto in Louisiana), osservano l'incredibile mobilitazione dei democratici alle primarie. E' vero che Nenni in Italia diceva "piazze piene, urne vuote", ma i repubblicani hanno paura, paura vera. O quanto meno si cerca di dare una scossa decisa. Leggete cosa dice Newt Gingrich a proposito della sconfitta della Louisiana e il neocon da barzelletta John Podhoretz su Commentary sulle primarie democratiche (magari sull'articolo di Gingrich ci torniamo, vale la pena).

7 maggio 2008

E' la stampa, bellezza. La muta di cani attacca Hillary

Obama è stato sulla graticola della stampa per quasi mese intero. Il "bittergate", il reverendo Wright. Oggi il pareggio tra i candidati mette in ginocchio la Clinton (che però non rinuncia, almeno per ora) e tutti i mezzi di stampa si accaniscono come un sol uomo contro il perdente di giornata. Induce quasi a un moto di pietà. Il Washington Post ci racconta che non ha più una lira per fare campagna elettorale; John Judis del New Republic conferma che è rimasto solo Obama, e che ha dimostrato di avere le energie per combattere una campagna elettorale (prima lo aveva definito il nuovo McGovern); lo stesso McGovern molla la Clinton e si schiera con Obama (speriamo non porti male..); Ben Smith su Politico.com ci tiene a sottolineare che Hillary ha cancellato tutti i suoi appuntamenti di mercoledì, non sa cosa andare a dire; Justin Webb della BBC ha parlato con un fundraiser della Clinton, che le ha detto che stanno perdendo milioni (e poi lo ha scritto sul suo blog): le donazioni previste oggi non arrivano (più in generale, tutti hanno migliaia di pettegolezzi di insider dell'entourage della Clinton che gridano "si salvi chi può"); secondo Americablog.com Wesley Clark ha già detto alla Clinton "Hillary, lascia sta'..".
E questi sono solo alcuni dei link agli articoli che stanno azzannando la Clinton, senza mollare la presa. Su questo blog del Times di Londra la cronaca minuto per minuto delle mazzate per: chi ha detto cosa, quando, chi la ha appena mollata. Nel sito il blog è presentato così: "volete sapere l'ultimissima sul viaggio di Hillary verso l'uscita?" Quasi uno spettacolo indecoroso. Per la prima volta, la nostra piena solidarietà alla compagna Clinton.

Questa volta ci siamo: il primo candidato nero alla presidenza degli Stati uniti è una cosa quasi fatta

Pareggio in Indiana con la Clinton avanti di un soffio, Obama in scioltezza in North Carolina. Leggi qui da "From the Field" la cronaca (trovi anche il video dei discorsi del dopo voto dei due candidati). Lei sembrava quasi sul punto di lasciare: per Obama è quasi fatta. A più tardi per commenti e analisi, intanto qualche altro link: Politico.com, New York Times, un analisi più articolata di Jay Cost su RealClearPolitics basata sugli exit polls, che confronta i dati dei due stati con Pennsylvania e Ohio. Prendendo con le molle la sua analisi - perché basata su exit polls - lei è andata meno bene del previsto tra i suoi elettori di riferimento, e lui benissimo tra i neri (e probabilmente anche gli indipendenti, di cui di Jay Cost non parla ma che in Indiana potevano votare). Come sempre, partecipazione alle stelle. Oggi, comunque, si potrebbe essere fatta la storia.

6 maggio 2008

Continuate così, fatevi del male

Nel giorno delle primarie in Indiana e North Carolina, che probabilmente prolungheranno ulteriormente la corsa in campo democratico, è molto utile guardarsi i 3 minuti della video-inchiesta di Slate su quanto sono influenti gli scontri fratricidi alle primarie sul risultato finale. E così ci mostrano le accuse che Romney padre fece a Goldwater (sconfitta disastrosa), che Humphrey fece a McGovern (che subì un cappotto da Nixon) e infine ci mostrano come un discorso di Ted Kennedy contro Carter del 1980 venisse addirittura inserito in uno spot a favore di Reagan. Per chi non se lo ricorda, anche Carter andò parecchio male nel 1980. Sarà un caso se il presentatore radio arciconservatore Rush Limbaugh tifa Hillary Clinton?

5 maggio 2008

Il voto della North Carolina, profondo Sud (che cambia)


Domani si vota anche in North Carolina, lo Stato con più delegati in palio prima di Denver. Già regno di cotone, tabacco e tessile, oggi lo Stato oscilla tra declino industriale e rilancio tecnologico. Con ceti dinamici ed emergenti e tanti nuovi poveri, come altrove. Ecco la nostra scheda di approfondimento

Domani le primarie dell'Indiana: ma che posto sarà mai questo Indiana?

Qui un nostro breve identikit elettorale dell'Indiana. Dategli un'occhiata e aspettate di vedere cosa accadrà domani.

4 maggio 2008

Patetici neocon: ora sospettano Obama di essere stato musulmano da bambino

Commentary era - anni fa - una rivista seria, con tanta storia alle spalle. Poi ha seguito il delirio personale di un vecchio neoconservatore, Norman Podhoretz, è ha perso ogni autorevolezza nel corso degli anni. Ora è in mano a gente patetica e ridicola: nel blog della rivista sono riportate le parole di Daniel Pipes, un estremista confusionario che insegna alla Pepperdine University, il quale accusa Obama di essere stato musulmano. Quando? Alle elementari, mentre viveva in Indonesia con il patrigno e la madre. A scuola pare fosse registrato come musulmano. Non lo ha mai detto, quindi è un bugiardo e non può fare il presidente. E pensare che una volta su Commentary ci scriveva Hannah Arendt...

Per i repubblicani, al Congresso arrivano solo schiaffi: perso un altro seggio

Se la presidenza è tutta da giocare al Congresso va come deve andare da pronostico: i repubblicani prendono solo schiaffi anche in collegi un tempo sicuri. Nel giro di due mesi si sono tenute due elezioni suppletive alla Camera dei rappresentanti, ieri l'ultima in Louisiana. In entrambi i casi un democratico ha sottratto il collegio al partito repubblicano. Don Cazayoux, candidato democratico, ha vinto in un seggio che il GOP conservava da 33 anni, dove nel 2004 George W. Bush aveva sconfitto Kerry con 19 punti percentuale di vantaggio. Nelle elezioni di mid-term del 2006 i repubblicani hanno perso 30 seggi e la maggioranza. Il Congresso resterà saldamente nelle mani dei democratici anche nel 2008, comunque vadano le presidenziali. In questo seggio i repubblicani hanno provato a nazionalizzare la campagna elettorale: molti soldi spesi per dire che Cazayoux era il cavallo di Troia di Obama.

Guam, il caucus lo vince Obama (per 7 voti)

Sono solo quattro delegati per 170mila abitanti. L'isola di Guam è lontana dagli Usa e famosa per i fanghi anti-cellulite, presa durante la guerra nel Pacifico con il Giappone e non ha gran peso politico. Ma vota. Hanno votato in poco più di 5mila e il risultato è stato 2264 Obama, 2257 Clinton. Il margine è talmente esiguo che i voti verranno ricontati. In origine si pensava a una vittoria larga di Clinton. Scarto minimo e due delegati per uno, ma la persona nominata presidente del partito locale e il suo vice - due superdelegati - sono con il senatore. Il primo aveva già garantito il suo sostegno (ma è diventato superdelegato) e il secondo aveva dichiarato che avrebbe sostenuto il vincitore del caucus. I sette voti, se verranno confermati, pesano per questo.

3 maggio 2008

Sondaggi, superdelegati, commenti: a tre giorni dal nuovo voto regna la confusione

Martedì si vota in Indiana e North Carolina, il risultato è diventato all'improvviso incerto e la corsa che tutti sperano finisca presto, rischia di trascinarsi ancora. Nello Stato del Sud Barack Obama mantiene un certo vantaggio nei sondaggi - la media di Real clear politics è +7, gli ultimi due, Zogby e Rasmussen sono a +9. Il senatore teme di non portare a casa un risultato clamoroso come quello che avrebbe ottenuto se il reverendo Wright avesse tenuto la bocca chiusa. Una vittoria in stile South Carolina, con il pacchetto di delegati in più che regalerebbe, potrebbe consentire a Obama di perdere di misura l'Indiana senza troppi danni. Ma l'effetto Wright - che sembra davvero aver voluto fare uno scherzaccio alla sua ex pecorella convertita - c'è ed è pesante (Weekly standard e i media filo repubblicani ci si buttano a capofitto). Specie tra la solita schiera di colletti blu semi conservatori che storcono il naso all'idea di votare per un afroamericano. In Indiana le cose si sono complicate ancor di più: la media RCP è Clinton a +6, dopo che per due settimane i due candidati erano alla pari. L'ultimo Zogby assegna però un punto di vantaggio a Obama. Torneremo domani sulle dinamiche socioeconomiche dei due Stati. Il paradosso di questa corsa è che, mentre il vento soffia verso Hillary, i superdelegati, che fino ad oggi hanno taciuto, scelgono Obama con sempre maggior frequenza: la volontà è quella di chiudere il capitolo primarie adesso. Nell'ultima settimana il senatore ha ottenuto il sostegno di due ex capi del Democratic national committee Joe Andrew (dell'Indiana, passato da Clinton a lui) e Paul G. Kirk, colmando il ritardo sul terreno superdelegates. Oltre alla controversia sul reverendo Wright, di cui sono pieni i media (un'analisi di come ha condizionato i sondaggi), l'altro tema di scontro è la proposta McCain/Clinton di detassare la benzina per le vacanze. Una classica berlusconata, tutti, dagli economisti alla politica di entrambi i partiti l'hanno giudicata una sciocchezza (un commento del Washington post e un'analisi di Slate), ma è la classica proposta quattro soldi in tasca da domani e potrebbe pagare. Sulla bipartisanship della proposta e sulla sua inutilità Obama ha mandato in onda più di uno spot. E per finire questo lungo post riassuntivo, una lunga analisi di The Nation sulla centralità di razza e genere nelle primarie democratiche e un commento molto duro di Michael Tomasky, direttore dell'edizione americana del Guardian sulla campagna di Hillary Clinton che, a detta dell'editorialista, sta usando tutti gli arnesi peggiori della destra repubblicana pur di vincere la partita.

Senti chi parla: Kagan è contro le ideologie. Degli altri.

In tempi di crisi è bene tornare alle certezze del passato. Robert Kagan sul Washington Post ci dice qualcosa che ci sembra di aver già sentito: il mondo si divide in autocrazie e democrazie, gli Usa sono nel campo delle democrazie. Manco a dirlo le due più grandi autocrazie sono la Cina e la Russia.
E perchè sarebbero ideologici i cinesi e Putin? Perchè hanno un sistema di pensiero in cui credono, che si basa fondamentalmente sull'idea che che un governo forte a casa serve a fare una grande politica all'estero. Ci sembra di aver già sentito anche questo: per esempio in una dettagliato studio del Cato Institute, think tank di destra ma libertario, sull'amministrazione Bush. Al nostro amico Robert, e a chi interessa la politica estera americana, suggeriamo un libro sempreverde di Michael Hunt: si chiama "l'Ideologia nella Politica Estera Americana".

2 maggio 2008

Parlare ai colletti blu

Un altro tema in cui gli Stati Uniti sembrano tanto vicini all'Italia: perchè gli operai sono così lontani da chi li difende politicamente. Barack Obama continua ad avere problemi con i lavoratori bianchi, gli stessi che da Reagan in poi hanno scelto il partito repubblicano che certo non ha migliorato significativamente le loro condizioni materiali di vita. Secondo Slate, dovrebbe imparare qualcosa da George Orwell che diceva: "come per la religione, la peggiore pubblicità del socialismo sono i suoi aderenti" che disprezzano la vita quotidiana e i gusti di quelli che vorrebbero difendere, trattandoli perloppiù come un caso di antropologia. Sostituite "progressismo" alla parola socialismo e vedrete che effetto fanno le sue parole. Poi provate anche ad usare la parola "sinistra" e vedrete che magari c'è un insegnamento anche per noi.

1 maggio 2008

Il conservatorismo, l'era di Bush e il senatore nero. The Nation intervista Bacevich


Andrew Bacevich un cattolico conser- vatore, un militare reduce del Vietnam che ha servito in Germania, nel Golfo ed ha lasciato l'esercito da colonnello. Poi ha studiato a Princeton e insegnato politica estera a West Point, Johns Hopkins e, oggi, a Boston. Ha criticato la guerra e la dottinna estera della presidenza Bush già prima che suo figlio (nella foto) saltasse su una bomba a Samarra nel 2007. Oggi appoggia Obama e in un'intervista al settimanale della sinistra Usa The Nation, spiega perché.